“Barry Seal – Una Storia Americana” – Recensione del nuovo film con Tom Cruise
"Barry Seal" - Tom Cruise e il fascino del male
Rating - 6
6
The Good
- Il ritmo frenetico e costante
- L'interpretazione di Tom Cruise
The Bad
- La mancanza di un vero approfondimento
- Il cedimento alle mode del momento
È nelle sale italiane “Barry Seal – Una Storia Americana”, il film che vede Tom Cruise ricostruire un’incredibile storia vera. Ecco la nostra recensione!
La superstar Tom Cruise riporta sotto i riflettori lo scomodo personaggio di Barry Seal, ex-pilota di linea che si trasforma in uno spericolato trafficante sullo sfondo degli intrighi politici degli Anni ’80.
Dobbiamo ammetterlo: “Breaking Bad” ha cambiato la percezione degli spettatori nei riguardi dei personaggi “negativi”. Un tempo sarebbe stato impensabile raccontare storie in cui il protagonista compiva gesti moralmente discutibili e fare in modo che il pubblico continuasse a seguirne la parabola senza problema alcuno. Evidentemente la pensa allo stesso modo anche Doug Liman, regista dalla carriera discontinua e in costante bilico tra action-movie e film più “distesi”. Complice anche il recente boom di “Narcos” e della nostalgia verso gli anni 70-80, ed ecco che è parsa una scelta saggia per Liman rinarrare la vicenda di Barry Seal, già interpretato da Dennis Hopper in un film TV del 1991.
Barry Seal – Tutto e troppo in fretta
Alla fine degli anni ’70 Barry Seal era un semplice pilota della linea aerea TWA. L’incontro con l’agente della CIA Monty Schafer (Domhnall Gleeson, l’unico altro volto noto nel cast) lo portò a cambiare vita. Iniziò sorvolando il Sud America per scattare foto di sospettati, per poi lasciarsi travolgere dal mondo del contrabbando. Divenne uomo di punta dell’astro nascente Pablo Escobar (l’inevitabile strizzata d’occhio a “Narcos” arriva praticamente dopo soli cinque minuti di film) e iniziò a fare soldi a palate. Gli anni ’80 dell’edonismo reaganiano e dei traffici più o meno leciti di cui la CIA venne sempre più spesso sospettata fecero da sfondo all’ascesa (e poi al crollo) di Seal e del suo inarrestabile desiderio di diventare qualcuno.
Doug Liman gira per la prima volta in digitale e decide di puntare tutto sul ritmo e sul montaggio. Non c’è un attimo di tregua e fin dai primi minuti sembra che la sceneggiatura di Gary Spinelli (rimasta per anni nel limbo dello sviluppo) intenda ignorare ogni “spiegone” di sorta. Si parte a mille e si prosegue così, un incedere forsennato tanto quanto l’indole del protagonista, smargiasso e sempre convinto di potersela cavare. Tutto questo gioca a favore della godibilità del film, capace di accumulare anni di vicende senza nessun momento di “stanca” ma, contemporaneamente, assesta un colpo mortale all’efficacia di ciò che viene narrato.
Lo spettatore non riesce a far sedimentare i momenti chiave della storia o le evoluzioni caratteriali dei personaggi perché tutto è troppo rapido e survoltato. Così facendo, anche i pochi momenti che avrebbero potuto risultare scene memorabili (Barry che consegna un carico di armi a individui che, invece, vanno all’assalto delle sue scarpe; lo spericolato atterraggio di emergenza in un quartiere residenziale) si perdono nel marasma generale.
Anche l’intera vicenda umana del protagonista e della sua famiglia, ovviamente, pagano questo scotto e l’intero film risulta, restando in tema, un volo tanto divertente quanto superficiale. Forse è una scelta voluta, dettata dal desiderio di paragonare l’irruenza di Barry Seal nei confronti della vita con l’irruenza stilistica nei confronti della storia ma è una scelta che pochi registi saprebbero maneggiare senza effetti collaterali.
Tom Cruise e il fascino del proibito
A portare a casa il risultato, come capita spesso, è Tom Cruise. L’attore appare praticamente in ogni singola scena e fa quello che gli riesce meglio: gigioneggiare senza pietà. Probabile che il regista Doug Liman abbia lasciato carta bianca alla sua star con cui aveva già lavorato in “Edge of Tomorrow” ed è interessante come Cruise, negli ultimi anni, preferisca lavorare quasi sempre con persone che conosce bene e di cui, evidentemente, si fida. Qui, inoltre, non veste il ruolo dell’eroe o di un personaggio che, pur partendo sotto una cattiva luce, riesce a redimersi prima della fine della storia. In “Barry Seal” Tom si comporta da avido irresponsabile per tutta la durata del film e questo risulta uno dei veri punti di forza della pellicola.
Se in passato Cruise amava mascherare il suo aspetto ogni volta che interpretava un personaggio sgradevole (brizzolato in “Collateral“, capello lungo e untuoso in “Magnolia“) qui è letteralmente se stesso, dal sorriso smagliante fino all’acconciatura perfetta. Il suo aspetto da perenne Bravo Ragazzo al quale offriresti subito qualcosa da bere “cozza” alla perfezione con le pessime azioni di cui si macchia e genera un mix tanto insolito quanto efficace.
«Forse avrei dovuto fare più domande» si chiede spesso Barry Seal quando vede di essersi infilato in un gioco molto più complesso di quanto si aspettasse. Probabilmente ha ragione ma siamo consapevoli del fatto che, se lo avesse fatto davvero, la quasi totalità dei punti di forza di questo film non esisterebbe.
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