Tra vita e morte – I migliori film che indagano l’ultima tappa dell’esistenza
Una lista di film che indagano il misterioso e affascinante tema della morte
Per l’uomo la morte ha rappresentato un mistero, un enigma, sin dall’inizio della sua esistenza. Nel corso degli anni, l’umanità ha cercato di esplorarla attraverso l’arte, la musica, la letteratura, e, fin dalla sua nascita, anche attraverso il mezzo del cinema. Alcuni film sulla morte cercano di indagare e di far riflettere su questa tappa obbligata dell’essere umano. Alcuni hanno come sfondo l’oscuro presagio della morte, altri, invece, indagano il sentimento che scaturisce dalla perdita di una persona cara e le conseguenze che si trascina quel vuoto che essa ha lasciato.
Altri film toccano il tema della morte in quanto scelta consapevole. Alcuni registi e sceneggiatori riescono a consegnarci la poetica dell’accettazione della morte, e alcuni la esorcizzano come il comico napoletano Massimo Troisi nel suo celebre Non ci resta che piangere. Diversi modi di vederla e diversi modi di interpretarla, ecco quindi una lista di film che esplorano il tema della morte da diversi punti di vista.
– Ricordati che devi morire!
– Sì, no, mo’ me lo segno proprio.
Indice
La morte a contatto con la vita – Film sulla morte
Ikiru – Vivere (1952)
Uno dei capolavori di Akira Kurosawa, da molti accostato a “Umberto D” di De Sica e “Il posto delle fragole” di Bergman. Ikiru riesce a suscitare la partecipazione emotiva dello spettatore senza perdersi nel patetismo deprimente e sentimentale tipico di un film sulla morte. Il protagonista del film, Watanabe ( Takashi Shimura) è un eroe moderno, che usa la gentilezza e l’educazione con la disperazione di chi oramai non ha più nulla. L’uomo deve avere il coraggio di cambiare, altrimenti c’è il nulla – la vacuità peggiore della morte. Morte che in questo caso ha una valenza positiva, in quanto è l’unica cosa che in qualche modo riesce ad indurre un cambiamento, seppur minimo, nel protagonista e nelle persone che lo circondano.
L’impiegato comunale Watanabe, capoufficio della sezione civile, vedovo da venticinque anni, scopre di avere un tumore allo stomaco. Tutto gli crolla addosso e nessuno è in grado di aiutarlo, neppure il figlio Mitsuo, che è interessato solo all’eredità. All’iniziale smarrimento segue la decisione di compiere un’azione significativa e riabilitante: si batterà per la bonifica di un terreno paludoso, su cui possa essere costruito un parco giochi.
Il settimo sigillo (1957)
Il film sulla morte per eccellenza, il capolavoro di Ingmar Bergman ci trasporta in un mondo in bianco e nero devastato dalla peste e prossimo all’oblio. Qui i cavalli si mangiano tra di loro e le donne partoriscono teste di agnello. In questa desolazione si materializza la morte allo stato fisico, una morte personificata che cammina accanto un guerriero di ritorno dalle Crociate. Bergman riflette sulla vita, la morte e la condizione umana; rivela la paura di affrontare la morte, a cui non si può fuggire e che non si può sconfiggere. Così, anche la possibilità di sfidarla a scacchi, in una partita emozionante, tesa, impegnata, che richieda comunque il tempo per giocarla si trasforma automaticamente in altro tempo per vivere. Un pretesto per raggirarla, anche solo per un po’.
Antonius Block, nobile cavaliere svedese, che recatosi come crociato in Terrasanta vi ha passato dieci anni della sua vita, ritorna ora nel suo Paese. Sbarcato, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto questo momento per portarlo con se. Ma Antonius, che durante gli anni vissuti in Terrasanta, tra battaglie cruente e lotte intime, ha sentito vacillare la propria fede, non vorrebbe morire prima di aver superato la crisi spirituale che lo travaglia.
Il posto delle fragole (1957)
Il posto delle fragole di Bergman è come detto in precedenza molto simile per tematiche ad Ikiru di Kurosawa. Il film è un road movie atipico che consiste in una riflessione, serena ma profonda, sulla vita e sulla morte. La vita pesa, come pesa anche su di essa e sugli uomini l’idea, costante, della fine dell’esistenza. Bergman dimostra sostanzialmente che vita e morte non sono così differenti né contrapposte, come invece si tende a credere. Esse sono legate, fatte quasi della stessa sostanza. Il regista svedese dimostra che non basta esistere per essere vivi. Ci si può sentire morti pur respirando.
Il vecchio e illustre Isak Borg è un medico in pensione che viaggia da Stoccolma a Lund per ritirare un prestigioso premio alla carriera. Tuttavia, il giorno della partenza, dopo aver fatto un terribile incubo in cui si rivede morto dentro una bara, il professore decide di non affrontare più il viaggio in aereo, ma di spostarsi in automobile. La nuora Marienne (Ingrid Thulin), che sta attraversando un momento difficile con il marito a causa della sua gravidanza, decide di accompagnare il suocero. Lungo il tragitto i due incontrano una serie di autostoppisti, ciascuno dei quali è in grado di fare riflettere l’anziano signore sul senso della vita e sui sogni irrealizzati.
Fuoco fatuo (1963)
Attraverso le note malinconiche del compositore Erik Satie, il regista francese Louis Malle ci racconta l’ultima giornata di Alain (interpretato da Maurice Ronet), un alcolista che ha deciso di suicidarsi. Il protagonista è disgustato da tutti gli elementi della realtà che si susseguono in un ciclo continuo, tutto passa e tutto ritorna. Vivere è assolutamente inutile, non rappresenta qualcosa di faticoso o di atroce. Una realtà alla quale Alain non crede, ma alla quale in fondo avrebbe voluto partecipare.
Tratto dal romanzo “Le feu follet” (Fuoco fatuo) di Pierre Drieu La Rochelle racconta di Alain, che distrutto dall’alcol e da una vita in cui non riesce più a riconoscersi, programma il proprio suicidio. Si concede ancora una possibilità, alla ricerca di un motivo per andare avanti, un percorso che compie nei suoi ultimi due intensi giorni di vita. lo fa cercando nei ricordi, nelle vecchie amicizie che non ritrova, in uno stile di vita che non gli appartiene più, superato dal tempo e dal peso di un’esistenza ormai inadeguata.
Sussurri e grida (1973)
Ancora Bergman, in un film, Sussurri e Grida, che ci fa assistere al trapasso di Agnes, il suo passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti. Un film sul passaggio, che si situa esattamente in quello spazio indefinito che fa da ponte tra la vita e la morte. Il tempo è scandito in maniera imprecisa, febbrile, delirante: gli orologi e i pendoli che invadono la casa dove si svolge la vicenda, accompagnano con il loro costante ticchettare le azioni dei personaggi; scandendo un tempo incerto. Bergman disse che tutti i suoi film potevano essere pensati in bianco e nero, eccetto Sussurri e grida, che ha sempre immaginato rosso, come l’interno dell’anima.
Agnes, affetta da una malattia incurabile, viene assistita nella sua villa dalle due sorelle e da una governante. Nonostante le donne siano occupate a fornire tutto il supporto possibile, il loro dolore le rende incapaci di essere davvero d’aiuto. Maria è infatti ancora sofferente per il suicidio del marito mentre Karin non sopporta più i doveri familiari.
Il sapore della ciliegia (1997)
È un film asciutto e rigoroso quello diretto da Abbas Kiarostami. Un film all’apparenza semplice, dall’intreccio essenziale, ma in realtà profondamente complesso. Vengono posti interrogativi esistenziali ed etici che da sempre attanagliano l’uomo. Kiarostami riflette sul suicidio e lo fa nella maniera che gli è più congeniale, con lo stile peculiare del regista iraniano caratterizzato dal nudo realismo e dai molti elementi simbolici. La macchina da presa pedina il signor Badii in uno scenario collinoso, arido e polveroso; l’uomo ha deciso di uccidersi ma cerca qualcuno disposto a spingerlo – o salvarl. Il regista solleva questioni che implicano riflessioni filosofiche, e anche religiose. Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Questo film vuole essere una riflessione sul fatto che tutti abbiamo il potere di scegliere di vivere e che solo dopo aver compiuto questa scelta viviamo meglio.
Iran, periferia sterrata e polverosa di Teheran. Un uomo gira con la sua automobile alla ricerca di qualcuno disposto, dietro compenso, a fare un lavoro per lui. I primi tentativi vanno a vuoto. Poi incontra un ragazzino curdo, nell’esercito per racimolare un po’ di soldi, e lo conduce davanti a una grosso buca. Il compito è quello di tornare lì la mattina successiva e chiamarlo due volte. Se non risponde, il ragazzo, aiutato da una pala, dovrà coprire il suo corpo con la terra.
Il sesto senso (1999)
Il Sesto Senso è un thriller sovrannaturale, con elementi horror e drammatici, diretto e sceneggiato da M. Night Shyamalan. Il rappresenta l’opera che ha portato il regista per la prima volta ad un enorme successo di pubblico. La pellicola narrando il rapporto tra il vivente e il non vivente ci parla dell’accettazione della propria realtà, per quanto tragica o difficile possa essere. I “fantasmi” che quotidianamente si affacciano nella nostra esistenza non sempre possono essere ignorati, e a volte l’unico modo per conviverci è proprio comprenderli ed accettarli per quello che sono.
Lo psicologo infantile Malcom Crowe (Bruce Willis) ha appena ricevuto un importante riconoscimento per la sua attività. Tornato a casa e intenzionato a festeggiare la circostanza con la moglie, trova nel bagno un suo ex paziente, al limite della schizofrenia. Quest’ultimo dopo averlo accusato di non essere riuscito a guarirlo, gli spara, per poi girare l’arma contro sé stesso. Dopo un momento difficile della propria vita fa amicizia con un bambino (Haley Joel Osment) che sembra avere dei problemi. Presosi a cuore il caso del suo piccolo amico, l’uomo riesce a entrarvi in confidenza e a scoprire che è disturbato da visioni: il piccolo asserisce infatti di poter vedere la gente morta.
Il miglio verde (1999)
Tratto dall’omonimo romanzo in sei puntate scritto da Stephen King, “Il miglio verde”, diretto da Frank Darabont, è un film che riflette sulla pena di morte e sull’ambiente carcerario, arricchito da una sorta di spiritualità, che narra la storia del prigioniero John Coffey, detenuto appunto ne “Il miglio verde”, l’ala del carcere dove vengono rinchiusi momentaneamente i condannati a morte. Il miglio verde stesso diventa una sorta di metafora della morte, di quel viaggio che ognuno di noi è destinato a compiere, prima o poi.
Paul Edgecomb (Tom Hanks) è stato il sovrintendente al braccio della morte nel carcere di Cold Mountain e ora, ormai anziano, racconta ad un’amica un incontro davvero speciale avvenuto ne “Il miglio verde”, l’ala del carcere dove sono rinchiusi i condannati a morte: nel 1935, arriva il gigantesco prigioniero nero John Coffey (Michael Clarke Duncan), che è accusato di aver ucciso dei bambini. Il prigioniero rivela avere la capacità di guarire, come avesse poteri divini, malati gravissimi e riportare in vita perfino i morti.
21 grammi – Il peso dell’anima (2003)
21 grammi di Alejandro Gonzalez Iñarritu, sostenuto da un cast stellare, Sean Penn, Benicio Del Toro e Naomi Watts, è un film che esplora varie tematiche: colpa, elaborazione del lutto, crisi di fede, aborto e separazioni improvvise attraverso un intrecciarsi di tre storie e con la sovrapposizione di più piani temporali, flah-forward e un costante cambio di fotografia. Personaggi accompagnati costantemente della morte direttamente o indirettamente, sempre lì in agguato, inesorabile a indirizzare le nostre vite verso percorsi spesso più complicati, di cui, non si può intravedere la fine.
Paul Rivers è un matematico che soffre di una grave patologia cardiaca. L’uomo, che vive con la compagna Mary è prossimo alla morte a meno che non venga trovato un donatore di cuore compatibile. Christina è un’ex cocainomane che ora si è costruita una vita felice insieme al marito e alle due figlie piccole. Jack Jordan è un ex detenuto che ha trovato nella Fede l’ancora di salvezza e, nonostante il passato gli complichi le cose nella ricerca di un nuovo lavoro, si gode la sua oasi di felicità insieme alla famiglia. Una sera un incidente è destinato a cambiare per sempre le loro vite, intrecciandole beffardamente in un amaro gioco del destino.
Big Fish – Le storie di una vita incredibile (2003)
Il regista Tim Burton realizzò la pellicola successivamente alla dolorosa morte di suo padre, mentre egli stesso si preparava a diventare genitore insieme alla storica musa/compagna Helena Bonham Carter, interprete della pellicola insieme ad un cast di grandi nomi che vede, oltre al protagonista Ewan McGregor, personalità di rilievo come Marion Cotillard, Steve Buscemi, Danny deVito ed una Miley Cyrus ancora bambina. Tratto dall’omonimo romanzo di Daniel Wallace, Big fish è un film di nascita e di morte, una delicata fiaba che riflette sul senso della vita, raccontata attraverso il percorso di un uomo che ha ottenuto il massimo della propria esistenza forzando gli eventi a favore della realizzazione di ogni suo desiderio, fino alla fine della vita.
Edward Bloom affascina tutti con incredibili storie sul proprio passato: imprese divertenti e surreali che comprendono giganti, streghe, lupi mannari e, naturalmente, un grosso pesce che si rifiuta di farsi catturare. I suoi racconti incantano chiunque, tranne il figlio Will. Ma quando Edward si ammala, Will tenta finalmente di separare il mito dalla realtà e di fare i conti una volta per tutte con le grandi imprese e i fallimenti del padre.
Synedcoche, New York (2008)
Enigmatico, fortemente metaforico e junghiano, Synecdoche, New York è il sorprendente esordio alla regia di Charlie Kaufman, già scrittore di film come Essere John Malkovich ed Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello). La pellicola è incentrata sulla storia di Cotard (interpretato dal grande Philippe Seymour Hoffman) un marito, un padre e un regista teatrale. Impotente, di fronte all’abbandono della moglie che lo priva, portandosela via con sé, della figlia, diventa vittima di un’inarrestabile nevrosi ipocondriaca. La morte è assente, ma perennemente presente ed impercettibile. Caden Cotard è ritratto come un personaggio affetto dalla omonima sindrome psichiatrica di Cotard, caratterizzata dalla convinzione illusoria di essere morti. Film su malattia, morte e sui tentativi da parte dell’uomo di sfuggirvi.
La vita del regista teatrale Caden Cotard è piuttosto desolante. La moglie e la figlia lo hanno lasciato, il terapeuta è più interessato a scrivere un nuovo libro che ad aiutarlo a risolvere i problemi, e l’ipocondria lo affigge. Decide di usare un premio per finanziare una nuova sceneggiatura e si reca a New York City, dove raccoglie un cast di attori per uno nuovo spettacolo. L’avventura si rivela per l’uomo una via per rielaborare la propria esistenza.
Amour (2012)
In una delle migliori interpretazioni degli ultimi anni, i mostri sacri della settima arte Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva sono moglie e marito, Anne e Georges, anziani insegnanti di musica in pensione, nel film di Michael Haneke. Tempo, morte e amore, questi i temi che si intrecciano in un film sofferentemente realistico diretto in maniera impeccabile dal regista austriaco. Palma d’oro al Festival di Cannes.
Un giorno, mentre fanno colazione, Anne si “incanta”, non parla e non si muove più. Quando si riprende, non ricorda nulla. Ostruzione della carotide, dicono i medici. È l’inizio di una lunga e terribile malattia, ma Anne chiede sin da subito a Georges di farle una promessa: non riportarla mai più in ospedale. Detto e fatto, perché il marito decide di stare accanto alla moglie in prima persona. Chi altri potrebbe farlo, visto che la figlia (Isabelle Huppert, terza volta con Haneke), anche lei musicista, ha i suoi “problemi” ed è spesso in tour in giro per l’Europa?
Still life (2013)
Uberto Pasolini dirige un film pieno di umanità, malinconico ed essenziale. Il tentativo di un uomo (interpretato dal bravissimo Eddie Marsan) qualunque di esorcizzare la paura dell’oblio, tentando con tutte le proprie forze di spazzarlo dalla vita altrui, attraverso il conforto e il far avvicinare le persone, nella speranza di non essere dimenticato un giorno – se non dai vivi – almeno da coloro la cui morte è stata da lui profondamente onorata. Film che mette a stretto contatto morte e indifferenza e che evidenzia su come a volte viene sprecata la vita.
John May è un piccolo impiegato comunale che ha il compito di rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine tentando di coinvolgerli per seguire il funerale. Quando non li trova o quando i parenti si rendono irreperibili o non desiderano essere coinvolti, John May ha il compito di seppellire dignitosamente le persone sole. E John lo fa in modo serio scrupoloso, ossessivo per ciascuno, cerca la religione, le preferenze musicali per l’ultima cerimonia, e appoggia gli oggetti preferiti dentro la tomba delle persone scomparse.
Colpa delle stelle (2014)
Colpa delle stelle, diretto da Josh Broone e tratto dall’omonimo romanzo best-seller di John Green, è una storia d’amore atipica che ha come protagonisti due giovani affetti dal cancro. Una pellicola che vuole celebrare la vita in ogni suo aspetto: “solleva gli animi, comunica l’idea che una vita breve può essere bella e ricca”. A dispetto del tema trattato, Josh Boone ha deciso di non inserire nessun facile sentimentalismo strappalacrime nella sua opera risultando una scelta vincente.
Il film racconta di Hazel (Shailene Woodley) e Gus (Ansel Elgort), due ragazzi straordinari e anticonformisti, uniti da un umorismo pungente, dallo sdegno per le convenzioni, da un amore travolgente e da un viaggio incredibile. Il loro rapporto è quasi un miracolo, visto che si sono incontrati all’interno di un gruppo di supporto per malati di cancro.
Coco (2017)
Con Coco, diretto da Lee Unkrich, la premiata ditta Disney-Pixar realizza uno dei film più maturi ed emozionanti della sua storia, capace di soddisfare grandi e piccini. Già come fatto per Up, il film prende come spunto il tema della morte per parlare d’amore. La morte non più come accettazione malinconica di un evento inevitabile ma come compagna della vita, che non ci abbandona mai e con la quale dobbiamo fare i conti. Famiglia, morte e memoria tra musica, ironia e leggerezza. Premio Oscar al miglior film d’animazione.
Miguel è un ragazzino con un grande sogno, quello di diventare un musicista. Peccato che nella sua famiglia la musica sia bandita da generazioni, da quando la trisavola Imelda fu abbandonata dal marito chitarrista e lasciata sola a crescere la piccola Coco, adesso anziana e inferma bisnonna di Miguel. Il Giorno dei Morti, però, stanco di sottostare a quel divieto, il dodicenne ruba una chitarra da una tomba e si ritrova a passare magicamente il ponte tra il mondo dei vivi e quello delle anime.
Elaborazione del lutto – Film sulla morte
Tre colori – Film blu (1993)
Tre colori – Film blu, primo della trilogia dei colori (ispirati dalla bandiera francese e ai principi di libertà, fraternità ed uguaglianza) del regista polacco Krzysztof Kieślowski, segue la storia di Julie (Juliette Binoche), che in un incidente stradale perde marito e figlia. Seguiamo la vicenda attraverso la macchina da presa che segue ogni singolo movimento di Julie, per cercare di rivelarci le sue sensazioni più nascoste. La protagonista sceglie inizialmente l’isolamento attraverso un morboso attaccamento ai ricordi e ai legami di ciò che non c’è più per poi gradualmente liberarsi dalla sua prigione mentale. Un film fortemente simbolico (tipico della filmografia del regista polacco) dove la musica ha un ruolo primario. Leone d’oro al Festival di Venezia.
In un incidente stradale, Julie perde il marito Patrice, un celebre compositore, e la piccola figlia Anna. Julie inizia così una nuova vita, anonima, indipendente, lasciandosi deliberatamente alle spalle tutto ciò di cui disponeva prima, in abbondanza. Un giornalista musicale sospetta che in realtà fosse Julie l’autrice delle musiche del marito. Lei nega, forse troppo bruscamente… Olivier, il giovane assistente di Patrice ama Julie da molto tempo. Per costringerla ad uscire dall’isolamento, decide di portare a termine il Concerto per l’Europa: un’opera grandiosa lasciata incompiuta dal compositore morto. Julie intanto si sforza per non cadere nelle trappole che minano la sua libertà.
La stanza del figlio (2001)
La stanza del figlio, diretto da Nanni Moretti, così come Tre colori film Blu, si basa sull’assenza, ciò che è il dolore e la sua difficile definizione, il silenzio del rimosso. A differenza del film di Kieślowski però, nel film di Moretti, i protagonisti che devono affrontare il lutto sono molteplici, e la sceneggiatura si basa proprio su di loro. I protagonisti nel corso del film si arricchiscono di molte sfaccettature, si caricano di un dolore represso ed inespresso fino in fondo, per giungere ad un toccante finale tra le note di By This River di Brian Eno. Palma d’oro al Festival di Cannes.
La vita serena di una famiglia borghese tipo è sconvolta dall’improvvisa morte di Andrea (Giuseppe Sanfelice), dovuta ad un incidente durante un’immersione. I rapporti tra il padre Giovanni (Nanni Moretti) e Paola (Laura Morante) si incrinano, mentre la figlia Irene (Jasmine Trinca) percepisce da parte loro il tabù del raccontare il dolore. A ricucire i legami sarà la scoperta di Arianna, un amore tenuto nascosto dal figlio, attraverso una lettera scritta dalla ragazza ignara dell’accaduto.
Un ponte per Terabithia (2007)
Un ponte per Terabithia, diretto da Gabor Csupo, è tratto dal romanzo per ragazzi che Katherine Paterson scrisse nel 1976 per aiutare il figlio a superare la morte di una sua cara amica. Il lutto infatti, è uno dei temi centrali del film, quel lutto che inevitabilmente prima o poi andrà a fare parte della vita di tutti noi. Il film ha la capacità di legare in modo organico ed armonioso la parte adolescenziale e rassicurante a quella tragica trattata senza facili patetismi, né scappatoie sentimentali, risultando comunque sempre coinvolgente. Un linguaggio semplice, un messaggio profondo, per il tema della perdita di fronte all’infanzia interrotta.
Terabithia è un mondo fantastico popolato da bislacche creature, buone e malvagie. Ma per poter varcare le porte di questo mondo incantato occorre saper guardare con gli occhi dell’immaginazione e lasciarsi guidare dagli istinti del cuore. Così Leslie, una ragazzina che ama vestirsi da maschiaccio ma che da sempre riesce ad osservare ogni cosa a modo suo, conduce Jess, introverso trascurato dalle attenzioni familiari e preda delle prese in giro dei piccoli bulli della scuola, nel fitto del bosco.
Departures (2008)
Departures di Yojiro Takita racconta il mondo al confine della vita con uno stile poetico, inquadrature pulite, movimenti di macchina e l’assenza di eccessivi virtuosismi il tutto accompagnato da una sottile e delicata ironia. La morte come rinascita, capace di risvegliare un uomo dal torpore di un’esistenza incerta e portarlo a trovare la felicità, e allo stesso tempo renderla agli altri. Un preparatore di salme diventa così una sorta di amico e custode degli ultimi istanti in cui il corpo, ormai privo di vita, rimane ancorato al mondo dei vivi per portare l’ultimo saluto alle persone care. Premio Oscar al miglior film straniero.
Daigo Kobayashi è un giovane violoncellista costretto a tornare nella sua città natale dopo lo scioglimento dell’orchestra di cui faceva parte. Per mantenere sé stesso e sua moglie, Daigo accetta un impiego come cerimoniere funebre, ovvero colui che compie il rito di lavaggio, vestizione e posizionamento nella bara dei morti per accompagnarli nel trapasso. Il costante contatto con la morte e con coloro che hanno subito la perdita di uno dei propri cari, aiuterà Daigo a comprendere quali siano i più importanti legami e valori nella vita.
The tree of life (2010)
The Tree of Life, quinta opera del regista statunitense Terrence Malick, è un opera in costante movimento. Pellicola mutevole come la macchina da presa di Malick che fluttua e ondeggia costantemente, con un uso volontariamente intenso del grandangolo che consente particolari effetti all’interno di un’inquadratura che non vede mai un unico protagonista. Natura, religione, uomo, vita, morte analizzati e messi in risalto dalla fotografia del premio Oscar Emmanuel Lubezki. Eccellenti le interpretazioni di Sean Penn, Brad Pitt e Jessica Chastain. Film vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes.
In una famiglia americana degli anni Cinquanta, il figlio Jack vive un’infanzia segnata dall’innocenza, con una madre generosa e altruista ed un padre ferito dalla vita. Agli occhi del ragazzo, il mondo appare d’una bellezza sconfinata. Cresciuto, Jack è diventato un adulto disilluso che si sente un’anima persa nel mondo contemporaneo. Attraverso un delicato percorso interiore, Jack tenta allora di ritrovare il senso della vita e di riparare il legame – da tempo compromesso – con il padre.
Cosa c’è dopo la morte? – Film sulla morte
Beetlejuice – Spiritello porcello (1988)
Diretto da un trentenne Tim Burton, al suo secondo lungometraggio, Beetlejuice è uno dei film più caratteristici del regista, contenente già tutti gli elementi che poi contraddistingueranno i suoi lavori successivi. Il film è un mix di atmosfere gotiche e surreali, ironiche ed eccessive, tanto da suscitare raramente inquietudine e deviare sempre verso la commedia, nonostante la potenzialità horror della storia. L’aldilà di Burton è un luogo ricco di personaggi bizzarri, macabri quanto buffi, governato da una burocrazia paragonabile a quella dei nostri uffici comunali, con tanto di sala d’attesa e numerino da prendere. Cast di eccezione dove spiccano Michael Keaton e una giovane Winona Rider.
Adam e Barbara, felicemente sposati e senza figli, stanno trascorrendo due settimane di vacanza nella loro villa di campagna. La coppia rimane però vittima di un incidente, e i due coniugi muoiono trasformandosi in spettri. Tornati nella loro dimora, i novelli trapassati scoprono che questa è stata già venduta alla famiglia Deetz, formata dall’affarista Charles, dalla pseudo-artista snob Delia e dalla loro giovane figlia, una goth girl. Proprio lei, è l’unica in grado di vedere Adam e Barbara, e di comunicare con loro, creando un rapporto di sincera amicizia. Ma al contempo i due spettri sono intenzionati a cacciare gli “estranei” e scelgono di rivolgersi ad uno specialista del settore, il fantasma Beetlejuice.
La sposa cadavere (2005)
La sposa cadavere di Tim Burton, terzo film in stop motion e primo diretto da lui, è una favola nera tratta da un’antica leggenda russo-ebraica che diverte ed emoziona al contempo. Questo per via di una storia e di personaggi indimenticabili, dotati di grande umanità, vivi o morti che siano. Realizzato con cura maniacale e tenuto in gestazione per un periodo vicino ai dieci anni, La sposa cadavere riesce nella missione di rappresentare una “morte viva”, colorata, ben più interessante e animata dei grigi e monotoni eventi intrapresi dai vivi. Il contatto tra due mondi apparentemente non compatibili che si rivelano invece essere due facce della stessa medaglia.
Victor sposerà Victoria alla cieca, lui figlio di borghesi arricchiti, lei di nobili decaduti. Alle prove per il matrimonio Victor palesa tutta la sua goffaggine ma Victoria si innamora lo stesso di lui, ricambiata. Il giovane si rifugia nel bosco per esercitarsi con la formula di matrimonio, e preso dall’enfasi infila l’anello in un ramo che spunta dal terreno. Il ramo è in realtà il dito di Emily, la sposa cadavere, che reclama ora Victor come suo legittimo marito. A Victoria, intanto, i genitori hanno già trovato un nuovo sposo, il misterioso Lord Barkis.
Wristcutters – Una storia d’amore (2006)
Wristcutters è una commedia nera diretta da Goran Dukić (ispirata dal racconto Kneller’s Happy Campers dello scrittore israeliano Etgar Keret) che si occupa di una tematica delicata come il suicidio. Lo fa però con un’originalità che riesce a contrastare in modo piacevole la serietà del tema trattato. Questo grazie ad una sceneggiatura divertente e mai pesante e attraverso dei personaggi a tratti comici, il tutto accompagnato da una colonna sonora eccezionale e perfettamente funzionale al contesto curata da Tom Waits (che interpreta uno dei personaggi della storia).
Distrutto dalla fine del suo fidanzamento con Desiree, il giovane Zia (Patrick Fugit) decide di farla finita tagliandosi i polsi, ma niente finisce per sempre e anche questo gesto è solo l’inizio di una nuova esperienza. Zia si ritrova in un mondo popolato solo da suicidi. I “wristcutters” (letteralmente “coloro che si sono tagliati i polsi”) vivono una vita parallela alla nostra in un mondo a loro dedicato. Zia apprende che Desiree si è suicidata poco dopo di lui e intraprende una strana avventura on the road, con l’intento di ritrovarla.
Enter the Void (2009)
Melodramma psichedelico nato per stessa ammissione del regista Gaspar Noè da un trip figlio dell’unione tra allucinogeni e cinema. Fatto di lunghi piani sequenza (il più lungo, proprio dopo i peculiari titoli di testa, dura quasi mezz’ora), girati con camera a mano, dietro le spalle del protagonista con lo scopo di narrarci gli eventi dal suo punto di vista. Enter the Void è un evento (dalla durata di quasi tre ore) psico-sensoriale basato sul Libro tibetano dei morti – il cosiddetto Bardo Thodol. Questo sarà anche l’ultimo libro che leggerà Oscar, il protagonista del film, secondo cui l’anima di chi non è ancora pronto per lasciare il mondo inizia a vagare, tra passato e futuro, alla ricerca di un nuovo corpo da abitare. Sconsigliato a chi soffre di attacchi epilettici.
Oscar e sua sorella Linda abitano da poco a Tokyo. Per sopravvivere, lui è diventato un piccolo spacciatore di droga e lei fa la spogliarellista in un night club. Una sera, durante una retata di polizia, Oscar viene ferito da una pallottola. Mentre agonizza, il suo spirito, fedele alla promessa fatta alla sorella di non abbandonarla mai, si rifiuta di lasciare il mondo dei vivi, ed inizia a vagare attraverso la città. E nelle sue visioni, sempre più caotiche e da incubo, passato, presente e futuro si confondono in un vortice allucinatorio.
Storia di un fantasma (2017)
Storia di un fantasma ( A ghost story), diretto da David Lowery ed interpretato da Rooney Mara e Casey Affleck, è un film sullo scorrere inesorabile del tempo, sulla memoria, sull’accettazione del lutto, sull’accettazione della morte da parte dei vivi e in questo caso, anche da parte dei morti stessi. Un film intimo e silenzioso (ridotte al minimo le linee di dialogo) capace di emozionare e far riflettere.
Un musicista vive con la moglie nella sua casa in Texas. Una notte la coppia viene svegliata da un rumore improvviso proveniente dal loro pianoforte, come se qualche oggetto vi fosse caduto sopra dall’alto, ma le cause rimangono ignote. In seguito, l’uomo perde la vita in un incidente d’auto avvenuto proprio nei pressi della dimora e, dopo il riconoscimento della consorte all’obitorio, il suo spettro avvolto in un telo bianco comincia a vagare per le stanze dell’ospedale facendo poi ritorno alle amate quattro mura.
Commedie sulla morte – Film sulla morte
Harold e Maude (1971)
Harold e Maude è una commedia atipica diretta da Hal Ashby, un’opera di una leggerezza magistrale, che nasconde dietro il suo black humor un significato tutt’altro che banale. Lo spettatore si trova lanciato nella narrazione, trascinato dall’euforia di Maude, proprio come accade al protagonista. Il pregio del film è quello di far intravedere la vita per quello che semplicemente è, dimenticandosi per un momento i problemi di tutti i giorni e i costrutti sociali che ci costringono ad essere quello che siamo. Harold e Maude è un film liberatorio, che ci insegna non solo ad apprezzare la vita, ma farlo mettendo al primo posto noi stessi, amarla e sentirci ricambiati.
Harold è un agiato diciottenne, stanco della vita, che passa le sue giornate a recarsi a funerali di persone che non conosce e ad inscenare finti suicidi per terrorizzare (con scarso successo) la madre. Ad un funerale conosce Maude, un’anziana donna prossima al compimento dell’ottantesimo compleanno. Tra i due nasce una bizzarra amicizia.
La grande abbuffata (1973)
Diretto da Marco Ferrari, il film grottesco ruota attorno a tre concetti: cibo, sesso e morte. Questi tre arrivano a mescolarsi: i corpi si sporcano di cibo mentre la purezza del cibo viene contaminata da un sesso spinto, volgare e senza passione. I quattro personaggi, Marcello (Mastroianni), Ugo (Tognazzi), Philippe (Noiret) e Michel (Piccoli) vivono una vita monotona e priva di soddisfazioni che porterà loro a decidere di ridursi in un modo di vivere animalesco e burbero.. Ferreri si avvale della morte e degli eccessi per attaccare in maniera satirica la classe dominante capitalista e la società del consumismo sfrenato.
Ugo cuoco, Michel produttore televisivo, Marcello pilota, Philippe magistrato, sono amici e membri di un ristretto club di buongustai. Per un week-end gastronomico raggiungono la fatiscente villa di Philippe dove un tempo soggiornò il poeta Boileau. Mentre iniziano i lauti pasti, Marcello fa giungere tre prostitute che, tuttavia, se ne vanno non appena s’avvedono dell’indifferenza ed estrema banalità degli ospiti. Solo Andrea, una maestra che ha condotto gli alunni ad ammirare il “tiglio di Boileau” accetta l’invito di tornare alla villa per tutta la durata della tragedia.
Amore e guerra (1975)
Ispirato idealmente e ironicamente a Guerra e Pace di Tolstoj, Amore e guerra di Woody Allen rappresenta per il regista newyorkese il punto di svolta della sua carriera. Il film sancisce il passaggio dal cinema comico dei primi anni ad uno caratterizzato da toni più seri e drammatici. La pellicola vuol far riflettere attraverso una serie di scenette comiche, satiriche, filosofiche, sui temi della morte, sul divenire, sull’evolversi di una vita che non ha – né può avere – un reale senso. Film ricco di citazioni tra cui la celebre parodia della danza con la morte de Il settimo sigillo e la presenza della stessa morte al fianco dei personaggi.
Nel 1805 Napoleone invade la Russia e il giovane Boris è costretto a recarsi al fronte e ad unirsi all’esercito russo per difendere la patria. Tornato a casa il ragazzo si sposa con Sonja. Quando Napoleone marcia verso Mosca, la donna è decisa ad assassinare l’imperatore e induce suo marito ad aiutarla.
Monty Python – Il senso della vita (1983)
Quarto e ultimo lungometraggio dei Monty Python, Il senso della vita, diretto dallo scomparso recentemente Terry Jones, cerca di dare risposta alla domanda: “qual è il senso della vita?” Con il suo stile, fatto di ironia, assurdità e sarcasmo. Un film che attraverso intermezzi comici, musical, gag, animazioni e sketch televisivi esplora e va alla ricerca del significato della vita partendo dalla nascita dell’uomo e prendendo in esame tutte le tappe fondamentali della vita umana. Pellicola anticonformista e fortemente allegorica che consacrerà la fama del gruppo comico britannico.
Il noto gruppo di attori di cabaret inglesi intesse una satira brillante sulle assurdità dell’esistenza attraverso un film diviso in episodi dove si scherza con la morte, la vita dopo la morte, le guerre coloniali, la follia e l’ipocrisia del nostro tempo; il Medioevo, il controllo delle nascite, cattolici e protestanti, l’educazione sessuale, la chirurgia e il sistema bancario. Insomma, tutto ciò di cui di solito si ha paura di scherzare.
Non è mai troppo tardi (2007)
I premi Oscar Jack Nicholson e Morgan Freeman sono i protagonisti della commedia Non è mai troppo tardi, diretto da Rob Reiner (Harry ti presento Sally). Il film, esplora il tema della morte e della vita attraverso la scelta dei due personaggi di assaporare quest’ultima solo quando viene loro comunicato che hanno pochi mesi di vita. Pellicola che riesce nel difficile tentativo di ridere della morte, di esorcizzarla, e di riuscire a trattare l’argomento senza scendere nel patetico, nel già visto e nel poco credibile.
Edward Cole è un ricchissimo ed eccentrico proprietario di cliniche che, a seguito di sue stesse direttive, si trova ricoverato in una propria struttura assieme al più umile Carter Chambers. Entrambi con pochi mesi davanti, a causa di una grave malattia, decidono di togliersi, nel breve tempo che resta loro, tutti i capricci che non hanno mai potuto levarsi nella propria vita: il viaggio che li vedrà protagonisti però, servirà a ben altro.