Game of Thrones è morto: la settima stagione ne dà l’annuncio
La settima stagione di Game of Thrones è giunta al termine. Ma non tutto è andato per il verso giusto. Analizziamo, in questa semi-seria recensione di Game of Thrones, i motivi del suddetto flop.
Può una sola stagione gettare alle ortiche quanto di buono fatto nelle precedenti? Probabilmente no, ma gli showrunner di Game of Thrones, l’irreparabile duo David Benioff/D.B. Weiss, ci sono andati vicinissimo. Con un risultato che ricorda la catastrofica gestione Giler-Hill in Alien³, con buona pace di David Fincher, costretto a dirigere un mondezzaio purissimo. E di Ridley Scott e James Cameron, che si videro stuprare il soggetto sotto gli occhi. Oppure, restando in termine televisivi, torna alla mente l’allucinogena gestione di Dexter a partire dalla quinta stagione: d’altronde un decadimento qualitativo di questo calibro può essere giustificato solo dall’utilizzo di sostanze stupefacenti da parte degli sceneggiatori. E non sono neanche passati 22 anni: cosa che a George Lucas costò un evidente morbo d’Alzheimer oltre all’abisso che separa La minaccia fantasma (1999) da Una nuova speranza (1977).
Insomma questa settima stagione di Game of Thrones non è andata poi così bene.
Con buona pace degli ascolti, sempre e ancora più alti. Ma in un mondo dove i numeri sono testimonianza di alcunché, gli One Direction sarebbero i nuovi King Crimson; Rovazzi il nuovo De André. Con le opportune differenze, chiaramente.
La settima stagione di Game of Thrones viene, infatti, osannata dallo spettatore medio, che, in una costante gara a chi è il più nerd e a chi sostiene meglio una strenua difesa filiale, critiche non può accettare. In un contesto del genere, pubblicare quest’articolo non è affatto semplice. Ma qualcuno doveva pur farlo.
Ecco allora i sette motivi per i quali la settima stagione di Game of Thrones sta a Game of Thrones come L’onore e il rispetto sta a The Sopranos.
1) TRA PLOT HOLES E DEUS EX MACHINA
Nella settima stagione di Game of Thrones si ricorre spesso all’utilizzo di deus ex machina per tirare avanti i fili dell’intreccio, lasciandosi dietro pure qualche bel buco narrativo. Sceneggiatura assolutamente bocciata.
La settima stagione di Game of Thrones offre facilonerie di sceneggiatura degne dei peggiori b-movie. Ne è un esempio lampante Samwell Tarly, trasformato in un deus ex machina vivente tirato fuori al momento opportuno per risolvere situazioni: dalla scoperta delle miniere di Vetro di Drago alla miracolosa cura contro il temibilissimo (fino ad allora) Morbo Grigio; passando per la scoperta del matrimonio tra Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark, ennesimo coniglio dal cilindro della coppia D&D.
Ma, in generale, è l’intera stagione ad essere costellata da soluzioni del genere: da Euron Greyjoy alla Davy Jones (il fatto che nessuno lo veda mai arrivare in mare è giustificabile solo pensando che sia al timone dell’Olandese Volante) fino alla rocambolesca fuga di Jaime Lannister e Ser Bronn dalle grinfie dell’esercito di Daenerys. E degli Immacolati, ormai alla deriva in quel di Castel Granito, che si ritrovano belli che pimpanti, alle porte di Approdo del Re?
Tutto questo è NULLA se pensiamo a cosa gli sceneggiatori sono stati in grado di propinarci sul finale di stagione. Si scopre infatti che i non-morti sono uniti da un fil rouge agli Estranei. Morti quest’ultimi, muore la cerchia di non-morti associata all’Estraneo di turno. Ora, non solo questa soluzione ci regala uno dei deus ex machina più imbarazzanti degli ultimi decenni, per cui casualmente un solo non-morto resta in vita, affinché il nostro manipolo di eroi lo prendi con sé, ma va anche in evidente contraddizione con quanto mostrato precedentemente: si pensi alla battaglia di Aspra Dimora, quando Jon Snow uccide per la prima volta un Estraneo, ma nessun non-morto crolla a terra privo di vita. E no: il fatto che una cosa così importante avvenga off-screen non è concepibile. È, invece, evidente come questa soluzione sia stata partorita alla bella e buona dagli autori, per riequilibrare le forze in campo e permettere ai nostri di avere una possibilità, altrimenti remota.
NB: Notare anche la differenza prettamente registica. Quella di Aspra Dimora è una battaglia girata magistralmente, carica di tensione e dove Jon Snow appare veramente sul punto di cedere. E anche i non-morti fanno il loro. Nella settima stagione, invece, bastano una decina di uomini su una roccia per tenere a bada un centinaio di non-morti.
Ci potremmo poi soffermare su come venga tirato fuori il drago dal lago ghiacciato o sul perché il Re della Notte colpisca Viserion in volo, piuttosto che Drogon. E invece no: perché non è importante il come o il perché fin quando lo spettatore medio non si pone domande (o millanta risposte da riluttante fanboy). E infine davvero vogliono farci credere, dopo 7 stagioni, che quella di Mirri Maz Duur fosse un’inaffidabile profezia? Ma sì, Daenerys è di nuovo fertile e magari dall’agghiacciante sequenza incestuosa c’è pure scappato il pargolo. Degno delle migliori soap-opera.
2) I DIALOGHI
Uno tra i tanti punti di forza di Game of Thrones: la qualità dei suoi dialoghi.
Almeno fino alla quinta stagione: da lì in poi, stacco netto e progressivo declino.
Come sottolinea Alessandro Testa nel suo articolo Chi ha ucciso Game of Thrones?:
“C’era una cosa che nelle prime stagioni adoravo di Game of Thrones, lo scambio di battute: vive, brillanti, interessanti, mai di troppo e mai scontate. Anche nei lunghi e tanti momenti di calma e poca azione i dialoghi erano trascinanti e intelligenti, perfettamente funzionali allo scopo per i quali esistono: mandano avanti la storia e caratterizzano i personaggi.”
Peccato che la qualità dei dialoghi sia evidentemente crollata già a partire dalla quinta, fino al tripudiante trash della settima stagione di Game of Thrones. E no, la scusante del la serie sta finendo, quindi è logico che ci sia più azione che dialogo è, per l’appunto, una scusante. Specie considerando come la settima stagione potesse sfruttare un prestigioso asso nella manica: l’incontrarsi, e il rincontrarsi, dei personaggi principali. Quanto tempo abbiamo atteso l’incontro tra Daenerys e Jon Snow? (ndr, io personalmente zero). E come si è risolto? Parte benissimo, ma a metà episodio siamo già ad occhi languidi, battute a metà tra Sentieri e Centovetrine, con René Ferretti pronto a scritturare i due per Gli occhi del cuore 4.
Quanto tempo abbiamo atteso la reunion tra Tyrion e Jaime? Anche questa parte bene: entrambi hanno l’opportunità di riscattarsi, il primo dopo anni di spalluccia comica alla corte di Daenerys, dove ha bellamente campato di rendita, e il secondo dopo i continui tiri e molla con Cersei. E poi? I due iniziano a recitare, ma non c’è tempo perché Ser Davos deve sponsorizzare i granchi fermentati e Gendry deve dimostrare di saper reggere una mazza in mano. Tolti gli scambi Theon-Jon, alcuni nella Suicide Squad, e l’iniziale scambio Daenerys-Jon, si fa veramente fatica a ricordare dei dialoghi brillanti in questa settima stagione di Game of Thrones.
3) PERSONAGGI
Un pastrocchio di scelte poco comprensibili porta i personaggi, nella settima stagione di Game of Thrones, in un limbo narrativo tra regressione culturale e crescita annullata.
La gestione dei personaggi in questa settima stagione di Game of Thrones ha raggiunto chimeriche vette di nonsense. Si è già detto di Tyrion Lannister, ormai l’ombra di sé stesso: non solo ha perso la verve comica e la tipica parlantina, ma si è anche dimostrato un totale imbecille in ambito di strategia militare; i suoi piani geniali sono infatti costati, all’incirca, metà esercito alla Regina dei Draghi. Non che me ne dispiaccia, sia chiaro, ma resta incredibile la totale involuzione del personaggio da quando ha lasciato Approdo del Re. Discorso identico per il fratello Jaime Lannister: uno stravolgimento centellinato nel corso delle prime stagioni, fin quando la coppia D&D non ha deciso di riscoprirlo, nuovamente, come cagnolino di Cersei (quantomeno fino all’ultimo folle piano della regina). E che dire di Jon Snow? Incredibile come un idiota del genere sia ancora vivo quando nei Sette Regni personaggi ben più intelligenti e onorevoli sono già belli che morti e ammazzati.
Innanzitutto è da rilevare come la resurrezione, che tecnicamente, o almeno così ci viene fatto intendere, avrebbe dovuto portare a una perdita del proprio sé, non abbia portato alcunché, se non alla riduzione di un acume già di per sé non sensazionale. Ricapitoliamo: da quand’è resuscitato ha prima caricato l’esercito di Ramsay Bolton senza numeri, andando incontro a morte certa, se non fosse stato per Sansa/Petyr Baelish. Si è poi diretto a Roccia del Drago, ha avallato uno dei piani più stupidi di sempre (rapire il non-morto) senza portare truppe al seguito; con grande spavalderia ha dimostrato alla Reginetta di saper tirare di spada, portando inconsapevolmente alla morte di Viserion; ha infine negato la tregua Targaryen/Lannister per il solo gusto di ribadire il proprio moralista e idiota senso dell’onore, del dovere, e dell’amore. Peccato che Game of Thrones ci abbia abituato a come vani sono questi sentimenti. E Jon Snow dovrebbe saperlo benissimo: la testa del padre sta ancora rotolando; quella di suo fratello è stata, invece, pittoricamente sostituita da un lupo imbalsamato. Lui stesso è morto, prendendosi decine di coltellate sul petto.
E non è cambiato nulla: complimenti alla caparbietà, senza dubbio.
Capitolo a parte Daenerys Targaryen, sempre più imbarazzante e totalmente inadatta a regnare: notare come passi da non sono una conquistatrice a dateji foco a sti pezzenti che non vogliono inginocchiarsi nel giro di qualche nanosecondo. Però siccome è figa e le sue entrate in scena sono colossali con tanto di draghi e musica epica in sottofondo, allora sì è un personaggio costruito benissimo, cresciuto, e sicuramente capace di governare un continente complesso come quello di Westeros. E magari Jorah Mormont ha pure qualche possibilità di bombarsela.
Ci sarebbe poi da dirne di cotte e di crude sull’ormai inutile presenza di Varys o sulla neuropatia che affligge Petyr Baelish, ma passiamo ad altro.
4) TRA FANSERVICE, MEME E TRASH
Uno dei problemi principali in ambito narrativo, sia esso romanzato, cinematografico o seriale, è quando l’autore sfrutta le idee dei propri fan per farle sue. Esattamente come accade nella settima stagione di Game of Thrones.
Mai come nella settima stagione di Game of Thrones si è visto del fanservice così plateale. Ma che cos’è, per chi non lo sapesse, il fanservice?
“Fan service o fanservice è un termine gergale usato, soprattutto con riferimento agli anime ed ai manga, per indicare l’attenzione prestata da parte della produzione circa particolari marginali o gratuiti che non hanno un peso reale sulla trama, ma sono presenti solo per soddisfare le richieste di un certo tipo di pubblico (per dare, appunto, un servizio ai fan). Di solito quando si parla di fan service si fa riferimento a quello di tipo sessuale, ma ce ne sono anche di altri tipi; secondo alcune critiche anche i camei, omaggi, citazioni e guest star rientrano in questa categoria.”
Il rincontrarsi tra Arya e Nymeria, tanto atteso dai fan? Fanservice.
Jorah che torna da Daenerys, con tanto di abbracci friendzonatori? Fanservice.
Davos che fa a Gendry “pensavo stessi ancora remando”? Fanservice.
Arya che risponde “No one” alla domanda su chi l’ha addestrata? Fanservice.
Missandei che parte col papello di titoli/per Davos “Lui è Jon Snow“? Fanservice. Stendiamo poi un velo pietoso su Theon Greyjoy che riconquista la fiducia degli uomini delle Isole di Ferro grazie alla mancanza di palle. Cinepanettone italico.
Pare quasi che gli sceneggiatori si siano affidati ai vari meme che circolano da anni sul web per colpire lo spettatore medio che, noncurante di tali stratagemmi, sarà colpito perché “è proprio quello che pensavo/volevo vedere“.
Ma che cos’ha trasformato Game of Thrones nel Fairy Tail delle serie tv?
5) DOVE SONO I MORTI
Di sicuro la settima stagione di Game of Thrones non ha regalato momenti di alta tensione. Un’aura protettiva protegge i personaggi principali che, pur in situazioni ansiogene, non paiono mai effettivamente in pericolo.
Può una serie come Game of Thrones, che fa delle morti eccellenti il proprio punto cardine, sbagliare anche su questo? Eppure lo fa, sia nella scelta che nelle modalità. Nella scelta perché a rimetterci le penne sono anche e soprattutto personaggi marginali, la cui morte non rappresenta altro che lo sfoltimento generale del cast prima del rush finale, piuttosto che un punto di svolta narrativo. Nelle modalità perché nessuna di queste morti colpisce nel segno: Olenna Tyrell si addormenta, off-screen, in un sonno eterno; la morte dei Tarly non andrebbe neanche considerata (e quella grande stratega di Daenerys avrebbe potuto usarli in mille altri modi); quella di Thoros di Myr è una delle più anti-climatiche mai viste; quella di Benjen è semplicemente comica: non ci è dato sapere da dove sia spuntato, a meno che non si pensi che il territorio oltre la Barriera sia pari in estensione al giardinetto del mio condominio (il che spiegherebbe molte cose). Per il resto questa perla d’immagine trovata sul web è piuttosto esplicativa. Quiz: come moriresti ne “Il Trono Di Spade”?
Glissando su quella di Ellaria e della figlia, che per quanto resa bene, porta gli spettatori ad esultare (complimenti ancora a D&D per come hanno trattato la storyline di Dorne), l’unica morta eccellente, ma telefonatissima sin dai primi episodi, resta quella di Petyr Baelish: giustissimo che se ne vada nel più codardo dei modi, implorando pietà, ma le fondamenta dell’accusa non si reggono in piedi, visto che si basano su un omicidio in cui Sansa stesso testimoniò nonché sulle folli visioni (per gli uomini della Valle) di un paraplegico. Stupisce come uno dei più grandi strateghi dei Sette Regni sia stato messo all’angolo da un’accusa tanto frivola.
6) IL TELETRASPORTO
Per questo spesso soggetto di critica Game of Thrones ha visto uno snaturamento totale nella gestione degli spostamenti: per quanto sia da apprezzare una svolta più action, queste dinamiche potevano e dovevano essere trattate meglio.
Si è tanto discusso, in questa settima stagione di Game of Thrones, sulle dinamiche spazio-temporali piuttosto rivedibili. Di Jon Snow che nel giro di due episodi percorre il tragitto Grande Inverno-Roccia del Drago-Forte orientale; di Euron Jones; dell’esercito Lannister che si catapulta ad Alto Giardino per poi essere caricato dal catapultatosi esercito Targaryen. E lì tutti a dire: gnegnegne, le storyline non vanno di pari passo, tra uno spostamento e l’altro passano mesi, e via discorrendo. Peccato che questa sia soltanto una paraculata biblica degli autori.
Insomma, il teletrasporto narrativo esiste eccome: l’esempio più lampante è nella missiva Gendry-corvo-Daenerys-draghi. E lo si spiega benissimo anche in quest’articolo di Inmediarex trovato casualmente (e dal quale ho anche rubacchiato l’immagine sopra). Tornando a noi, vi risparmio la solfa su quanto sia improbabile che Gendry (il più veloce? e quando l’hanno scoperto?), mai stato alla Barriera e oltre, per di più in mezzo a una bufera, riesca a tornare a Forte Orientale senza problemi. O di quanto sia improbabile che Daenerys, mai stata alla Barriera e oltre, li localizzi in men che non si dica manco avessero un GPS. No, parliamo solo delle tempistiche: una manovra del genere sarebbe costata almeno un paio di giorni, o quantomeno una nottata. Beh, il cambiamento notte/giorno non avviene e sembra proprio che Daenerys si sia teletrasportata sul luogo del misfatto. Very nice job, D&D.
7) UNA STAGIONE RICCA DI IDEE E COLPI DI SCENA
Cos’è mancato nella settima stagione di Game of Thrones, più di ogni altra cosa? I colpi di scena. Tutto va come deve andare: i buoni si alleano, i cattivi vengono estirpati, il grigiore morale è stato annientato a favore di un più consono e banale dualismo bianco/nero.
Da Cersei che si allea imprevedibilmente con Euron Greyjoy, al geniale marchingegno di Qyburn per abbattere i draghi: un mega-balestrone. Passando per il famigerato piano di Tyrion alla conquista di Castel Granito, fino a quello per convincere Cersei che la vera minaccia sia rappresentata dagli Estranei: rapire un non-morto. Cioè, veramente, per partorire una ciofeca simile gli sceneggiatori si saranno veramente impegnati . Come da copione il tutto è solo un deus ex machina per far passare il drago dalla parte di un Night King sempre più brutto e cattivo (cosa che nessuno nessuno si aspettava, eh); prevedibilmente Cersei se ne sbatte e volta le spalle ai nostri eroi, facendo finta di accettare una tregua per poi ritrar la mano e negare una tregua che aveva già negato inizialmente. Viene da chiedersi allora: perché far finta di accettare la tregua? Misteri della sempre più fantasiosa mente degli autori.
Il tutto è poi condito dal mega-colpo-di-scena: Euron non è fuggito, ma tornerà con un esercito di mercenari. Bene, benissimo, ma che motivo avrebbe avuto Euron di andarsene, se i due non sapevano ancora del non-morto? Sul finale Jaime passa finalmente dalla parte dei buoni, zia e nipote bombano come non mai, mentre il nano li guarda intristito (vogliono realmente ficcarci in mezzo pure un’eventuale infatuazione di Tyrion verso Daenerys? Oook…). Si scopre infine che il pervertito Bran ha avuto il tempo di spiare la sorella mentre copulava passionalmente col tenero Ramsay Bolton, ma non ha avuto sbatti per scoprire il vero nome di Jon Snow: Aegon Targaryen. Pane, amore e fantasia: Aegon Targaryen era anche il nome di uno dei figli di Rhaegar ed Elia Martell. Ma questa, è un’altra storia.
CONCLUSIONI:
Più di un anno di attesa, e soltanto sette episodi: ci si aspettava tantissimo dalla settima stagione di Game of Thrones. Come di consueto, l’aspettativa non è stata ripagata.
La decisione degli showrunner di tagliere la consueta stagione da 10 episodi è stata dettata, probabilmente, dalla volontà di massimizzare la CGI, per restituire al pubblico un fantasy che potesse competere, o quasi, con le grandi produzioni cinematografiche: e il risultato è, effettivamente, entusiasmante. I draghi non sono mai stati così mastodontici e belli; le battaglie non hanno mai avuto degli effetti speciali così imponenti. Tutto ciò è andato però a discapito della qualità della narrazione: il ritmo compassato ha ceduto il passo a un andamento più action, con spostamenti repentini e convergenza innaturale delle varie storyline. Ne hanno fatto le spese i dialoghi, oltre che i personaggi stessi. E fin qui, potremmo pure starci dentro. Il più grosso problema è, però, la sceneggiatura: fin troppo artificiosa, con una pressoché totale assenza di idee, di colpi di scena veri. Ne avevamo già avuto modo di parlare: non è chiaro cosa sia successo, ma l’ipotesi più ovvia è che gli sceneggiatori, staccatisi dal materiale originale, non siano stati in grado di riprodurre una versione alternativa, ma coerente, delle dinamiche narrative precedenti. Vero è che su alcuni decisioni narrative pesa l’indirizzamento dello stesso George R.R. Martin, ma costruirci attorno interi episodi si è rivelato arduo per la coppia D&D.
Come ci fa notare anche una scena post-credits di uno degli ultimi episodi di Rick and Morty, la scrittura sembra essere morta. Non ci resta che sperare che, un po’ come Jon Snow, resusciti per degnarci di un finale come si deve.