Oscar 2020: i film da tenere d’occhio per la prossima edizione
Uno sguardo ai titoli che possono ricevere più di una nomination agli Oscar 2020
L’edizione 2019 degli Oscar è già archiviata anche se i film premiati continuano a generare risonanza mediatica e ad essere proiettati nelle sale. I trionfi di Green Book, Roma e Black Panther fanno ancora discutere, in positivo e non. Ma il tempo passa e la stagione dei festival cinematografici è già arrivata. Tra Cannes, Venezia, Toronto e molti altri, saranno moltissimi i prodotti che avranno sicuramente uno spazio importante all’interno delle nomination agli Oscar 2020.
Gli scorsi anni proprio queste manifestazioni hanno creato una sorta di trampolino di lancio per alcuni dei prodotti vincitori di molte delle statuette più importanti. Ma con il passare del tempo si è vista crescere la percentuale di vittorie dei film non presentati ai festival maggiori. L’edizione 2020 degli Oscar sarà sicuramente ricca di nomi di spicco, ritorni importanti e, chissà, magari qualche conferma. Inoltre, la grande quantità di importanti film Netflix in uscita potrebbe sancire quel trionfo che la piattaforma di streaming attende da anni. Tra supereroi, biopic e horror scopriamo insieme quali sono alcuni dei film da tenere d’occhio in vista degli Oscar 2020!
Indice
- Il ritorno di grandi registi
- Produzioni straniere
- Supereroi ad Hollywood
- Oscar in salsa horror?
- Film drammatici
- Tra storia e letteratura
- I titoli Netflix
- Tratto da una storia vera
Oscar 2020: il ritorno di grandi registi
C’era una volta a… Hollywood
Cominciamo con quello che sicuramente sarà uno dei film più apprezzati della prossima stagione. C’era una volta a… Hollywood segna non solo il ritorno in grande stile di Quentin Tarantino. Il film sembra essere un vero e proprio omaggio ai generi che hanno segnato il cinema classico hollywoodiano e al suo studio system, portando in sala un Tarantino nostalgico ma che non rinuncia ad alcune delle caratteristiche peculiari dei suoi lavori. Il punto forte del prodotto risiede in un cast d’eccezione in cui figurano i nomi di Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie e Al Pacino. Presentato al Festival di Cannes 2019, ha ricevuto ben sette minuti di standing ovation.
Il film è ambientato nel 1969, periodo rivoluzionario e libertino. In quegli stessi anni avverranno i delitti della famiglia Manson. Il protagonista è Rick Dalton, attore in declino che ha recitato negli anni Cinquanta in uno show televisivo western e che adesso cerca di ridare fama al suo nome. Insieme a lui la sua controfigura, Cliff Booth. A cambiare le vite di entrambi sarà Sharon Tate, avvenente vicina di casa dei due. Tutto ciò ambientato negli anni che cambiarono per sempre l’industria cinematografica e la società.
Tarantino ama il cinema e ne è un cultore: in C’era una volta a… Hollywood tutto ciò è evidente e non possiamo che sperare di vederlo, finalmente, essere protagonista della cerimonia degli Oscar.
A Hidden Life
Torna in sala uno dei più grandi cineasti di sempre e allo stesso tempo uno dei più complessi. Perché capire un film di Terrence Malick e lasciarsi trasportare appieno dal suo cinema non è sempre semplice; anzi, spesso per alcuni è proprio impossibile. Ma il suo stream of consciusness cinematografico è un tratto peculiare del suo cinema e del suo modo di parlare al pubblico. A Hidden Life, presentato al recente Festival di Cannes, non è da meno, pur portando il regista ad una narratività più marcata rispetto al flusso di immagini degli ultimi titoli. Questo sembra il titolo ideale per mediare tra il grande pubblico e un cinema particolare come quello di Malick.
Il Malick che può creare, grazie alla natura, grandi sequenze di una maestosità fotografica e sentimentale che sfiora l’onirico; che può tornare alla narratività senza rinunciare ai momenti di pure gioia cinematografica, indugiando su immagini, aspetti del quotidiano e del tempo, oltre che dello spazio. A Hidden Life è una storia vera: quella di un contadino austriaco accusato di tradimento dal regime nazista. Una storia che porta a galla il romanticismo dell’autore e che fa della natura, dello spazio profilmico (e poi filmico), elemento per creare emozioni negli spettatori e specchio per riflettere quelle dei personaggi.
Cats
Portare sul grande schermo un musical è sempre difficile. Lo è ancora di più, però, quando l’opera in questione è una delle più importanti per longevità, incassi e successo tra pubblico e critica. Cats, infatti, è basata sull’omonimo musical di Andrew Lloyd Webber (oltre che sul libro Il libro dei gatti tuttofare di T.S. Elliot) e sarà diretto da Tom Hooper, a quattro anni di distanza dall’ultimo film, The Danish Girl. Il genere musicale obbliga quasi inevitabilmente ad avere, tra i membri del cast, performers più completi possibile dal punto d vista artistico. La scelta è, perciò, ricaduta su nomi importanti del cinema come della musica e dello spettacolo televisivo. Tra essi James Corden, Judi Dench, Jason Derulo, Idris Elba, Taylor Swift, Rebel Wilson, Francesca Hayward, Jennifer Hudson e Ian McKellen.
Il film, in uscita a dicembre, fa uso di una commistione di tecniche cinematografiche per catturare nel migliore dei modi le espressioni umane ma adattandole all’aspetto felino dei protagonisti. Perciò il film è girato in live-action ma con numerose aggiunte digitali, ottenendo un risultato strabiliante. Il musical, e si prevede anche il film, parla dei Jellicle, un gruppo di gatti senzatetto che deve decidere quale membro tra di loro ascenderà all’Heaviside Layer. Una produzione attesissima, affidata ad un regista meticoloso e con un cast variegato che promette scintille e tanto divertimento.
Oscar 2020: produzioni straniere
Parasite
Tarantino celebra Hollywood e la sua storia, tra vizi e virtù, ma il cinema d’autore si muove anche oltre i confini degli States. Il nostro percorso fa tappa in Corea del Sud, florido mercato autoriale che da un ventennio sforna perle destinate a segnare la storia del cinema. Qui Bong Joon-ho, regista già ben noto anche al grande pubblico occidentale, scrive e dirige Parasite, vincitore della Palma d’oro a Cannes 72. Bong crea un’opera universale, in cui sono certamente presenti influenze geografiche ma che può benissimo essere traslata in un qualsiasi contesto socio-politico (tant’è che si parla già di remake a stelle e strisce).
Bong riesce, con Parasite, a creare una perfetta commistione di dramma e momenti di comicità, come del resto aveva già fatto nei suoi lavori precedenti, anche grazie ad un cast di altissimo livello. A questo proposito bisogna fare un plauso al suo attore feticcio Song Kang-ho. L’analisi sociopolitica, velata o meno, è accurata e si innesta su più livelli narrativi rendendo così il film fluido ma non per questo meno incisivo. In questo momento è forse il miglior titolo di produzione non statunitense e sembra proiettato proprio alla statuetta per il film in lingua straniera.
Dolor y gloria
Restiamo fuori dagli Stati Uniti, non solo per il paese di provenienza ma perché non ci spostiamo neanche dal luogo in cui è stato presentato. A Cannes tutti sono rimasti stupiti dal ritorno in grande stile di Pedro Almodovar con il suo personalissimo e intenso Dolor y gloria. Il film è un racconto estremamente personale, ciò che più si avvicina ad un’autobiografia. Fa luce su un periodo negativo nella vita del regista e della sua rinascita. Ma soprattutto Dolor y gloria è un film che parla di far cinema, di scrivere e mettere in scena, e delle crisi dell’uomo, dei suoi sentimenti e del suo passato. In una storia narrata su più archi temporali, il protagonista riscopre il suo Io, tra seduzioni, desideri, malinconia e percorsi errati.
Un film testamento, un’opera che racchiude l’essenza del cinema di Almodovar in un itinerario che porta dal malessere alla felicità attraverso il potere salvifico del cinema e degli affetti. Film che quasi sicuramente potrà ambire alla statuetta per il migliori film in lingua straniera ma soprattutto a quella per il miglior attore protagonista. Qui Antonio Banderas, con un uso controllato del corpo e delle espressioni, fornisce allo spettatore la sua migliore interpretazione e rilancia una carriera che lo aveva visto relegato a ruoli sempre meno incisivi. Oltre ad egli, figura Penelope Cruz con una prova più che convincente.
Atlantique
Premiato con il Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes, Atlantique è l’ennesimo film che conferma la miriade di registi e opere sparsi per il mondo capaci di stupire e regalare momenti di ottimo cinema. Perché il film di Mati Diop viene direttamente dal Senegal, terra cinematograficamente sconosciuta ai molti. Vi abbiamo già parlato del cinema africano e della sua importanza nel periodo post decolonizzazione. Da tempo non si vedeva un’opera proveniente dal continente africano di buon livello. Il rischio, quando si parla di un paese non di certo noto per le sue opere cinematografiche, è che si finisca per imitare (per altro male) prodotti europei, americani e asiatici. Atlantique, di produzione senegalese e francese (distribuito da Netflix) riesce a portare una storia africana contenente elementi spiritualistici a noi sconosciuti, senza guardare ai prodotti degli altri paesi, con una personalità forte e d’impatto.
La storia è ambientata in Senegal, nella costa atlantica, ed ha come protagonista una diciassettenne di Dakar, Ada. La ragazza è innamorata di Souleiman, un giovane operaio. Unico cavillo è il fatto che Ada sia promessa sposa ad un altro uomo. D’un tratto, stanchi di lavorare senza esser pagati, Souleiman e i suoi colleghi tentano la fuga dal Senegal via mare verso un futuro migliore ma scompaiono. Dopo la scomparsa degli uomini, una misteriosa febbre inizia a diffondersi e, come se non bastasse, il matrimonio di Ada, non desiderato dalla ragazza che piange la scomparsa di Souleiman, viene annullato per via di uno strano incendio. Nessuno, però, sa che gli uomini scomparsi, compreso l’amato di Ada, sono tornati.
Oscar 2020: Supereroi ad Hollywood
Avengers: Endgame
C’è chi apprezza i cinecomics e chi no, chi va al cinema a vederli più volte e chi crede sia puro cinema commerciale. Probabilmente questi ultimi non sbagliano, ma è innegabile il valore di un franchise, come quello legato al Marvel Cinematic Universe. La storia del cinema accoglie, a braccia non troppo aperte in realtà, un decennio di grande cinema popolare legato agli Avengers e a ciò che ruota attorno a loro, con più di venti film e un’affluenza nelle sale di tutto il mondo da record. In questo clima si innesta la possibile partecipazione da protagonista di Avengers: Endgame. Il film dei fratelli Russo, capitolo conclusivo della saga dedicata ai Vendicatori, sfrutterà l’eco generato dalle tre statuette vinte da Black Panther all’ultima edizione.
Posizionatosi al secondo posto nella classifica dei film con l’incasso più alto nell’intera storia del cinema, dietro solo ad Avatar, Avengers: Endgame può essere una mina vagante in questi Oscar 2020. Le candidature per quanto riguarda gli aspetti tecnici, come gli effetti speciali, sembrano scontate ma non pensiamo sia limitata a queste la scelta. Se per Black Panther aveva inciso il valore socio-culturale e l’impatto del film sul pubblico, in questo caso bisogna riconoscere che lo straordinario successo pubblico è un vero fattore determinante per la possibile candidatura al miglior film. La strada è stata tracciata, adesso chissà.
Joker
La DC Comics negli ultimi anni ha provato e riprovato a tener testa a Marvel nel mercato cinematografico, purtroppo con risultati appena sufficienti. I film rilasciati dal binomio DC-Warner non hanno quasi mai convinto e l’ultimo vero successo, proprio per collegarci agli Oscar, è legato alla trilogia di Batman diretta da Christopher Nolan. Il nuovo progetto però sembra essere il vero trampolino di rilancio, riprendendo la storyline di un personaggio in comune con i film di Nolan. Il nuovo titolo sulla figura di Joker ha, fin dal primo trailer, riscosso incredibile successo. Ciò è stato generato anche dall’interessante campagna di promozione che ha visto per un certo periodo di tempo l’uscita di immagini inedite dal set, molto evidentemente fatte ad hoc.
Nei panni dell’acerrimo nemico di Batman vedremo Joaquin Phoenix, attore dall’immenso talento ancora poco riconosciuto e che grazie a questo ruolo potrebbe togliersi qualche soddisfazione nella stagione dei premi cinematografici. Diretto da Todd Phillips, regista della saga di Una notte da leoni, il film vanta nel cast altri attori di spicco; tra essi risalta certamente il nome di Robert De Niro. Il film che può segnare la rinascita della DC, in ambito cinematografico, consegna un mezza certezza: dopo tre nomination, questa è probabilmente la volta buona per far pronunciare a Joaquin Phoenix un discorso al Dolby Theatre.
Oscar 2020: premi in salsa horror?
Noi (Us)
Dopo il successo internazionale del suo debutto alla regia, arrivando a vincere un Oscar alla sceneggiatura originale, Jordan Peele torna nelle sale. Il ritorno, dopo Get Out, è con il macabro Noi (Us), un film dalle tinte più cupe rispetto al precedente e più marcatamente spinto verso il genere horror. In questo prodotto però restano comunque presenti le tematiche affrontate in passato, che spaziano dalla critica alla società e alla politica. Un film che, dietro l’anima thriller-horror, nasconde un sostrato culturale profondo e incisivo portando lo spettatore a riflettere per elaborare ciò che ha visto e per rimettere insieme i pezzi.
Peele mostra una storia violenta e crudele ma profondamente pervasa dall’ironia, dal grottesco e dall’intelligenza della messa in scena. Difatti, rispetto al precedente film, il regista fa emergere il suo vero lato da director mostrando interessanti spunti registici che avvalorano un prodotto scritto con arguzia e intelligenza. Le disparità sociali sono le protagoniste in quest’horror politico e familiare che ci mostra come ognuno di noi nasconde un lato oscuro che, quando viene a galla, mette in discussione tutte le certezze che abbiamo costruito. Che sia nuovamente indirizzato verso la vittoria di un premio importante? Se così fosse, sarebbe la meritata consacrazione di un artista che sta rivoluzionando i canoni dell’horror contemporaneo.
The Lighthouse
Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs dell’ultimo Festival di Cannes, The Lighthouse può essere una delle sorprese positive per gli Oscar 2020. Il film è diretto da Robert Eggers, noto per il piccolo gioiello horror The VVitch. Il film, che sarà distribuito da Focus Features (ancora non è nota la data d’uscita italiana), vanta tra i protagonisti nomi del calibro di Robert Pattinson e Willem Dafoe. Il film è girato in un formato quasi asfissiante, un 1,19:1 che si avvicina moltissimo ad un perfetto quadrato. Oltre a ciò, là particolarità è anche il bianco e nero che affascina ma allo stesso tempo aumenta il senso d’inquietudine. La perfetta ricostruzione storica, come del resto nel precedente film, ci trasporta dentro una storia in cui l’animo umano fa da protagonista e l’isolamento porta a rimettere in gioco la propria stabilità attraverso il mistero.
Il film narra la storia di Ephraim Winslow e Thomas Wake, due uomini che, da guardiani di un faro, per quattro settimane saranno isolati dal resto del mondo. La convivenza inizia nel migliore dei modi: i due si dividono i compiti da svolgere le giornate proseguono più o meno normalmente. Ma con il passare del tempo alcuni misteri sembrano non essere casuali e le ossessioni a riguardo portano la situazione a degenerare. Il faro, luogo mistico e soprattutto criptico, porta alla luce l’instabilità generata dall’isolamento e la situazione non potrà che peggiorare.
Midsommar
In una lista con 15 film da tenere d’occhio per gli Oscar è difficile trovare un horror. Ancora di più trovarne due. Dopo Jordan Peele, infatti, vogliamo “premiare” un autore che pian piano sta rivoluzionando il cinema horror e sta raccogliendo sempre più favori: Ari Aster. Dopo il suo esordio straordinario con Hereditary – Le radici del male, torna in sala con Midsommar – Il villaggio dei dannati. Questo è uno dei film più interessanti della stagione e soprattutto una delle scommesse più azzardate e curiose del genere horror. Le peculiarità di Midsommar infatti sono legate al colore e alla luce: il film, al contrario del precedente Hereditary e della buona parte dei film del genere, è quasi completamente girato alla luce del sole, del giorno.
La storia è classica e lineare: un gruppo di amici visita un festival in un villaggio che solo apparentemente sembra pacifico, nascondendo però dei macabri segreti dietro a dei particolari rituali. Il fulcro del film sta proprio nella capacità di creare il dramma e il terrore alla luce del sole. Il debutto alla regia non ha ottenuto nessuna candidatura, pur avendo un supporto enorme da pubblico e critica. Questa volta Ari Aster potrebbe trovare la via giusta per la consacrazione e per sdoganare una volta per tutte i limiti del genere horror agli Oscar.
Oscar 2020: film drammatici
Ad Astra
Ad Astra – Missione classificata è il nuovo film di James Gray che mixa fantascienza, thriller, dramma e avventura. Lo stesso regista ha paragonato il suo ultimo lavoro a Cuore di tenebra, romanzo di Joseph Conrad, per via delle analogia legate alle ostilità del mondo, conosciuto e non (aveva ispirato anche Coppola per Apocalypse Now). Sempre Gray ha affermato di voler portare sul grande schermo “la miglior rappresentazione dello spazio mai vista in un film“; compito piuttosto arduo se solo si pensa agli illustri precedenti. Il film è in arrivo nel mene di settembre nelle sale di tutto il mondo anche se le riprese iniziarono già nel 2017.
La trama vede Roy McBride seguire le orme paterne, indagando sull’esistenza di forme di vita alternative nello spazio e cercando notizie sul fallimento della missione del padre, nel tentativo di ricongiungersi a lui dopo due decenni. Ma lo spazio, come la terra, offre sorprese inaspettate e scioccanti, capaci di mettere a dura prova la resistenza di ognuno. Gray si avvarrà di Hoyte van Hoytema alla fotografia: quest’ultimo aveva già assaporato lo spazio con Interstellar di Nolan. Nel cast troviamo Brad Pitt, nel ruolo del protagonista, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv Tyler e Donald Sutherland.
The Farewell
Arrivato, grazie ad A24, da pochissimo negli Stati Uniti ed accolto eccellentemente già dalle anteprime, The Farewell è uno dei quei titoli che difficilmente vedranno luce nelle sale cinematografiche italiane. La commedia drammatica americana scritta e diretta da Lulu Wang si inserisce in quel filone di film indipendenti molto ben accetti in patria ma con poca distribuzione all’estero; casi eclatanti recenti quelli di Eighth Grade e Sorry To Bother You. Anche se, in fondo, la speranza è l’ultima a morire. Un dramma familiare dai toni leggeri, a volte frizzanti e grotteschi, che racconta la storia di una famiglia americana di origini cinesi. Questa dopo aver scoperto che la nonna in Cina sta molto male a causa di un cancro, deciderà di andarla a trovare nascondendole però il referto medico.
Nel cast spicca il nome dell’attrice e cantante Awkwafina, amata dal pubblico statunitense. Il film è stato apprezzato per l’ottima ricostruzione dei drammi familiari che, pur soggetti alle specificità di una cultura diversa, riescono a parlare con un linguaggio universalmente riconoscibile. Un prodotto che, oltre alle dinamiche interpersonali, affronta la particolare condizione sociale e psicologica delle generazioni a metà tra una cultura ed un’altra, specie quelle a metà tra oriente e occidente.
Oscar 2020: tra storia e letteratura
1917
Girato tra l’Inghilterra e la Scozia, il nuovo atteso film di Sam Mendes si preannuncia come uno dei titoli di punta della prossima stagione. Poco si sa riguardo alle vicende narrate in 1917; ciò che è certo è che i protagonisti sono due giovani soldati britannici in prima linea e mostrerà una serie di eventi che si svolgeranno nell’arco di 24 ore. Ciò che sappiamo e che fa ben sperare del film è il cast: Benedict Cumberbatch, Colin Firth, Mark Strong, Richard Madden e Andrew Scott sono solo alcuni degli attori presenti nel war movie in questione.
Secondo le fonti provenienti dalla Universal il film è un prodotto estremamente “immersivo” e sembra che Mendes stia girando il film come unico blocco narrativo in piano sequenza. Se davvero così fosse, questo conferirebbe un valore aggiunto non da poco ad un titolo che già promette bene. Inoltre, piccola curiosità, l’esperimento piano sequenza all’Academy non dispiace affatto (si veda il caso di Birdman). Sam Mendes è, inoltre, co-sceneggiatore insieme a Krysty Wilson-Cairn del film che arriverà il 25 dicembre nelle sale e tra i produttori figura il nome di Steven Spielberg.
Piccole donne
Come lo scorso anno con A Star is Born, anche nel 2019 vedremo in sala un’opera già più volte messa in scena. Stiamo parlando della quinta trasposizione cinematografica del romanzo di Louisa May Alcott, Piccole Donne. Alla regia di questa versione ci sarà Greta Gerwig e il film vanterà un cast da capogiro. Tra i nomi più importanti citiamo Meryl Streep, Saoirse Ronan, Timothée Chalamet, Emma Watson, Laura Dern e Bob Odenkirk. Il film, secondo le indiscrezioni, sembra voler essere minuziosamente preciso nella cura del dettaglio. La regista ha espressamente richiesto di girare nei luoghi in cui è cresciuta l’autrice del romanzo e, studiando dipinti e usi dell’epoca, ha voluto rendere il suo Piccole donne il più accurato e preciso possibile.
Le vicende sono, appunto, quelle narrate nel romanzo. La storia segue le quattro sorelle March: Meg, Jo, Beth e Amy. L’ambientazione è l’America del XIX secolo. Il film sarà sviluppato seguendo una narrazione non cronologica ma tematica: la crescita delle sorelle sarà, infatti, accompagnata dai ricordi dell’infanzia e della famiglia. La nuova versione di Greta Gerwing promette di colpire nel profondo sia gli amanti del romanzo che gli altri spettatori. Sappiamo quanto l’Academy sia legata a questo tipo di storie e trasposizioni. Questo potrebbe portare il film ad essere tra le sorprese della prossima stagione.
Il cardellino
Noto per il film precedente, Brooklyn, John Crowley torna con Il cardellino (The Goldfinch). Il film è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto da Donna Tartt del 2014, vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa. Un cast principale di alto livello può essere la vera arma in più per uno dei titoli più emozionanti e drammatici che potremo vedere nella prossima stagione. Tra i nomi più importanti Ansel Elgort, Sarah Paulson, Finn Wolfhard e Nicole Kidman. Un progetto di prestigio e nel quale vi ripongono altissime aspettative, in primis osservando chi si occuperà della fotografia: il recente premio Oscar Roger Deakins. Il film è prodotto da Amazon Studios e sarà distribuito da Warner (in Italia ad ottobre).
Il film parla della storia di Theo Decker, tredicenne sopravvissuto ad un attacco terroristico al Metropolitan Museum of Art. In quell’occasione, però, a perdere la vita è sua madre. Profondamente segnato dalla tragedia, il ragazzo troverà conforto in un quadro visto quel giorno al museo: Il cardellino, di Carel Fabritius. Neanche quando Theo sarà adottato da una ricca famiglia la sua mente riesce a dimenticare e i drammi vissuti vengono rievocati continuamente, in una continua sofferenza. Però le cose cambieranno proprio grazie a quel quadro.
Oscar 2020: i titoli Netflix
Storia di un matrimonio
Uno dei probabili protagonisti, secondo previsioni, degli Oscar 2020 potrebbe essere il nuovo film di Noah Baumbach. Storia di un matrimonio (Marriage Story) sarà interpretato da un cast di altissimo livello nel quale troviamo Scarlett Johansson e Adam Driver, oltre che Ray Liotta e Laura Dern. Il film sarà distribuito a dicembre da Netflix, dopo esser stato proiettato in alcune sale (manovra di mercato che la piattaforma di streaming ha in mente per i film della prossima stagione). Il film è stato accolto molto positivamente al Festival di Venezia dove sono state lodate le performance degli attori, probabili nominati nelle rispettive categorie, e della regia di un Baumbach alla sua seconda collaborazione con Netflix.
La storia è quella di Charlie, regista teatrale, e Nicola, attrice. I due sono sposati e hanno un figlio piccolo ma qualcosa nel loro matrimonio non va. Storia di un matrimonio, infatti, si concentra sul loro travagliato e sofferto divorzio, sul processo di accettazione e sulle difficoltà del caso. Baumbach torna al tema del divorzio dopo Il calamaro e la balena e lo fa portandoci all’interno degli asfissianti spazi interni delle case, delle singole camere. New York e Los Angeles fanno da comprimarie, anche se non come ci potremmo aspettare, in un film che ha tutte le carte in tavola per essere tra i più interessanti della prossima stagione cinematografica, con la possibilità di concorrere per molti premi importanti.
The Irishman
Lo attendevamo già nella precedente edizione della cerimonia ma questa volta, salvo imprevisti, dovrebbe essere la volta giusta. Il ritorno al gangster movie di Martin Scorsese è la ciliegina sulla torta per concludere un 2019 ricco di proposte interessanti e per proiettarci agli Oscar 2020. Sembra impossibile immaginare una cerimonia nell’anno dell’uscita di un film di Scorsese senza la sua presenza in sala. Ma la situazione con The Irishman è complessa perché di mezzo c’è Netflix e sappiamo bene i rapporti non troppo fraterni con l’Academy. Il film è basato sul llibro I Heard You Paint Houses di Charles Brand e presenta un cast che farebbe paura a qualunque regista e produttore. Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci e Harvey Keitel: quattro leggende che da sole potrebbero riassumere la storia del gangster movie del secondo Novecento.
La storia segue le vicende di Frank Sheeran, veterano della Seconda Guerra Mondiale ed ex sicario per la mafia. L’uomo dovrà fare i conti con il suo passato e riflettere sulle sue scelte legate alla malavita e alla scomparsa di un suo caro amico. The Irishman sarà il film più costoso diretto da Scorsese. 200 milioni di budget, circa, di cui una parte abbastanza elevata è stata spesa per gli effetti speciali. Difatti per buona parte del film i protagonisti sono ringiovaniti di svariate decine d’anni: ciò, oltre all’impatto che il film potrà avere su pubblico e critica, rende The Irishman una delle tappe più importanti per il cinema che verrà. Passato e futuro insieme per tentare di strappare le statuette più importanti e portare a casa un successo globale.
Oscar 2020: tratto da una storia vera
Rocketman
Tra i tanti film che hanno dominato l’ultima edizione degli Oscar sicuramente Bohemian Rhapsody va citato come interessato speciale. Agli Oscar 2020 potrebbe affacciarsi nuovamente un biopic sulla vita di un musicista. Questa volta sarà il turno di Elton John, nato Reginald Dwight: la storia scorre a ritroso, partendo da una situazione particolare che porterà l’artista a confrontarsi con sé stesso e con il suo passato. Alla regia c’è Dexter Fletcher, regista noto anche per aver “completato” Bohemian Rhapsody: l’esperienza sul set di quest’ultimo può aver dato una scossa alle idee per Rocketman, che difatti si mostra in maniera diversa, più fresca e dinamica.
Rocketman non sceglie la via della ricostruzione maniacale, anzi tende ad essere allucinato e addirittura romanzato. La scelta è quella di proporre una storia a metà tra realtà e sogno, un viaggio onirico a ritroso nelle vicende di una leggenda della musica. Leggenda che ha supervisionato in prima persona, accettando con grande entusiasmo le scelte. Da citare la performance del protagonista, Taron Egerton: attore eccellente, cantante sorprendente e chissà che non possa seguire le orme del “predecessore” Rami Malek e portarsi a casa una statuetta? Premio Oscar a cui potrebbe ambire anche Bryce Dallas Howard, grazie alla performance più convincente della sua carriera.
Le Mans ’66 – La grande sfida
Noto a lungo con il titolo internazionale di Ford v Ferrari, un ulteriore biopic arriva nelle sale ed è pronto a sbaragliare la concorrenza per un posto in prima fila alla cerimonia degli Oscar 2020. Le premesse sono ottime e le condizioni per una perfetta riuscita ci sono tutte. Il biopic è un genere che appassiona sempre, reso dinamico dalla storia ambientata nel mondo sportivo dell’automobilismo. Il cast è eccezionale, con Matt Damon e Christian Bale in prima linea, e la regia di James Mangold è un particolare da non sottovalutare. Il film arriverà nelle sale a fine anno, in tempo per rientrare tra i possibili candidati.
Le Mans ’66 segue le vicende degli ingegneri e dei membri della scuderia statunitense Ford, ingaggiati da Henry Ford e Lee Iacocca per portare a termine un compito particolarmente ostico. A tirare le redini del team ci sono il progettista Carroll Shelby e il suo polita britannico Ken Miles. L’arduo compito è quello di costruire una vettura in grado di competere con la Ferrari nella 24 Ore di Le Mans del 1966, riuscendo a vincere. La vettura in questione è la Ford GT40. Il film diretto da Mangold ha l’odore di grande classico biografico che celebra le gesta dello sportivo di turno (americano, se possibile) ma forse è proprio questo che serve per poter sedurre i membri dell’Academy.