Figli: recensione del film con Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi
La divertente e amara via crucis di una coppia alle prese col secondo figlio
Lui e lei discutono animatamente, lei si getta dalla finestra. È l’incipit surreale del realissimo Figli, film di cui vi proponiamo la recensione. In sala dal 23 gennaio, Figli è l’ultima fatica della affilata penna di Mattia Torre. Lo sceneggiatore, romano di nascita, è prematuramente scomparso a luglio, dopo una lunga battaglia contro il cancro; aveva da poco compiuto 47 anni. Il film, con protagonisti Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi, è l’adattamento cinematografico del monologo teatrale I figli ti invecchiano; il testo, anch’esso scritto da Torre, era stato portato a teatro dallo stesso Mastandrea.
Negli ultimi mesi di vita, Mattia Torre stava lavorando alla realizzazione del film; aggravatesi le sue condizioni di salute, lo sceneggiatore ha passato il testimone a Giuseppe Bonito, che di Figli è diventato il regista. Torre è una delle menti che ha generato Boris, acuta serie tv che raccontava avventure e travasi di bile di un regista di soap opera, e della sua troupe sgangherata. Il malcapitato regista era infatti costretto a soccombere alle logiche di quel mostro a tre teste chiamato auditel (che oggi ha moltiplicato le sue teste, e ha chiamato le femmine visualizzazioni e i maschi follower). Il potere di disturbare e alleggerire allo stesso tempo era tutto nella penna di Mattia Torre: Figli è l’ultima, dissacrante creatura di questo artista, ed è anche un omaggio alla sua carriera.
Indice
La trama – Figli recensione
Cosa accade quando una coppia ha il primo figlio? Nulla, o meglio nulla di così tragico. Lo sanno bene Nicola e Sara, che hanno una figlia che va già a scuola e che, nonostante ciò, la sera hanno ancora voglia di saltarsi addosso. Ma se per caso arriva il secondo figlio, le cose si complicano. E quando Sara rivela a Nicola di essere di nuovo incinta, sui visi di entrambi è facile scorgere ciò che si abbatterà sulle loro vite. Tra pediatre sapientone e babysitter bizzarre, Nicola e Sara provano a convincersi che quella del secondo figlio sia stata una buona idea. Anche quando Anna, la figlia grande, mostra di non essere entusiasta del nuovo arrivo. Perfino quando i genitori di entrambi rifiutano elegantemente l’invito a fare i nonni (loro che, in effetti, nonni del bambino lo sono per davvero).
Ma chi sono Nicola e Sara? Due eroi in difficoltà, che durante un percorso a ostacoli rischiano di smarrire il loro eroismo. Nicola lavora in un bar, Sara ispeziona le cucine dei ristoranti. Lui ogni giorno si divide tra clienti alienati e colleghi disfattisti; lei, ogni giorno, si amareggia per la mancanza di cura dei ristoratori, celata nel dietro le quinte dei locali che ispeziona. Entrambi sulla quarantina, Nicola e Sara sono assolutamente normali. E come molti adulti normali, residenti in Italia e con più di un figlio a carico, si ritrovano in un mare di guai. Ma come si fronteggiano gli imprevisti senza trasformare la propria casa in un ring? Come si gestiscono stress e responsabilità, evitando che la famiglia diventi solo un serbatoio di frustrazioni? Figli risponde con una parola salvavita: ironia.
Ironia: istruzioni per l’uso
L’ironia è la cifra di tutto il film, la lente che filtra ogni sequenza. La forza di Figli sta nel cogliere dettagli che sono sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno nota. O, almeno, non nel modo in cui lo fa il film. Figli mette sotto la lente di ingrandimento vezzi e manie del genitore e dell’italiano medio, raccontandole con un sarcasmo che scuote e non infastidisce. Dagli scontri generazionali ai problemi con l’agenzia dell’entrate; dalla mancanza di tempo libero, alla mancanza di voglia di avere tempo libero (perché ci si è dimenticati come usarlo). Sono ritratti uno dietro l’altro momenti tragicomici della vita di una madre e di un padre, dagli scenari post-apocalittici delle feste dei bambini alle nottate passate in bianco.
Il film è uno zoom su una vita in cui chiunque può riconoscersi, che diventa una lista di cose da fare prima per non sentirsi in colpa poi. Così Sara, che prima chiedeva a Nicola “Mi ami?”, ora comincia a chiedergli “Mi vuoi bene?”. Il problema è che Sara non si accorge del cambiamento, e forse neppure Nicola. Subissati da impegni inderogabili, due genitori al secondo figlio non sono più i supereroi che avevano messo al mondo il primo. Così gli angoli esterni degli occhi si piegano all’ingiù, le richieste di aiuto falliscono, e Nicola e Sara smettono di guardarsi. E di comunicare.
Analisi tecnica – Figli recensione
Se la normalità dei personaggi induce lo spettatore a immedesimarsi, la sceneggiatura composita e la regia anticonvenzionale creano un effetto straniante. Il film è strutturato in otto capitoli, otto stazioni di una claustrofobica via crucis. I dialoghi non sono mai banali, e benché molto serrati non creano caos; in alcuni momenti però, i personaggi sottolineano leziosamente delle frasi incisive, che alle orecchie dello spettatore arrivano come sentenze. Al di là di questo neo, la scrittura asciutta è uno dei perni su cui si regge la forza di Figli. La regia sceglie molte inquadrature frontali e ampie, che accolgono entrambi i protagonisti (senza stacchi sul viso di uno o dell’altro); in questo modo le reazioni dell’uno alle parole dell’altro rimangono sempre sotto gli occhi dello spettatore.
La macchina opta per una staticità che fa da contrasto al dinamismo nevrotico dei protagonisti; il caos che irrompe nella vita di Nicola e Sara è accarezzato da movimenti della camera lenti, che svelano gradatamente il loro privato. Alcuni momenti salienti del film si svolgono sulla porta di casa: un luogo che è cesura e cerniera tra il dentro (che è prigione e non più nido) e il fuori (a metà tra evasione e smarrimento). La scelta delle voci fuori campo dei due protagonisti/narratori irrobustisce lo straniamento, che raggiunge il suo apice quando allo stridente pianto del neonato si sostituisce la Patetica di Beethoven. Una sorta di iperuranio/paradiso infernale in cui sfilano tipologie di genitori disastrosi (e molto realistici) si aggiunge alla serie di trovate azzeccate.
Interpretazioni e considerazioni finali – Figli recensione
Per un Favino che trascorre ore al trucco per diventare Craxi, c’è un Mastandrea che con la faccia da italiano inadeguato c’è nato e cresciuto. Lo guardi appena compare sullo schermo, e sai già cosa lo aspetta nella successiva ora e mezza. Brava anche Paola Cortellesi, sempre uguale eppure diversa; è difficile non tifare per il suo personaggio (come per tutti quelli che ha interpretato negli ultimi anni, dai più umani ai più odiosi). Un plauso anche a Stefano Fresi, l’amico-gufo insopportabile. Chi non ha quell’amico che, quando compare il suo nome sul display del cellulare, ti fa rimpiangere i bei tempi in cui non esisteva nemmeno il telegrafo? L’amico che completamente privo di empatia, riesce a trovare sempre la parola giusta per farti sprofondare nell’abiezione: ecco, Fresi è quell’amico. E magari, dopo averlo visto nel film, qualcuno si convincerà ad aggiungere alla lista nera il proprio amico-gufo.
In conclusione di questa recensione di Figli si può sottolineare come sia un film composito e originale. Non importa che scegliate il cinema più confortevole della zona, perché durante la visione del film si sta scomodi sulla poltrona. Figli disturba lo spettatore e insieme ne provoca l’ilarità. Fa un uso azzeccato del mezzo cinematografico, non inocula rabbia cieca ma usa lo spirito per risvegliare dal torpore. O almeno per provare a farlo. Figli invita a familiarizzare col gigantesco punto interrogativo che pende sulle teste di tutti, che ci segue sul posto di lavoro e tra le mura di casa; ma ci suggerisce velatamente che, se vogliamo avere la speranza di trasformarlo in punto esclamativo, l’unica possibilità che abbiamo è riderci sopra.
Figli
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- Lo sguardo acuto sulla realtà
- L'effetto straniante di alcune scelte
- Le interpretazioni dei protagonisti
Lati negativi
[tie_list type="thumbdown"]
- La scansione in capitoli spezza un po' il ritmo, rendendo il film poco fluido
Quando ho letto che il film era tratto da un monologo di M. Torre proposto da Mastandrea, ho avuto tante
risposte vedendo questo film. La pellicola, infatti, si avvale di una sorta di sketchs quasi televisivi legati tra loro e
cio’ fa perdere consistenza al costrutto del film stesso. Non credo che aggiunga molto a tematiche
del genere comunque gia’ viste ed inoltre la venatura ironica che doveva essere piu’ evidente a volte
latita, lasciando un senso di ”pesantezza” generale…insomma poche le vie di uscita…
Buona la prova dei protagonisti soprattutto Mastandrea che da l’imprimatur venato di malinconia al suo personaggio.