Quali film di Tim Burton vedere? Ecco quali sono i 5 più belli!
Quali sono i film più belli di Tim Burton? Ecco la nostra top 5!
Il cinema di Tim Burton è oscuro, gotico, a tratti grottesco, ma rappresenta un conforto per tutti coloro che, almeno una volta, si sono sentiti “diversi”, abbandonati, soli. Basti pensare al suo ultimo film, ancora nelle sale: Dumbo. Dumbo è un elefante sfortunato, privato della mamma… e con delle orecchie enormi. Però ha un dono: può volare. Il regista vuole infatti celebrare la diversità trasformandola in unicità; rendendo i suoi personaggi degli esseri speciali. Quasi tutti i film di Tim Burton si basano su quest’idea, ma quali sono i più belli?
Spesso ci si divide sulla produzione cinematografica di Burton, spaccata in due: quella di oggi, e quella di ieri. È innegabile che le prime opere del regista siano stracolme di quell’atmosfera gotica, ispirata certamente all’universo inquieto di Edgar Allan Poe, che ha stampato il cinema Burtoniano nell’immaginario comune. È difficile scegliere una top 5, perché ci saranno dei grandi esclusi; però i seguenti, secondo noi, sono alcuni dei film più rappresentativi di Tim Burton.
Indice:
I film di Tim Burton: partiamo da Il Mistero di Sleepy Hollow (1999)
Cosa può esserci di più misterioso e gotico di un misterioso assassino che sta terrorizzando un villaggio sperduto in mezzo ai boschi? Di un assassino che uccide le sue vittime mozzando loro la testa, lasciando i loro corpi in balia del freddo e della nebbia? I metodi decisamente non convenzionali dell’agente di polizia (Johnny Depp) che ha preso in carico il caso, basati su una sorta di “metodo scientifico”, si scontrano con le credenze degli abitanti del luogo.
Secondo la credenza comune, il fautore di tanta morte è il “cavaliere senza testa”; fantasma che si aggira per i boschi, affamato di vendetta. In questo film si respira l’atmosfera Burtoniana in tutta la sua essenza: una storia tra horror e fiaba, una scenografia incredibile, le musiche di Danny Elfman… L’irreale è costruito talmente alla perfezione da sembrare reale; e lo spettatore, entrando a Sleepy Hollow, avrà il privilegio di essere accolto nel mondo di Tim Burton.
Beetlejuice (1988)
“Beetlejuice! Beetlejuice! Beetlejuice!”. Questa è la formula magica che dà vita al secondo lungometraggio di Burton, caratterizzato da atmosfere grottesche e tinteggiato da una sana dose di black humor. I due protagonisti, una coppia di sposini morta in un incidente stradale, sono due spiriti incastrati in una sorta di limbo tra la vita e la morte. A volte ci si lamenta di come la vita possa essere difficile… Ma pensate a come possa essere difficile essere morti. Servirebbe quasi un libro di istruzioni.
Ed il libro di istruzioni c’è: si chiama Beetlejuice, un “bio-esorcista” che porta più guai che soluzioni. Questo film è così lontano dalla CGI, lontano dagli effetti computerizzati; ma affezionato a quegli effetti meccanici che fanno esplodere cibo dai piatti, alle ore di trucco che fanno invecchiare gli attori per 10 secondi di scena, alle scenografie fatte di legno e stoffa. Non ci sono schermi verdi, c’è solo “carne”: ed è tutto così meravigliosamente grottesco e Burtoniano.
Il più fiabesco tra i film di Tim Burton: Edward Mani di Forbice (1990)
Edward è sicuramente il personaggio emblema dell’universo Burtoniano. Diverso, emarginato, eccentrico, unico. Vestito di nero, due occhi profondissimi, la pelle così bianca da sembrare trasparente… e delle enormi forbici al posto delle mani. Una figura così inquietante viene inserita in un quartiere residenziale e benpensante dalle case color pastello, dalle siepi fiorite e dai giardini immacolati. In questo film emerge il contrasto tra il bene ed il male, il contrasto tra sostanza ed apparenza.
Nonostante le lame affilate che gli impediscono di accarezzare il morbido volto di Kim, Edward ha un animo buono e gentile. Il vero male è nascosto in quelle donne perfettamente vestite e pettinate, che rappresentano la falsità del mondo in cui viviamo. “Edward mani di forbice” è una vera e propria fiaba, sospesa tra dolcezza e stranezza; che denuncia come la nostra realtà vada a corrompere e a rovinare inesorabilmente le cose belle che ci vengono donate e che, purtroppo, non sappiamo capire fino in fondo.
Big Fish (2003)
Quale può essere l’arma migliore per difendersi dalla normalità? Dall’inesorabile scorrere del tempo, dallo scorrere della propria vita (molto spesso in maniera diversa da quella che ci si aspettava)? La fantasia. Lo sa bene il protagonista Edward Bloom, che da sempre ha condito tutti gli episodi della sua vita con dei dettagli davvero incredibili. Gemelle siamesi, giganti buoni, pesci enormi, poeti… Hanno reso anche il più banale degli avvenimenti un incredibile aneddoto da raccontare ancora ed ancora.
Il figlio di Edward però, non è mai riuscito a credere ad i racconti del padre; e questo scetticismo ha incrinato brutalmente il rapporto padre-figlio. È giusto nascondersi nella fantasia, dimenticandosi talvolta di dimenticarsi della realtà? Oppure è meglio immergersi a capofitto nel reale, dimenticandosi di sognare? Tim Burton dà vita ad una fiaba che mescola realtà e finzione, rendendo reale il paradossale.
I film di Tim Burton: concludiamo con La sposa cadavere (2005)
Concludiamo la nostra top 5 con un film d’animazione: “La sposa cadavere”. La pellicola è popolata da tanti pupazzi messi in movimento dalla pazienza e precisione degli animatori, con l’affascinante tecnica della Stop Motion. Si tratta del secondo film d’animazione in Stop Motion al quale lavora Burton, ma del primo da lui diretto. La vicenda si ispira alla leggenda israeliana “Il dito”, che è stata traslata geograficamente e cronologicamente in un’immaginaria epoca vittoriana.
Il protagonista è il goffo Victor, in procinto di sposarsi con la dolce Victoria. Ma proprio per la sua goffaggine, finirà per ritrovarsi sposato alla spettrale Emily: una sposa cadavere. Così Victor verrà catapultato nel mondo dei morti, che paradossalmente sarà molto più allegro e colorato di quello dei vivi. Come al solito, Burton ci stupisce con le sue atmosfere, con i suoi contrasti; riconfermandoci ancora una volta la complessità e la profondità della sua immaginazione.