IT di Stephen King – Meglio il film o la miniserie Tv?
Con l’arrivo nelle sale italiane di “It“, il film di Andy Muschietti tratto dal capolavoro di Stephen King, è sembrato inevitabile per molti confrontarlo con il suo predecessore. Nel 1990 la ABC mandò in onda, infatti, la celebre miniserie tv in due puntate diretta da Tommy Lee Wallace, diventata negli anni un vero Cult del terrore. Ma in cosa si differenziano queste due versioni? Quali sono i rispettivi punti di forza e debolezza? Abbiamo deciso di stilare un elenco di fattori per provare ad analizzare i due prodotti; tenendo da conto, certo, che uno non è il remake dell’altro.
Pennywise, il Clown
Se c’è un dettaglio che ha contribuito a rendere memorabile la miniserie tv quello è senza dubbio Tim Curry. Strepitoso caratterista inglese, già indimenticato Frank-N-Furter nel musical “Rocky Horror Picture Show”, Curry è il cuore pulsante del primo adattamento del romanzo di King.
Risata sguaiata, occhi strabuzzati, sorriso smagliante e uno sguardo capace di passare dall’allegria alla furia omicida in un secondo. Non c’è dubbio alcuno sul fatto che il suo It, complice un talento smisurato e fuori scala, abbia permesso di nascondere sotto il tappeto molti difetti della pellicola.
Il film di Muschietti mette in campo il giovane Bill Skarsgård, ultimo arrivato di una famiglia dal pedigree attoriale impressionante (dal padre Stellan al fratello maggiore Alexander). La sua incarnazione di Pennywise si differenzia dal predecessore per un fattore chiave: è terrificante dal primo all’ultimo minuto. Nessun tentativo di ingannare i protagonisti fingendosi un clown giocherellone. Fin dalla sua prima apparizione, il mostro incarnato da Skarsgård spaventa con quello sguardo feroce e quella voce che (in originale) sembra davvero il gorgoglio di uno scolo fognario. Ogni sorriso è un sogghigno, ogni occhiata una potenziale minaccia. La resa finale è indubbiamente di grande efficacia ma, a parere nostro, monodimensionale.
Come hanno fatto già notare molti critici, proprio la caratterizzazione malvagia a tutto tondo del nuovo It risulta il suo vero punto debole. Il motivo per cui il Pennywise di Tim Curry risultava davvero memorabile stava nella contrapposizione tra le sue movenze da simpatico clown e lo scenario macabro in cui agiva. A fare paura era vedere un simpatico pagliaccio dalla battuta pronta e dal sorriso amichevole trasformarsi in un orrendo assassino. La versione cinematografica è poco più di un mostro che appare a colpi di jumpscare sempre più insistiti. È un villain strepitoso per un comune film horror ma “It” dovrebbe essere più di questo.
Il Club dei Perdenti
Ecco i sette ragazzini di Derry, gli ultimi nella gerachia sociale scolastica e vittime predilette dei bulli capitanati dal feroce Henry Bowers. Ispirati al vero gruppo di cui King faceva parte da ragazzo, i Perdenti rappresentano l’altro fattore che non si può sbagliare in un adattamento di “It“.
I giovani attori della miniserie tv erano vittime di una scelta di casting tremendamente didascalica e della sciatteria generale. Bill Denbrough, solo in quanto protagonista della storia, deve per forza essere il più bello del gruppo? Ogni attore sembrava selezionato per corrispondere allo stereotipo che meglio si adattava al personaggio. Senza contare il fatto che acconciature e abiti di scena finivano per stonare se indossati da ragazzi poco somiglianti ai loro coetanei anni ’50. Forse solo l’allora giovanissimo Seth Green nei panni di Richie Tozier aveva i tratti di un adolescente dell’epoca ma stendiamo un velo pietoso sugli altri.
La versione 2017 di “It“, al contrario, ha centrato in pieno il bersaglio. Privi di connotazioni fisiche o didascaliche che possano ridurli a puri clichés questi ragazzi sono adolescenti “veri” e ricchi di sfumature. Anche il più famoso del gruppo, Finn Wolfhard (“Strangers Things”) è stato scelto per vestire i panni di Richie, un personaggio all’opposto di quello che lo ha reso celebre, proprio per schivare ogni banalità.
Il Fattore Beverly
Dove, però, Muschietti ha sbaragliato il rivale è stato nella scelta di Beverly Marsh. La ragazza che sconvolge il gruppo di amici e ne diventa il centro emotivo è interpretata dalla quindicenne Sophia Lillis.
(Sì, ha solo quindici anni; consigliamo ai lettori di mantenere nei commenti verso di lei la stessa prudenza che adottarono con Elle Fanning fino alla sua maggiore età, grazie).
Bella, intensa, benissimo diretta, Sophia tratteggia la Bev che tutti noi lettori immaginavamo e desideravamo. Chi ha letto il romanzo sa come la ragazza sia al centro di una intensa scena di sesso con gli altri Perdenti, ovviamente impossibile da trasporre. Quello è il momento in cui Bev diventa l’elemento di unione tra tutti loro e il primo passo del gruppo verso il mondo adulto. Il regista, attraverso momenti meravigliosi come gli sguardi di imbarazzo dei maschi di fronte a Beverly che prende il sole, vuole veicolare proprio quel concetto. Questa ragazza scombina gli equilibri e costringe i maschi ad affacciarsi a quell’universo che, di lì a pochi anni, sarà il centro della loro vita. Muschietti ,in più, strizza l’occhio a tutti noi maschietti che approdavamo alle scuole superiori con l’aspetto da tredicenni per trovarci di fronte coetanee già “donne” che ci catapultavano nel disagio più nero!