I giorni del dolore: paura della morte e resistenza al lutto in sei grandi film.
<È già da molto che ti cammino a fianco>. Così la morte si presentava ad Antonius ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. Dal 1957 sono passati ben sessant’anni, durante i quali il soggetto ‘Morte’ è stato ampiamente sviscerato sul grande schermo. Limitandoci all’ultimo ventennio si potrebbe citare una vagonata di film, da Ghost a Il sesto senso, da The Others ad Amabili Resti. D’altra parte sono sicuramente intrascurabili l’intera filmografia di Iñárritu (in particolare 21 Grammi) così come le riflessioni filosofico-esistenziali di un Malick (La sottile linea Rossa; The Tree of Life) o di un Sorrentino (Le conseguenze dell’Amore; La Grande Bellezza). L’elenco potrebbe continuare ad oltranza. Tuttavia, qui si vogliono consigliare sei specifiche pellicole che hanno rappresentato in maniera autentica le più disparate reazioni o di chi è prossimo alla morte o di chi si trova ad affrontare un lutto, più o meno annunciato. L’obiettivo non è quello di fare classifica alcuna, motivo per cui l’ordine del seguente elenco è puramente casuale.
1) Paradiso Amaro (2011). Matt King abita alle Hawaii con la figlia minore e la moglie Elizabeth. A seguito di un brutto incidente in barca, Elizabeth entra in coma e i medici escludono ogni possibilità di risveglio. Mentre cerca di farsi carico di responsabilità delegate per troppo tempo alla moglie, Matt si rassegna lentamente alla nuova situazione. Tuttavia, scoprirà con sorpresa che la moglie non solo aveva un amante, ma stava anche per chiedergli il divorzio: il dolore diventa improvvisamente rancore. Alexander Payne è uno di quei Registi con la erre davvero maiuscola. Come aveva già dimostrato con il precedente A proposito di Schmidt e come avrebbe comprovato con il successivo Nebraska, Alexander Payne ha la straordinaria capacità di descrivere i sentimenti sgangherati e contraddittori di uomini improvvisamente consapevoli della propria solitudine. Ne viene fuori una vicenda tragicomica, che trova la sua essenza nel suo essere irresistibilmente buffa. Premio oscar per la migliore sceneggiatura non originale e candidatura come migliore attore protagonista per George Clooney, forse nella migliore interpretazione della sua carriera. Sconfitto da Jean Dujardin (Carneade: chi era costui?), riuscì comunque a vincere il Golden Globe come migliore interprete drammatico.
‘ Una famiglia, in fondo, sembra esattamente un arcipelago: sono tutti parte dello stesso insieme, ma separati e soli. E lentamente, s’allontanano sempre di più! ’
2) Bella Addormentata (2012). Mentre il caso di Eluana Englaro scuote l’Italia intera, più storie si intrecciano: quella di un senatore che deve decidere se votare a favore o meno della sospensione dell’alimentazione di Eluana; quella di una tossicodipendente con manie suicide; infine, quella di una madre rinchiusasi in casa da anni per assistere la figlia in coma. Marco Bellocchio firma, ancora una volta, un’opera volutamente provocatoria nella sua coraggiosa difesa del libero arbitrio. Senza schierarsi super partes, il regista prende una posizione decisa: l’eutanasia è un diritto inalienabile e, in mancanza di alternative veramente valide, ognuno deve essere libero di optare per una morte dignitosa. Presentato in concorso al Festival Di Venezia, il film attirò un’inevitabile pioggia di critiche feroci e di elogi sperticati; la verità, se davvero ne esiste una sola, sta nel mezzo. Infatti, Bellocchio è il regista più meravigliosamente anarchico del Belpaese! L’intento è quello di scuotere le coscienze con una pellicola di matrice fondamentalmente politica, che fa della difesa della scelta individuale il proprio cardine. In un cast stellare, spiccano un’algida Isabelle Huppert e un Toni Servillo lacerato dai dubbi: già nella storia del cinema italiano il grandioso dialogo tra Servillo e Roberto Herlitzka, singolare psichiatra di una vecchia classe politica avvizzita e disperata.
‘ La vita in sé è una condanna a morte…motivo per cui non c’è tempo da perdere!’