Alla mia piccola Sama: recensione del documentario di Waad al-Kateab

La lettera di una madre a una figlia, la testimonianza della resistenza di un popolo

Sappiamo tutto sulla Siria. Dalla rivolta inserita nel contesto delle primavere arabe, alla repressione da parte del regime di Assad, al conflitto ancora in atto; sappiamo tutto e abbiamo visto tutto. Eppure, mentre nella provincia di Idlib si consuma una delle peggiori crisi umanitarie di tutti i tempi, nessuno si muove; continuiamo ad assistere al massacro di un popolo e alla cinica indifferenza degli Stati. Sappiamo tutto eppure non abbiamo mai visto niente di simile al documentario di cui vi proponiamo la nostra recensione: Alla mia piccola Sama, della regista e giornalista Waad Al – Kateab.

Waad Al – Kateab ed Edward Watts firmano una delle testimonianze più sconvolgenti, intime e potenti sui cinque anni dei conflitti ad Aleppo, dalle sollevazioni popolari alla repressione del regime. Attraverso una videolettera alla figlia Sama, la regista documenta le sue vicende personali e la storia di una città e di un popolo martoriato dalla guerra civile più sanguinosa dei nostri tempi. Il film, che ha ricevuto una candidatura agli Oscar di quest’anno, ha vinto come miglior documentario ai BAFTA 2020 e al Festival di Cannes 2019. Nella versione italiana la voce della regista e narratrice è quella dell’attrice Jasmine Trinca.

Indice

La trama – Alla mia piccola Sama, la recensione

La giovane siriana Waad Al – Kateab ha solo 18 anni quando, contro il parere della famiglia, si trasferisce ad Aleppo per studiare giornalismo. Testarda e determinata, Waad persegue il suo obiettivo e quando, nel 2011, scoppiano le prime rivolte contro il regime di Assad è in prima linea per documentare le manifestazioni studentesche. Conosce Hamza, uno studente di medicina che condivide i suoi stessi ideali e con cui presto si instaura un rapporto di profonda amicizia. Dal 2011 al 2016 Waad riprende tutto quello che succede attorno a lei: la lunga resistenza e l’agonia di Aleppo, i bombardamenti russi, la sistematica distruzione di obiettivi civili. Parallelamente documenta le tappe fondamentali della sua crescita personale; l’amicizia per Hamza che diventa amore, il matrimonio, la nascita di Sama.

Ed è proprio alla piccola Sama che Waad si rivolge mentre scorrono le immagini del documentario. La giovane regista cerca di spiegare alla figlia il perchè della decisione di farla nascere in un Paese devastato, un Paese in cui è molto più facile vedere un bambino morire che crescere. Senza mai abbandonare la telecamera, per 5 anni Waad riprende ogni fase della sua storia personale e della Storia di Aleppo e del suo popolo; la resistenza, il lavoro in ospedale di Hamza, la vita e la morte. Alla mia piccola Sama è il risultato del lavoro di questi 5 anni, legato insieme dalle parole di una madre a una figlia, che diventa simbolo universale di speranza e coraggio.alla mia piccola sama recensione

Usa i tuoi occhi – Alla mia piccola Sama, la recensione

Usa i tuoi occhi, non riprendere“. È con queste parole che un amico di Waad, durante una delle prime manifestazioni studentesche, si rivolge alla regista in un momento di tensione altissima. Ma Waad non si ferma, non smette di filmare e capiamo che gli occhi e la telecamera sono, per lei, la stessa cosa. La differenza tra i due mezzi sta nel fatto che la telecamera cattura e trattiene le immagini, rendendole indelebili sia per chi riprende che per chi osserva. Ed ecco allora che coi nostri occhi siamo chiamati a vedere tutto ciò che Waad ha visto, in una spirale senza scampo. Noi potremmo chiuderli gli occhi, assecondando un istinto di difesa naturale di fronte a scene insostenibili; oppure potremmo assorbire passivamente, come facciamo di fronte alle immagini distanti e filtrate di un telegiornale.

Eppure non lo facciamo, perché fin dall’inizio del film oggetto della nostra recensione è chiaro che uno degli intenti principali di Waad è quello di farci assumere le nostre responsabilità con l’atto del vedere. Vedere fin nell’ultimo dettaglio (che la telecamera di Al – Kateab non nasconde mai) ciò che abbiamo sempre e solo guardato distrattamente; usare i nostri occhi come mai abbiamo fatto prima. Ci sono dei momenti nel documentario in cui quasi ci arrabbiamo con la regista che non abbassa la telecamera di fronte a nulla e insiste nel mostrarci tutto. Ma è proprio questo il suo gesto di lotta, insistere sul dolore per farci usare i nostri occhi in modo attivo. E, lo dicevamo prima, Alla mia piccola Sama ci spinge ad assumerci la responsabilità di testimoni partecipi e mai passivi.

Osservazioni tecniche – Alla mia piccola Sama, la recensione

Come già accennato nella nostra recensione, Alla mia piccola Sama è il risultato del montaggio di circa 500 ore di riprese realizzate fra il 2011 e il 2016. Waad Al – Kateab e Edward Watts si incontrano nel 2016, quando la regista e la sua famiglia hanno da poco lasciato la città di Aleppo ormai devastata. I due hanno assemblato il girato dando vita a un lungometraggio di 94 minuti circa; le immagini in presa diretta sono arricchite da alcune impressionanti panoramiche di Aleppo che mostrano la distruzione di una città antichissima e ricca di storia. Il montaggio è serrato e incalzante, in linea con ciò che viene mostrato sullo schermo: una vita in cui i tempi sono dettati dai bombardamenti, la ricerca di un posto sicuro, la paura. Le scene di guerra e quelle delle emergenze nell’ospedale improvvisato gestito da Hamza sono intervallate da momenti teneri, intimi e familiari.

Momenti che vedono al centro la piccola Sama, protagonista degli unici respiri di speranza e serenità all’interno del documentario. Momenti che rappresentano un contrasto straziante con le scene di disperazione e di morte violenta di cui, spesso, sono proprio i bambini ad essere protagonisti. Totalmente assente ogni tipo di colonna sonora; scelta, questa, coerente con la rappresentazione nuda e cruda della realtà. A fungere da colonna sonora sono i suoni e i rumori della vita quotidiana ad Aleppo. Da una parte il ronzio degli aerei, gli scoppi delle bombe, le urla delle madri; dall’altra le canzoni popolari, qualche sporadica risata, le ninne nanne che Waad canta a sua figlia.

Considerazioni finali

Arrivati alla conclusione della nostra recensione di Alla mia piccola Sama possiamo affermare senza dubbio che il documentario di Waad Al – Kateab è un appello che va ascoltato. Il film è una denuncia urgente, una testimonianza fondamentale e inedita, il racconto di un conflitto di fronte al quale le grandi potenze occidentali si sono girate dall’altra parte. Ma è anche la dichiarazione di una madre che, senza mai mettere in discussione le sue scelte, si mette a nudo di fronte alla figlia e agli spettatori. Spesso non capiamo fino in fondo la decisione di Waad e Hamza di non fuggire e mettere in salvo la loro giovane famiglia, pur avendone la possibilità. Non lo capiamo e ci sentiamo a disagio, perché arriviamo ad arrabbiarci con chi ha anteposto la causa di un popolo alla sicurezza personale.

Sono molti i sentimenti che proviamo durante la visione, in un film tanto duro e violento quanto tenero ed emozionante. Alla mia piccola Sama colpisce nel segno, come testimonianza unica nel suo genere che scuote e risveglia, spinge a informarsi e documentarsi ulteriormente. I premi ricevuti e la candidatura agli Oscar 2020 sono il sacrosanto riconoscimento del lavoro di una donna che ha dedicato la vita e sacrificato tutto per la causa in cui credeva. “Non pensavamo che il mondo avrebbe permesso tutto questo, ma io continuo a filmare“: una frase, questa pronunciata da Waad, che pesa come un macigno sulle nostra coscienze addormentate. Nonostante i 94 minuti di girato facciano male come uno schiaffo, si esce dalla sala confortati dal pensiero che quello che Waad ha fatto per Sama e per il suo popolo avrà un valore eterno e universale.

Alla mia piccola Sama

Voto - 9

9

Lati positivi

  • Testimonianza forte e importante
  • Una prospettiva inedita sulla storia di Aleppo

Lati negativi

  • Qualche difetto nel doppiaggio italiano

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