Le Belve – L’artificio di Oliver Stone – con Blake Lively e John Travolta: la Recensione
“Solo perché vi racconto questa storia non significa che io sia viva”
Ben e Chon – rispettivamente interpretati da Aaron Taylor-Johnson e Taylor Kitsch – sono amici per la pelle, tanto che condividono tutto, dall’amore per la sensuale Ophelia – detta O, alias Blake Lively – alla coltivazione e spaccio della migliore marijuana della California del Sudamerica. La loro tranquillità viene messa in crisi da un’organizzazione di narcotrafficanti messicani, che inizialmente gli mostra un misterioso video di torture e poi gli propone un accordo. L’organizzazione criminale, che ha a capo una spietata donna, Elena, interpretata da Salma Hayek, con il suo terribile braccio destro Lado (Benicio Del Toro), ha intenzione però di forzare la mano, pungendoli sul loro lato più debole..
Le Belve è un riadattamento del romanzo originale scritto da Don Winslow, con l’accompagnamento in sceneggiatura, oltre allo scrittore del romanzo, di Shane Salerno e dello stesso regista Oliver Stone. A differenza dello scritto originario però, qui si conferisce più importanza a ruoli che prima, invece, erano ritenuti invece secondari, come quello di Dennis, poliziotto corrotto interpretato da John Travolta. Esattamente come vengono eliminati personaggi come la madre della protagonista, che sembrava essere non di poca importanza. Giusto dire, comunque, che viene mantenuto lo spirito del lavoro sul romanzo di Don Winslow, che d’altronde partecipa anche a questa scrittura. Anche la conclusione si differenzia dallo scritto, ma questa è tutta da scoprire.
Ci troviamo di fronte ad una di quelle storie che, per narrarle, si doveva per forza far riferimento a tutti quei codici pulp che negli anni abbiamo visto susseguirsi. Ed è esattamente quello che Stone fa. C’è un elemento in particolare che ricorda in un certo qual modo Suicide Squad di David Ayer. Anche se più che ricordarlo lo ha in comune, visto che la pellicola di Stone è del 2012, ben 4 anni prima. Ci sembra come se venissero messi dei corpi in vetrina, per sottolinearci quanto questi cattivi siano veramente brutali. Ma poi, parlando concretamente, non lo sono. Non fanno niente per esserlo. Chiaramente nella Suicide di Ayer tutto questo era quasi il tema centrale del film. Ne Le Belve, in originale Savages, invece, la violenza c’è. Forse non abbastanza. O forse ne avremmo voluta vedere di più. Ciò che colpisce, però, è proprio questo. Questa cattiveria ostentata ma mai veramente raggiunta da Stone è tra gli apici toccati dal film, e si intende in positivo. Chiaramente il discorso della brutalità di cartapesta potrebbe risultare del tutto negativo ed invece risalta quelle qualità su cui il film vuole chiaramente far leva. Le Belve vuole essere un film artefatto, a partire dalla fotografia così accesa per arrivare all’uso di una voce off che sin dall’inizio mette lo spettatore in difficoltà – vedere la citazione di cui sopra – .
Bisogna infatti prenderlo per quello che è, non facendo l’errore di concentrarsi troppo su delle possibili pretese tendenti allo smascheramento di ciò che si cela dietro la mente di alcuni giovani ambiziosi dell’imprenditoria illegale o pretese secondo le quali Oliver Stone avrebbe voluto analizzare a fondo temi come l’antiproibizionismo o la marijuana in chiave curativa. Se si commette lo sbaglio di pensare che la pellicola di Stone vuole sviscerare queste tematiche, allora probabilmente non si coglie ciò che il regista vuole veramente portare sullo schermo e qual è la funzione di Le Belve, probabilmente più ludica di ciò che si potrebbe pensare. Un lavoro che non si prende troppo sul serio. Con i suoi difetti, chiaramente. Ad esempio, ci piacerebbe sapere come mai Blake Lively ha tutta questa paura a spogliarsi. – ?! –