Recensione The Man From Nowhere: uno straripante revenge movie d’annata
Questa sera, in seconda serata su Rai4, c’è un appuntamento da non perdere. The Man From Nowhere, revenge movie sudcoreano pregno d’azione e violenza efferata, di cui vi proponiamo la recensione.
The Man From Nowhere è l’esempio perfetto di come ciò che parrebbe un banale revenge movie, possa essere molto di più. La perfetta coniugazione tra la ricercatezza autoriale e registica e un impianto narrativo richiamante il blockbuster. Il tutto assume poi un’enfasi ancora maggiore parlando di cinema orientale, specie se al timone c’è un quasi novello cineasta. Siamo nel 2010 e un ispirato Lee Jeong-beom, conosciuto soltanto per Cruel Winter Blues diretto 4 anni prima, decide di cimentarsi in questa mastodontica prova. Riuscendoci. La pellicola si rivelò infatti come il più grande incasso in Corea del sud nell’anno della sua uscita. Ma ricevette anche il plauso dalla critica, oltre che le meritate attenzioni del pubblico straniero. E dei naturali produttori che decisero di acquisire i diritti per dei patriottici remake; per ora il solo Rocky Handsome, indiano, ma la New Line Cinema è al lavoro sull’ovvia riproposizione in salsa occidentale.
Dunque, quali i segreti per questo meritato successo? E in definitiva, per questo Cinema di tutto rispetto?
The Man From Nowhere (tradotto L’uomo che veniva dal nulla nella distribuzione italiana) è la storia di Cha Tae-sik; il classico lupo solitario dal passato misterioso e solo accennato, aggrappato alla vita e alla società da un tenue ed esile fil rouge, rappresentato, paradossalmente, dal gracile corpicino della bambina So-mee, la figlia della vicina di casa. Quando la madre, una tossicodipendente, nasconde dell’eroina sottratta a dei spacciatori all’interno del banco dei pegni gestito dal protagonista, quest’ultimo si ritroverà invischiato in un’escalation di violenza, suo malgrado. Dei criminali, infatti, rapiranno madre e figlia per recuperare il carico. Il protagonista, una volta scoperto il tutto, restituirà la droga per porre rimedio al misfatto. E potrebbe concludersi qua, con la pacifica restituzione delle due, e insomma, amici come prima. Ma i cattivi in questo film sono realmente cattivi, e hanno dei piani ben diversi…
Fin qui nulla di originale. La trama potrebbe infatti ricordare Leon di Luc Besson; come anche il tenero rapporto tra il protagonista e Mathilda. Ma se da un lato Mathilda è lo strumento con cui passo passo va radicalizzandosi un cambiamento per il quale si è disposti a tutto, anche al sacrificio, So-mee per Cha Tae-sik (il cui rapporto è solo centellinato nella prima mezz’ora) non è che l’ancora di salvezza per un ultimo tentativo di riscoperta del proprio io e della propria umanità. Con uno sguardo delicatamente più tragico e oscuro e ispirandosi a modelli in patria alla Old Boy de Park Chan-wook o Bittersweet Life di Kim Ji-woon, pur mantenendo una struttura decisamente action, il regista cerca di scavare più a fondo designando un quadro e una società realistica. La malavita la fa da padrone e nella ripercussione gerarchica a pagarne il caro prezzo saranno soprattutto i bambini.
Può quindi il protagonista, in un contesto del genere, vincere il gioco delle parti, riaccendere la speranza, ritrovare sé stesso?
Può indubbiamente provarci, se nel farlo viene accompagnato da una contenuta ma intensa e azzeccata interpretazione di Won Bin; la tipica bella faccia coreana che in quest’opera dimostra d’avere una marcia in più, e per la quale vinse numerosi premi in patria (è poi inspiegabilmente sparito, quantomeno a livello cinematografico, da allora: sono passati ormai 7 anni e non ha più recitato, un vero peccato). Si potrebbe poi parlare dei Cattivi (volutamente con la C in maiuscolo), sicuramente peculiari sia nei modi che nei fatti; o della bellissima colonna sonora che accompagna il tutto. Ma ad emergere è, indubbiamente, l’azione ad alto tasso di spettacolarità che tra scontri solitari coreograficamente impeccabili, l’irriverenza tarantiniana alla Kill Bill che tuttavia, mai eccede, e primi piani furbescamente leoniani, confeziona e porta a casa un risultato pregevole, ispirato ma originale, specie nei notevoli piani sequenza che accompagnano il protagonista. E nel finale d’antologia che chiude la vicenda. Violenza chiama violenza, e, per una volta, va benissimo così.
The Man From Nowhere: pregi e difetti
Rating - 8.5
8.5
The Good
- scenario realistico
- personaggi ben caratterizzati
- sequenze action spaccamascella
The Bad
- ovvie limitazioni in fase di sceneggiautura (come il protagonista overpower)