L’ufficiale e la spia: recensione del film di Roman Polanski – Venezia 76
Polanski torna dietro la macchina da presa con un film storico accurato e avvincente
L’ufficiale e la spia è il nuovo film di Roman Polanski presentato in competizione al 76° Festival del cinema di Venezia. Il film segna il ritorno della regia dell’autore polacco su un fatto storico, dopo Il Pianista (2002). La pellicola è interpretata da Jean Dujardin, Louis Garrell, Emmanuelle Seigner (musa e moglie di Polanski) e Luca Barbareschi. La sceneggiatura è stata scritta dal regista stesso e dall’autore del romanzo omonimo Richard Harris. Il film tratta del caso Dreyfus, ovvero il lungo caso giudiziario che ha coinvolto l’ufficiale Alfred Dreyfus, incolpato di essere una spia tedesca all’interno dell’esercito francese. Polanski prende questo fatto storico e lo riporta sullo schermo in maniera personale ma neutra, mostrando i fatti e i comportamenti dei personaggi come sono accaduti. Andiamo a scoprire nella recensione de L’ufficiale e la spia il “gioco” di investigazioni e indagini a cui il regista è riuscito a dar vita.
Indice
Chi era Alfred Dreyfus? – L’ufficiale e la spia recensione
Alfred Dreyfus, come il regista stesso, è di origini ebraiche e questo sarà fonte di problemi e pregiudizi. Tenendo a mente il lavoro che Polanski ha fatto con Il Pianista, dipinge un personaggio che viene sì incolpato ingiustamente ma non per questo da considerare come un eroe. Al contrario, il personaggio interpretato da Louis Garrel è antipatico, è un soldato che sa di essere innocente e non cerca di rendersi martire, bensì accetta la sua condizione lottando comunque per la sua libertà. Garrel recita molto bene, in delle vesti quasi irriconoscibili rispetto al look alla The Dreamers che è solito portare. Stempiato, con gli occhiali e in abito militare, Dreyfus è un soldato che viene preso e trasportato all’Isola del Diavolo, dove rimarrà per anni in isolamento. Polanski conosce bene la solitudine e l’antisemitismo, per cui costruisce un personaggio vero e realistico, lontano dagli stereotipi e false idealizzazioni.
Dreyfus non è un santo, non è un eroe, è un uomo comune, un soldato, e si comporta come tale. Come gli altri personaggi viene descritto in modo realistico, risultando così estremamente umano. Ad affiancare la vittima del caso giudiziario l’ufficiale Piquart, interpretato da Jean Dujardin, un uomo di sani principi che lotta per la giustizia. Uomo di guerra, conosce bene l’esercito e i suoi doveri da ufficiale, non simpatizza per gli ebrei ma non per questo li condanna. È proprio così che si comporta con Dreyfus, andando sempre alla ricerca della verità. Il governo francese invece si mostrerà pregiudizievole, ingannevole e ingiusto. Per quanto ami la sua patria e la sua Francia, Polanski ci fa vedere il suo lato oscuro, quello che si nasconde dietro alla bellezza e alle buone maniere francesi.
Stile e aspetti tecnici
Dal punto di vista stilistico, L’ufficiale e la spia è curato in ogni minimo dettaglio. Ogni inquadratura ha una composizione studiata e armoniosa, che i protagonisti siano soldati dell’esercito o giovani francesi su di un prato. A riguardo di ciò, una delle più belle composizioni che Polanski costruisce è quella che vede la moglie Emmanuelle Seigner, seduta su di un prato a fare colazione a ricordare il famoso quadro di Édouard Manet, Colazione sull’erba. Altre composizioni notevoli sono quelle sul campo di battaglia tra i militari e quelle ambientate nei palazzi francesi, mostrando tutta l’eleganza e la solennità dell’inizio 900. Dal punto di vista registico, Polanski predilige campi lunghi e lente panoramiche, enfatizzando i grandi panorami francesi e i suoi edifici. Come in altri suoi film, non mancano dissolvenze tra una scena e l’altra, fondendole nella narrazione.
Dal punto di vista fotografico, Pawel Edelmen gioca con la luce naturale come se fossimo all’interno di Barry Lyndon, di Stanley Kubrick. Le inquadrature si concentrano sui volti, sui grandi saloni francesi e le stanze del governo e dei tribunali. La scenografia in questo senso gioca un ruolo fondamentale, andando a trasportare lo spettatore all’interno della narrazione. Gli abiti, i quadri, le strade, tutto è curato nel migliore dei modi così da offrire la migliore rappresentazione della Francia del secolo scorso. Una rappresentazione molto diversa da quella che portava sullo schermo Woody Allen con Midnight in Paris, dove la Francia e Parigi erano esaltati per la loro grande ricchezza culturale e apertura mentale. Qui vediamo l’altro lato della medaglia francese, quello spaventato che tiene all’immagine e che non può commettere errori. Che sia con il sangue o con l’inganno, la nazione va salvaguardata e rappresentata come unita e pacifica.
Considerazioni finali – L’ufficiale e la spia recensione
Polanski ci fa riflettere su quanto il mondo in fondo non cambi mai e su come i pregiudizi siano da sempre presenti nell’uomo. Gli stereotipi e la paura dello sconosciuto, dello straniero, porta l’umanità a commettere delle azioni deplorevoli. Il regista ha trattato tematice molto simili in altri suoi lavori come Rosemary’s Baby, L’inquilino del terzo piano e Repulsione, senza nominare il già citato Il Pianista.
In conclusione, L’ufficiale e la spia di Roman Polanski non può non essere vista, sia per lo stile che adopera sia per il contenuto che emerge. Forse non uno dei migliori Polanski degli ultimi anni in termini di narrazione e pathos; ma quando si investiga un fatto storico la sceneggiatura deve inevitabilmente adattarsi. Questo rende la storia forse un po’ più piatta di quello che avrebbe potuto essere se il regista si fosse distaccato un po’ di più dal romanzo di Harris. Quello a cui però siamo di fronte è una bellissima e profonda trasposizione di un fatto storico importante e determinante. Uno di quelli che ha segnato la storia e dimostrato quanto sia importante non fermarsi alle apparenze per ottenere la verità.
L'ufficiale e la spia
Voto - 8
8
Lati positivi
- Aspetti stilistici (regia, fotografia, scenografia)
- Rappresentazione realistica dei personaggi
- Interpretazioni
Lati negativi
- Poca emozione a favore della ricostruzione