Svaha: The Sixth Finger: recensione dell’horror sudcoreano
Immergiamoci nel fascino orientale del film recentemente sbarcato su Netflix
Svaha The Sixth Finger recensione. Non è un segreto il fatto che Netflix stia apportando degli innesti significativi al suo sempre più florido catalogo. La cosa interessante è che il suo sguardo sta andando oltre la consueta visione eurocentrica e occidentalizzata, andando a reperire anche film dall’estremo Oriente. La sua ultima conquista è Svaha: The Sixth Finger, uscito in Corea del Sud il 20 febbraio 2019 e distribuito dalla CJ Entertainment. Netflix si è caricato il progetto sulle spalle e ha deciso di portarlo in Europa, chiaramente in lingua originale. Il film in patria si è guadagnato tre nomination ai Baeksang Arts Awards, vincendo quello per la Best New Actress grazie a Lee Jae-in.
Il film inizia nel 1999 quando a Yeongwol, in provincia di Gangwon, nascono due gemelle. Una è però un demone e, dopo la morte di entrambi i genitori, vive segregata sotto ai nonni e alla sorella. Nel 2014, dopo l’ennesimo trasferimento della famiglia, ci viene mostrato come la loro presenza porti alla morte del bestiame. Parallelamente osserviamo le investigazioni del reverendo Park, teologo e esperto di nuovi culti potenzialmente pericolosi. Durante le sue ricerche si imbatte in uno strano movimento denominato Deer Hill, facilmente riconoscibile dagli affreschi raffiguranti un cervo posti sui muri degli edifici. Le indagini andranno dunque ad infittirsi e i destini a incrociarsi, componendo un unico grande mosaico.
Indice
Il fanatismo religioso – Svaha: The Sixth Finger recensione
Nella pellicola intercorrono una serie di sottotrame parallele, che si uniranno in un’unica graffiante satira verso il fanatismo religioso e le sue ripercussioni. La critica non viene mossa contro la religione in sé, ma contro la sua applicazione. Il Deer Hill salta all’occhio del reverendo Park in quanto associazione che non trae profitto dai credenti, distinguendosi in modo netto dalle altre. Per quanto sia negativo il giudizio che Jang Jae-hyun da di questa idea di religiosità, non si tira indietro nell’assolvere le vittime interne. Chi, come Na Han (Park Jung-Min), è stato sfruttato e ingannato fin da piccolo.
Il fanatismo infatti agisce sull’inganno e sulla manipolazione del dolore: una persona malinconica è meno restia al raggiro di una in pieno controllo della propria emotività. Il film fa riferimento a Aum Shinrikyō, un movimento religioso giapponese caratterizzato dal sincretismo fra elementi del buddismo, induismo e esoterismo cristiano. Il culto, nato come associazione di yoga, si rese tristemente noto a causa di diversi crimini e attentati commessi. La disapprovazione dell’autore si esprime attraverso le azioni del Deer Hill, accusato di diversi omicidi e sparizioni nonostante l’apparente pacificità. Il regista inserisce però, su un binario parallelo, la positività della vera fede.
L’epopea del reverendo Park ne è il perfetto esempio. Conosciamo il personaggio interpretato da Lee Jung-jae, già autore di un ottima performance in The Housemaid, come uno scettico cacciatore di scandali religiosi, più interessato alla praticità che alla spiritualità. Con l’avanzare del film, complice anche un montaggio serrato che si concretizza in una sfilza di primi piani, emerge tutta la profondità del personaggio prima e dell’attore poi. Seppure Park si conceda a momentanee perdite di fede, domandandosi dove è Dio in tutto questo, riesce ad applicare la morale cristiana in toto aiutando il prossimo.
L’iconografia nel film – Svaha: The Sixth Finger recensione
Una parte fondamentale del film è sicuramente la scenografia a sfondo religioso, che si rivela più volte protagonista della scena. I dettami teorici del Deer Hill derivano dal buddhismo e la relativa iconografia è superba, con una profusione di dettagli e di lente carrellate sugli affreschi. Per chi non mastica il buddhismo potrà essere più complesso seguire gli sviluppi della sceneggiatura, fortemente connessa al simbolismo di questa religione, ma i vari passaggi sono comunque chiari e lineari. L’iconografia non si limita alle arti figurative, ma impregna le azioni e le reazioni dei personaggi, componendo un unico grande quadro fortemente debitore del buddhismo.
Ad accostarsi all’ antica religione orientale c’è il cattolicesimo, in una dicotomia che ne sottolinea di continuo le convergenze. Il Maitreya come Messia, la luce che illuminerà il mondo e che sconfiggerà l’oscurità. Similmente al fiore di loto nasce nel fango, ma la sua purezza non viene scalfita. Viene ripreso anche il serpente come incarnazione del male e l’atmosfera in generale è intrisa dal connubio superstizione/religione. Niente è quello che sembra e nulla è casuale, neanche la presenza di un mastodontico elefante nella casa del Padre.
Diventa impossibile durante il film riconoscere dove termini una e inizi l’altra: le carte si mescolano e diventa complicato distinguere perfino ciò che è reale da ciò che non lo è, oltre che il bene ed il male. Jang Jae-hyun non è nuovo a questo tipo di atmosfere, avendo già diretto 12th Assistant Deacon e The Priests. La sua familiarità con le iconografie religiose si rivela in più frangenti, costruendo un’opera visivamente e intellettualmente piacevole che stuzzica il ragionamento e la ricerca.
E la paura? – Svaha: The Sixth Finger recensione
Svaha: The Sixth Finger non è un horror nel senso stretto del termine: non genera terrore nello spettatore. Quest’ultimo è più che altro incuriosito dai toni di genere giallo che il film assume, virando ben presto verso il thriller. Ciò non significa che la componente horror sia totalmente assente, ma viene spesso scalzata dalle indagini e dalle teorie del reverendo Park. La pellicola ricalca chiaramente The Wailing, grande successo sudcoreano, mancando però quel guizzo che Na Hong-jin ha impresso al suo lavoro.
La principale fonte di orrore nella pellicola è legata a ambientazione e simbolismi, mostrando una religione snaturata e pericolosa. L’establishing shot ci porta in un contesto rurale simile a quello del fantastico The VVitch, con tanto di caprone nero annesso, ma i toni si spostano presto verso tinte più orientali. Le scenografie dove i fedeli si riuniscono per pregare sono disturbanti e, coniugate alla colonna sonora fatta di tamburi e canti gregoriani, generano un’atmosfera inquietante. La location più intrigante è però senza dubbio la dimora di Kim Je-Seok, candida sotto la coltre di neve bianca, ma piena di oscuri segreti.
Le scene realmente horror si riducono a un paio, ma sono ben dirette e studiate. Jang Jae-hyun sfrutta lente carrellate a spirale che inchiodano il personaggio al suolo, mentre è circondato da una moltitudine di bambine in stile The Ring. Una di queste verrà ritrovata murata viva, generando non tanto orrore quanto sconforto. Una malinconia scaturita dalla presa di coscienza delle moltitudini di omicidi derivanti dalla scelleratezza dei fanatici religiosi: Svaha è un film che più che spaventare fa riflettere.
Conclusioni
Svaha: The Sixth Finger è senza dubbio un film interessante, con una buona regia e una grande colonna sonora. La recitazione di Lee Jung-jae traina il resto del cast, che è ben bilanciato e che ha dalla sua l’interpretazione di Yu Ji-tae, famoso per Old Boy e Lady Vengeance. Il film fa un po’ fatica a decollare a causa di una prima parte piuttosto scolastica e per l’inserimento di trame parallele futili, che appesantiscono l’inizio ma che poi si amalgamano molto bene. Accanto a una fotografia cupa risiedono anche attimi comedy, che alleggeriscono ulteriormente una pellicola godibile.
Una “pecca” del film è che, per larga parte, non fa paura, ma bisogna anche considerare da dove deriva. Il contesto orrorifico viene percepito maggiormente se si conosce la reale proliferazione di culti estremisti nella Corea del Sud, Paese dove la religione è molto importante. In madrepatria il film sarà sicuramente avvertito in modo diverso, percependo l’argomento trattato come potenzialmente reale e quindi più terrificante. Per la nostra cultura si tratta certamente di una cosa “lontana”, ma il fanatismo religioso è più che mai attuale e questo film ha il merito di riportarcelo.
Continua l’impresa di Netflix di collegare Oriente e Occidente, mostrandoci uno stralcio di cinema coreano. Una piccola finestra, più commerciabile e fruibile, di un cinema d’arte che deve obbligatoriamente entrare in Europa. Sono ben riconoscibili gli stilemi coreani, camuffati però da un aura di relativa internazionalità. Lo scenario horror è di certo un buon inizio per l’esportazione di una cinematografia così ricercata: lo spavento è universale.
Svaha: The Sixth Finger
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- Un ottimo cast che mette in campo una grande prova di recitazione
- Grande rivelazione finale e conseguente riflessione
- Atmosfere orientali ricreate nel dettaglio
Lati negativi
- Tecnicamente osa troppo poco