Lost Girls: recensione del film Netflix diretto da Liz Garbus
Recensione del dramma presentato al Sundance Film Festival
A distanza di un anno dal suo ultimo lavoro cinematografico, Liz Garbus, regista già nominata all‘Oscar, decide di tornare con un progetto ambizioso come Lost Girls. Trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Robert Kolker, l’opera ricalca la storia del serial killer di Long Island. In questo caso il lungometraggio riprende i motivi drammatici e polizieschi del romanzo, ma assume autonomamente una sua dimensione. L’autrice infatti tocca tematiche importanti quali la famiglia, la gerarchia sociale e il lutto. Approfondiamo i temi di Lost Girls in questa nostra recensione.
Produzione targata Netflix, il film presenta un cast di buon livello, all’interno del quale spiccano Thomasin McKenzie (Jojo Rabbit), Gabriel Byrne (I soliti sospetti) e Amy Ryan (Gone Baby Gone). La pellicola, presentata in anteprima al Sundance Film Festival il 28 gennaio 2020, si prefigura come un dramma, anche se non disprezza alcuni tratti del thriller e del genere poliziesco. Inoltre il lungometraggio non abusa del citazionismo e si limita a riprendere lievemente alcuni film come Tre manifesti a Ebbing, Missouri e Zodiac. Ciononostante il film è sicuramente un buon lavoro, improntato alla riflessione e alla critica, pur avendo dalla sua alcuni difetti che ne minano l’efficacia.
Indice
La trama – Lost Girls, la recensione
Mari Gilbert (Amy Ryan) è una madre sigle con tre figlie che fa turni multipli al lavoro per mantenere le due minorenni a suo carico. In difficoltà economiche decide di chiedere un prestito alla primogenita, una escort in grado però di dare una mano alla sua famiglia. Dopo aver concordato una cena tutti assieme al telefono, Mari prepara per il giorno successivo tutto il necessario affinché la famiglia viva un momento di tranquillità. Tuttavia la figlia maggiore, Shannan, non si presenta e la madre e le sorelle rimangono fortemente deluse. Il tempo passa e dopo due giorni di Shannan non ci sono notizie; cosa ancor più preoccupante, il suo ragazzo non sa nulla. Inoltre nello stesso momento arriva una strana telefonata a casa Gilbert riguardo la scomparsa della ragazza. Inizia così il viaggio di Mari verso Long Island, località in cui la figlia è stata vista l’ultima volta.
Qui, si rivolge immediatamente alle autorità, che in un primo momento la ignorano e solo in seguito a notevoli sollecitazioni decidono di ascoltarla. Tuttavia lo scenario cambia completamente quando un agente dell’unità cinofila ritrova 4 cadaveri di prostitute e perciò la polizia inizia a condurre delle indagini. Esclusa l’ipotesi che uno dei cadaveri sia di Shannan, Mari non demorde nella sua ricerca, conducendo autonomamente delle indagini e ammonendo continuamente i rappresentanti della legge a fare il loro dovere, il quale, a detta di lei, non viene svolto correttamente. Infatti notevoli sono i particolari tralasciati, che dimostrano secondo Mari non solo incompetenza, ma anche disinteresse. Le domande fondamentali sono quindi queste: riuscirà Mari a scoprire la verità? Chi ha chiamato Mari poco dopo la scomparsa della figlia? La polizia e il commissario Dormer (Gabriel Byrne) faranno il loro dovere?
La famiglia
All’interno di Lost Girls Liz Garbus decide fin da subito di porre l’accento su un tema principale: la famiglia. Ora questa tematica si compone di un discorso articolato e complesso, mediante un gioco di sceneggiatura e interpretazioni, mentre le altre sono sicuramente più implicite, ma non per questo meno importanti. In primo luogo il tema della famiglia viene esemplificato dall’autrice nelle tre donne protagoniste del film: Mari, Sherre (Thomasin McKenzie) e Sarra (Oona Laurence). Ognuna di esse è differente sia nella psiche che nel comportamento, ma il minimo comune denominatore che le tiene assieme è appunto l’amore. Un amore che però non viene dipinto dalla Garbus come perfetto e puro, ma che che si mette in discussione, che ha i suoi pregi e i suoi difetti. Difatti la regista critica la disfunzionalità di questa famiglia, la mette sotto accusa e in un certo senso la seziona.
Il punto di vista adottato nella pellicola è in certi tratti quasi accusatorio, volto ad attribuire le rispettive responsabilità ai personaggi. Così l’autrice cerca di definire l’ecosistema di questa famiglia, confrontandolo e connettendolo con altri. Il quadro che ne emerge è composito e mette in luce come non sia possibile fare il gioco delle colpe o del mondo bicolore, ma sia più onesto individuare i punti di contatto tra gli individui – soprattutto di una famiglia – e la loro unione davanti a molteplici errori e contraddizioni. Tuttavia qui tutte le donne non sono solo tali, sono piuttosto la rappresentazione di un archetipo femminile della società americana: la donna bianca povera. In sostanza, raffigurano il cosiddetto white trash, disprezzato da tutti e per questo motivo demonizzato. Pertanto è evidente come la Garbus non si limiti ad indagare una famiglia americana qualunque, ma proprio una sua tipologia ben delineata.
La gerarchia sociale e il lutto – Lost Girls, la recensione
Altri due argomenti strettamente collegati e, in un certo senso originati dalla famiglia, sono certamente la gerarchia sociale e il lutto. Essi, per quanto meno approfonditi, vengono comunque tratteggiati implicitamente dalla regista. L’argomento della gerarchia sociale è connesso fortemente alla definizione della famiglia bianca povera. Difatti la differenziazione sociale tra i personaggi si fonda sulla categorizzazione delle classi. Al fondo della piramide sociale vi è il white trash, considerato al pari della feccia, e che neanche di fronte al dolore merita la stessa tutela della borghesia bianca. Il film assume così una posizione socio-politica non indifferente e condanna una parte dell’America. Il conflitto sociale e il disprezzo comune stanno tutti nei personaggi di Mari Gilbert e della moglie di Hackett. A rafforzare il discorso c’è l’utilizzo della simbologia, più efficace di mille parole e racchiusa in un cartello. Infine, il tratto caratteristico della differenziazione sociale è il comportamento dei personaggi.
La borghesia è mossa dal moralismo e dall’ipocrisia, il proletariato invece dalla voglia di giustizia e dall’onestà di intenti. È proprio in questo contesto che si inserisce la tematica del lutto, vero spartiacque interpretativo del lungometraggio. Esso è declinato in diverse forme e nella sua trasposizione audiovisiva fa esperire allo spettatore la lotta di classe e la sua soluzione. Il lutto è componente del lavoro della polizia e in teoria una componente che dovrebbe essere rispettata. Tuttavia la polizia stessa, come il film fa ben intendere, attua una differenziazione anche qui. Se infatti a morire è una prostituta, allora non bisogna curarsene e il sentimento provato dai parenti delle vittime è discutibile. Questi ultimi sono come i loro cari uccisi, brutta gente da evitare. I poliziotti però cedono davanti alla pressione mediatica poiché, come diceva De Andrè, “in alta uniforme non possono venire meno al loro dovere”.
Il lato tecnico
Procediamo nella recensione di Lost Girls approfondendo il lato tecnico dell’opera. Tecnicamente la pellicola risulta ben interpretata, con delle buone prestazioni attoriali da parte di Gabriel Byrne e Thomasin McKenzie. Ma colei che colpisce maggiormente e offre una buonissima caratterizzazione è sicuramente Amy Ryan. La regia è illustre ed anche il punto di forza della pellicola. La destrezza registica si sposa benissimo a un montaggio e a un découpage ben calibrato. Risulta sicuramente interessante anche il gioco tra primi piani dei personaggi, caratterizzati da volti contriti e dubbiosi, e i campi lunghi, fondamentali per entrare nell’atmosfera di cruda desolazione della pellicola. Allo stesso tempo è meritevole di una menzione d’onore l’utilizzo misurato della camera a spalla e la scelta coscienziosa del piano americano. Altresì intrigante è la decisione di non utilizzare a vuoto le carrellate o piani sequenza e di preferire una fluidità affidata al controcampo e al montaggio accelerato.
La fotografia è molto buona e colpisce in più di un frangente, giocando con una palette fredda, che vede nel blu, nel grigio e nel marrone i colori predominanti. Allo stesso livello non è però la scenografia, la quale non desta grandi sorprese ed in certi frangenti stupisce forse in negativo. Lo stesso può altresì dirsi per la colonna sonora del lungometraggio, infruttuosa e poco performante nell’implementazione della carica visiva. Questi due aspetti sono forse le due pecche del film e impediscono all’opera di raggiungere una valutazione eccellente. Ma il più grande difetto del lungometraggio è sicuramente il ritmo, che obiettivamente in alcuni frangenti manca e la sua assenza è figlia di scelte di sceneggiatura. Essa ha voluto focalizzarsi maggiormente sull’adesione ai fatti, dimenticandosi forse di romanzare un po’. Pratica alla quale un film – non un documentario – dovrebbe prestarsi.
Considerazioni finali – Lost Girls, la recensione
Nella conclusione della nostra recensione di Lost Girls vogliamo sottolineare come il film sia ben fatto e prodotto con cura e attenzione. La pellicola arriva direttamente allo spettatore e non si ritrae da un analisi sociologica e politica degli Stati Uniti d’America. Liz Garbus si dimostra un’autrice eclettica, capace di realizzare un prodotto Netflix senza piegarsi per forza ai dettami del colosso statunitense nelle scelte cinematografiche. Ora anche questa sua ultima fatica è meritevole di una menzione d’onore, anche solo per essere riuscito ad esemplificare in un micro contesto famigliare tutto il sottoproletariato statunitense. I caratteri diventano così allegorie di un sistema malato, il quale non fa altro che ribadire l’origine degli USA: il conflitto socio – culturale tra gli individui.
Vi è poi da dire che il finale risulta forse un po’ brusco e che probabilmente 134 minuti non sono abbastanza per narrare interamente la vicenda del serial killer di Long Island. In un certo senso quindi il film funziona più come denuncia e critica cinematografica che come trasposizione fedele di un giallo giudiziario. Dunque Il citazionismo a film come Il cliente non è fine a se stesso, ma improntato a quella dimensione poliziesca e thriller che sembra un po’ zoppicante. Quindi nonostante ci si trovi di fronte ad una pellicola buona e ben realizzata va sottolineata comunque la presenza di alcuni difetti. Questi vanno ad inficiare una valutazione molto alta del film, cosa che le tematiche analizzate avrebbero sicuramente meritato.
Lost Girls
Voto - 7
7
Lati positivi
- Buone interpretazioni
- Regia e fotografia molto buone
- Approfondimento tematiche
Lati negativi
- Scenografia e colonna sonora
- Mancanza di ritmo a causa di alcune scelte di sceneggiatura