Nell’erba alta: recensione del film horror Netflix tratto da un racconto di Stephen King
Dopo Il gioco di Gerald e 1922 Netflix continua a scommettere su Stephen King con un nuovo film
Da qualche anno il cinema da sala e da streaming ha riscoperto le storie di Stephen King, con la creazione di numerosi adattamenti di famosi romanzi e opere più ricercate del maestro del brivido. Dopo l’ottimo risultato de Il gioco di Gerald e il meno riuscito 1922, Netflix torna a investire su Stephen King con Nell’erba alta, film di Vincenzo Natali (Cube – Il cubo). Questo prodotto Originale Netflix è basato su un racconto scritto a quattro mani dal re del brivido e da suo figlio Joe Hill. In questo articolo la nostra recensione di Nell’erba alta.
La storia è decisamente intrigante: due fratelli si inoltrano in un campo di erba alta per aiutare un bambino che si è perso in quel luogo. Una volta entrati, si perderanno e scopriranno che trovare una via d’uscita è un’impresa impossibile. Tra simbologia, percorsi interiori e scenari disturbanti, Nell’erba alta è un film interessante per i temi trattati ma non del tutto riuscito per quanto riguarda la gestione della narrazione, la creazione del terrore e l’approfondimento dei personaggi.
Indice
- Trama
- Un horror da interpretare
- Confusione e scarsi approfondimenti
- Attori, regia e comparto tecnico
- Conclusioni
Nell’erba alta recensione
La trama del film si concentra su due fratelli, Cal e Becky, in viaggio verso San Diego per risolvere una questione relativa alla gravidanza della ragazza. I due si fermano con l’auto vicino a un campo di erba alta, quando Becky si ritrova ad avere la nausea. Scesi dall’auto, entrambi iniziano a sentire le grida di un bambino, che chiede loro aiuto per uscire dall’erba, dato che vi si è perso insieme ai suoi genitori. A quel punto Becky e Cal decidono di addentrarsi in quel folto campo per rispondere alla richiesta d’aiuto, ma inaspettatamente si perdono di vista.
Nel tentativo di ritrovarsi per poi tornare alla loro auto, i due fratelli scoprono che c’è qualcosa di strano in quel campo. Tempo e spazio cominciano a cambiare in modo incomprensibile e la strada per l’uscita diventa sempre più difficile da raggiungere. Soprattutto a causa di qualcosa di maligno che sembra abitare quel luogo, in cui i due protagonisti non si sarebbero mai dovuti addentrare.
Un horror da interpretare
Come tanti racconti di King, anche Nell’erba alta ha diversi elementi stratificati che compongono la narrazione. L’esperienza di terrore che i vari personaggi vivono in mezzo all’erba alta si intreccia a percorsi interiori relativi alla redenzione o alle scelte che si compiono nella vita. Non mancano l’esplosione della violenza e il confronto con la metà oscura che fa parte di tutti noi. Questa emerge, come visto in altre opere di King, in uno spazio ristretto creato da un qualcosa di sovrannaturale.
In tale contesto, quindi, tutti i personaggi si rivelano per quello che sono veramente; inoltre operano un’analisi di coscienza su scelte determinanti già fatte o ancora da fare. L’erba alta viene mostrata così allo spettatore come un luogo fisico, che però racchiude una dimensione metafisica; al suo interno spazio e tempo non seguono normali regole, mentre l’uomo finisce costretto ad affrontare i propri demoni, oltre che innumerevoli esperienze terrificanti. Tutto ciò non appare in modo troppo evidente nel film, ma si svela poco a poco fino al finale. Qui è possibile interpretare tutto il percorso dell’orrore visto in precedenza, anche con qualche riflessione personale in più.
Nell’erba alta recensione: confusione e scarsi approfondimenti
Tutto ciò sembrerebbe essere un mix di ingredienti perfetto per un lungometraggio. Purtroppo la resa finale è densa di imperfezioni, che si spargono su diverse componenti di questo film Originale Netflix. La narrazione filmica procede in modo discontinuo, tra momenti disturbanti e intermezzi noiosi, tra ritmi senza fiato e molte perplessità e confusione. Proprio quest’ultima è fin troppo preponderante: per la maggior parte del tempo lo spettatore si ritrova ad assistere a una narrazione confusionaria, spesso disordinata e non in grado di catturare a pieno. Arrivati poi al finale, non si ha la sensazione di aver dato un ordine completo al “trip” visto in precedenza.
La situazione non migliora poi nel caso dei personaggi. Questi subiscono il trattamento sbagliato: la sceneggiatura riserva loro uno scarso approfondimento psicologico a favore di numerosi momenti disturbanti. In questo caso la mano di Vincenzo Natali è ben visibile, vista la sua esperienza con altre pellicole horror. Alcune di queste sequenze sono molto efficaci, ma nel momento in cui diventano troppe e anche troppo sopra le righe perdono totalmente il loro fascino. Ed è quel che accade quando iniziano ad affastellarsi nell’ultima parte del lungometraggio.
Attori, regia e comparto tecnico
La sceneggiatura non è in grado di creare un approfondimento psicologico dei personaggi e sfortunatamente anche gli attori fanno lo stesso. Gli interpreti principali (Laysla De Oliveira, Harrison Gilbertson, Avery Whitted) non sono in grado di scavare a fondo nei loro personaggi, risultando quasi anonimi. Molto bravo invece Patrick Wilson (The Conjuring, Insidious), che già in Oltre i confini del male – Insidious 2 aveva svelato le sue capacità nell’interpretare uomini ambigui e malvagi. Per quanto riguarda il comparto tecnico, bisogna parlare della regia di Vincenzo Natali. Il regista, alla fine degli anni Novanta, ci aveva stupito con Cube – Il cubo, in cui un piccolo gruppo di persone si ritrovava rinchiuso in un enorme cubo pieno di trappole mortali.
Anche in quel caso la storia procedeva svelando la terribile metà violenta che contraddistingue l’uomo. Perciò Nell’erba alta si rivela un materiale perfetto per la sua mano registica, che si muove lentamente fra le foglie e in diverse occasioni si lascia andare a piccoli virtuosismi. Il lavoro registico, però, si rivela imperfetto nel creare tensione e mistero sempre efficaci: come già detto, la noia a volte si alterna ai momenti disturbanti. Da elogiare invece il lavoro sul sonoro, in particolare sulla soundtrack, che tenta di creare un’atmosfera riconducibile al folklore. Non è un caso, visto che il film opera una contaminazione con l’horror di quel genere.
Nell’erba alta recensione: conclusioni
Concludendo la recensione, Nell’erba alta di Vincenzo Natali è un horror simile a un viaggio mentale, che richiede dunque un’interpretazione finale. Questo viaggio, tuttavia, è imperfetto perché la narrazione è fin troppo confusionaria, disorientata e disorientante. Un vero peccato perché, avendo un materiale di partenza di qualità come il racconto di King, ci si sarebbe aspettati qualcosa di meglio. Soprattutto un lavoro migliore sul fronte psicologico dei personaggi. In questo anche gli attori si rivelano poco esperti, a eccezione del buon Patrick Wilson.
Dunque Nell’erba alta rappresenta un piccolo passo indietro sul versante degli adattamenti delle opere di Stephen King. Questo è avvenuto a causa di una sceneggiatura non eccezionale, ma anche a causa di una regia non all’altezza di quella di Mike Flanagan, che ci aveva stupito con Il gioco di Gerald. Vincenzo Natali sa il fatto suo nel campo dell’horror, ma aveva destato non poche delusioni con il suo Splice, un film di dubbio gusto con un plot twist finale decisamente trash. Questa sua ultima fatica, invece, si può ritenere un buon prodotto, non privo di imperfezioni e denso di alcuni aspetti interessanti.
Nell'erba alta
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- Il film è un racconto dell'orrore che esplora i temi della redenzione e delle scelte umane
- Alcune sequenze disturbanti
Lati negativi
- Troppa confusione che regna nella narrazione
- Scarso approfondimento psicologico dei personaggi