Analisi e spiegazione di Hunger Point, film sull’anoressia

Hunger Point è un realistico film sull'anoressia: eccone la nostra breve analisi!

Hunger Point spiegazione e analisi. Quando il cinema decide di parlare di certe malattie non è mai facile. Al contrario: la cosa facile è riuscire ad attirarsi le critiche e antipatie degli spettatori, perché non c’è nulla di più difficile di mettere su schermo con giusta dignità degli argomenti così delicati. Uno dei topic taboo che tutti sentono ma di cui nessuno vuole davvero parlare è sicuramente l’anoressia. Come molti sapranno, l’anoressia è una piaga che rappresenta la prima causa di morte, subito dopo gli incidenti stradali, tra i 12 e i 25 anni. Nonostante l’importante entità, bisogna sforzarsi per pensare al titolo di un film sull’anoressia. 

Circa due anni fa vi abbiamo parlato di “To the bone”, film Netflix con Lily Collins e Keanu Reeves, del quale abbiamo criticato il finale e alcuni “scivoloni” a livello di trama; mentre abbiamo apprezzato molto l’interpretazione della protagonista. Sebbene il film in questione abbia riportato a galla la tematica dei disturbi alimentari, non è di lui che vi vogliamo parlare. Vogliamo infatti portare a galla un TV movie del 2003, forse un po’ dimenticato: “Hunger Point”. Si tratta di un film sull’anoressia che, quasi ingenuamente, porta a casa una storia che vi farà attorcigliare lo stomaco. (SPOILER ALERT!)

Indice: 

“Hunger Point”: due parole sulla trama del film sull’anoressia

Vi avvertiamo: non si tratta del “film della vita”. Non dovete aspettarvi un film perfetto, specialmente a livello tecnico, ma infatti è sulla storia in sé e sul modo di narrarla che ci vogliamo focalizzare. Quello che secondo noi è davvero interessante è che la pellicola mostri come l’anoressia non colpisca solo chi ne soffre, ma una famiglia intera; compromettendone le fondamenta e mettendo in discussione qualunque certezza. 

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Il primo seme che ha permesso l’insediarsi delle radici di quest’atroce malattia è stato piantato dalla stessa madre della protagonista Frannie. Maniaca dell’apparenza e della forma fisica perfetta, porta la figlia paffuta, ancora bambina, dal dietologo. Da lì, il cibo diventerà un incubo: ogni boccone un senso di colpa, ogni sgarro due dita nella gola. Ma il punto è che quest’ossessione, quasi per osmosi, non colpirà solo la protagonista: ma la sua perfetta sorellina Shelly. 

Shelly è tutto quello che una ragazza desidera essere, secondo Frannie. È bella, con lunghi capelli scuri, intelligente, desiderata e, specialmente, magra. Se Frannie è cresciuta con un brutto rapporto con il cibo che, però, è tutto sommato rimasto circoscritto; Shelly ne verrà invece completamente sovrastata. Ora andremo ad analizzare le due protagoniste, spiegandovi come secondo noi “Hunger Point” sia riuscito a spiegare senza mezzi termini l’essenza dell’anoressia. 

Frannie, la voce narrante di Hunger Point

Frannie è la voce narrante di “Hunger Point”, eppure non è lei a soffrire di anoressia. Questa, secondo noi, è una scelta interessante; in quanto mostra come anche il mondo di chi vive accanto ad una persona malata ne venga profondamente scosso. Come vi abbiamo anticipato, Frannie è cresciuta con la malsana idea di non essere mai abbastanza. Mai abbastanza bella, mai abbastanza brava, mai abbastanza magra. Non in grado di tenersi un lavoro, una relazione o di portare a termine una cosa che sia una, ma ammira profondamente la giovane sorella che invece sembra avere il suo futuro in pugno. 

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Quando Shelley verrà ricoverata in una clinica psichiatrica per i suoi disturbi di anoressia, Frannie sarà l’unica della famiglia a trovare la forza per andare a trovarla con regolarità. Sarà l’unica a riuscire a guardarla non come se fosse un mostro, forse perché un po’ la capisce. Capisce la pressione con cui è cresciuta, ma soffre nel veder gettare all’aria le sue ambizioni e i suoi sogni per un male che la divora senza alcun senso. 

Frannie è l’unica che riesca a star davvero accanto a Shelley, grazie ad un’incredibile forza interiore che nemmeno lei sa di avere. Sarà lei a portare a casa la sorella dalla clinica, e sarà lei a trovarla in overdose nel suo letto. Dopo la sua morte, la forza di Frannie inizia a vacillare. Sentirà quasi di dover portare a termine quello che sua sorella ha iniziato, imitandola nel tagliuzzare il cibo in pezzettini minuscoli e vomitandolo nel water. 

Shelley, la ragione per cui “Hunger Point” è un film sull’anoressia

Shelley è un’anima in pena. Si vede sofferenza che esce da ogni poro della sua pelle, da ogni movimento brusco, dal modo di parlare. C’è una forza brutale che la dilania e la mangia da dentro. Questo mostro senza scrupoli non solo la porterà a ripudiare il cibo, ma anche a compiere atti autolesionisti. Come tante vittime di anoressia, Shelley aveva un’ammirazione profonda per “Ana”. Seguiva le sue regole come un mantra, e assieme alle sue compagne di ospedale si sentiva appartenente ad una sorta di “club” che la faceva sentire speciale.

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Frannie si arrabbierà tantissimo, dopo la sua morte, perché scoprirà tutti questi materiali scaricati da blog pro Ana, che sua sorella idolatrava senza impegnarsi a seguire le cure che le avrebbero salvato la vita. Ma l’anoressia è così: colpisce, affonda, ed è difficile tornare a galla. È una sorta di sindrome di Stoccolma, dove la vittima prova quasi un affetto nei confronti del proprio aggressore, rendendo così ancora più difficile separarsi dallo stesso. Senza nessun filtro, Shelley mostra come l’anoressia sia dolore e ammirazione, un “odi et amo” deleterio che porta ad un annientamento inconsapevolmente consapevole. 

Il finale: una testimonianza sull’anoressia

Concludiamo tornando al paragone con “To the bone”, di cui vi abbiamo parlato all’inizio. La sequenza finale vede Lily Collins in una condizione onirica che conclude un film con un finale forzato, intriso di speranza. “Hunger Point”, invece, è un pugno nello stomaco. Sì, c’è una sorta di lieto fine per coloro che sono sopravvissuti… ma è molto incerto, come dice anche Frannie davanti alla tomba di Shelley: “I’m trying real hard to get it together. And sometimes, I even think I’m gonna make it”. 

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Vi avevamo promesso un’analisi del film, ma in verità crediamo che esso riesca a spiegarsi da solo. Con tutte le sue imperfezioni, la pellicola ha avuto un grande pregio: non ha mai indorato la pillola. Anzi, la meticolosa attenzione ai dettagli e le coinvolgenti interpretazioni delle protagoniste hanno reso il tutto quasi “documentaristico”; una testimonianza universale che parte da un trauma terminando in un altro trauma, quasi come tessere di domino che cadono l’una sull’altra senza poterlo evitare. Questa è l’anoressia, questo è “Hunger Point”: è un pugno allo stomaco, ma è reale.

È facile lasciarsi travolgere dalla debolezza, come ha fatto Frannie dopo la morte di Shelley. Bisogna lottare contro se stessi, per trovare una forza che non è detto esista. Shelley non aveva quella forza, Frannie sì: ed è questo che l’ha salvata. Entrambe sono cresciute nello stesso ambiente familiare, con le stesse pressioni, fissazioni malsane. Non c’è una formula magica che possa garantire la salvezza, né tantomeno una qualche “visione onirica” rivelatrice. Sta tutto dentro se stessi, una forza tanto potente quanto la malattia. L’unica speranza, è sperare di averla. 

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