Capone: recensione del biopic sul celebre gangster con Tom Hardy
Gli ultimi giorni del criminale italo-americano nel film diretto da Josh Trank
Fin dal 2016, anno dell’annuncio della produzione, la curiosità nei confronti di questo film non era certamente poca. Capone, di cui vi proponiamo la nostra recensione, dopo una travagliata produzione riesce finalmente a vedere la luce solo – o almeno per ora – in versione digitale per alcuni giorni. Pensato inizialmente con il titolo Fonzo, il film ha subito destato interesse non solo per la volontà di affrontare gli ultimi giorni di uno dei super criminali più celebri di sempre ma soprattutto per la posta in gioco. Dietro la macchina da presa, infatti, troviamo Josh Trank, chiamato a rispondere sul campo dopo il suo fallimentare reboot de I Fantastici Quattro. Nel cast spicca il nome di un’irriconoscibile Tom Hardy nel ruolo di Alphonse “Al” Capone; anch’egli pronto a sottolineare il suo talento, a consacrarsi tra gli attori più poliedrici della sua generazione e guadagnare altri importanti riconoscimenti.
Le vicende narrate iniziano dopo il rilascio di Al Capone. Egli, dopo dieci di carcere, ritrova la libertà per via della malattia che sta danneggiando il suo corpo e la sua mente, riducendone drasticamente la mobilità fisica e le capacità di intendere e di volere. Ritornato nella sua abitazione, circondato dall’affetto dei familiari, l’ormai ex gangster vive i suoi ultimi giorni segnati dal degrado psicofisico. L’uomo ha ormai quasi del tutto perso la memoria – compresi gli eventi del suo passato criminale – ed è in costante balia di visioni che turbano la sua già precaria stabilità. In particolare sembra che l’ex criminale abbia nascosto una spropositata quantità di denaro ma non riesca a ricordare dove; ciò colpirà duramente la stabilità fisica e psicologica di un uomo che non è più ciò che gli altri ricordano. Scopriamo in questa recensione di Capone se le premesse sono state ripagate.
Indice
Capone, la recensione
È difficile capire quale sia il momento – a patto che davvero ci sia – in cui Capone riesce ad essere incisivo. Ciò che più risulta fastidioso alla fine del film è il fatto che sembra che non si sia andati da nessuna parte. E paradossalmente non perché non ci fossero idee o soluzioni narrative/formali, tutt’altro. Trank realizza un’opera che fatica a trovare una sua identità – e probabilmente non riesce proprio a trovarla – perché al suo interno ha molteplici facce che fanno a botte l’una con l’altra. E principalmente è il conflitto fra generi che più confonde e disorienta. La volontà di uno sperimentalismo non solo visivo ma soprattutto nel racconto è da apprezzare, se non da lodare per il coraggio. Il punto è che il clima visionario e onirico che spesso prova a farsi strada è rinchiuso all’interno di una gabbia fin troppo convenzionale.
La più grande difficoltà per la riuscita di Capone risiede nel suo essere un biopic – perché, checché se ne dica, la sua confezione è quella del più classico film biografico su un uomo alla fine dei suoi giorni. E se la sua anima più sperimentale non riesce ad emergere dallo statico corpo che la contiene, è quest’ultimo a dominare sulla scena, mostrandosi però scialbo e privo del carattere che ci si aspetterebbe. L’idea di una narrazione basata quasi esclusivamente su visioni e sul quotidiano degradarsi della vita non riescono ad amalgamarsi adeguatamente con il biopic; finendo così per compromettere ognuno dei due lati del film e riuscendo a perdere in entrambe le partite che prova a giocare. Perché a giochi fatti, l’opera prova a rendere attraente e coinvolgente una storia che però è priva di eventi. E alla fine prevale la noia, oltre che il distacco.
Tanto fumo e niente arrosto – Capone, la recensione
Tra la confusione e un ritmo soporifero, il film riesce a parlarci del nulla – e poco chiaro è cosa realmente volesse mettere in scena e di cosa volesse parlare. I temi, le vicende, le idee e i personaggi sono tanti ma solo vagamente abbozzati. Il tracollo psicofisico dovuto alla malattia, il passato che torna alla luce, il rapporto con la famiglia, i figli, la rovina finanziaria e il tesoro; tanto da dire, tanto messo in gioco ma nulla che sia minimamente approfondito, anzi. Il più delle volte sembra che uno stesso argomento funga da pretesto per parlare d’altro, aprendo ad una serie di digressioni mai concluse. E ciò inficia soprattutto sulla godibilità del prodotto, confuso e appesantito inutilmente. Si resta certo affascinati dal clima di certe sequenze che però non trovano legame con ciò che viene prima e dopo, né visivamente né nella struttura drammaturgica.
Capone non solo ci mette veramente troppo ad entrare nel vivo dell’azione; quando lo fa si morde la lingua per la troppa mole di parole e l’enfasi con la quale prova a comunicarle. Eppure il film di Josh Trank non soffre certo di una durata (poco meno di due ore) che possa comprometterne il ritmo. Ed è proprio di Trank che si sente più il bisogno di parlare. Perché se la sua regia gode di idee interessanti e potenzialmente accattivanti, è proprio il modo di concepire il film – essendone egli anche sceneggiatore e montatore – che pecca di inesperienza, specie con un certo tipo di genere. La confusione è ciò che prevale e ogni elemento sembra stonare con il resto, non riuscendo nessun aspetto a mostrare una personalità filmica ben definita e smorzando ogni accenno di curiosità e interesse.
Alphonse – Capone, la recensione
Se ciò non bastasse, Al Capone è un personaggio che ha indubbiamente il suo fascino ma che narrativamente non ha forse molto altro da dire. Coraggiosa è quindi la scelta di affrontare un certo periodo della sua vita – fedelmente e non. Tom Hardy qui riesce ad regalarci un’interpretazione strabiliante, che però, non reggendo il confronto con ciò che lo circonda, arriva a risultare fastidiosamente fuori luogo, in una dimensione a parte. La sua prova viene intaccata dalla pessima costruzione di un protagonista che per tutta la durata del film non riesce ed essere mai interessante, addirittura noioso – così come tutto il resto dei personaggi secondari. Proprio questi ultimi avrebbero meritato maggiore sviluppo, specie nelle dinamiche familiari (ad esempio, alcune delle sequenze con Mae sono tra le più intense); essi restano però in secondo piano, svolgendo il semplice ruolo di pedine al servizio di Fonse, contribuendo alla generale piattezza psicologica.
Alla fine della recensione di Capone ribadiamo come il protagonista risulti comico, fastidioso e imbarazzante non per Hardy, quanto per la scrittura del personaggio e dei non-eventi che si avvicendano. Se non fosse essenzialmente per un cartello iniziale, raramente potremmo dire di trovarci davanti ad Al Capone. Il protagonista del film di Trank potrebbe benissimo essere un comune uomo malandato con tutti i problemi del caso. E il criminale forse, nel suo esser estremamente sfruttato dai media (tra film e serie tv), ha perso ogni tipo di fascino e interesse nella sua figura. Il soggetto incentrato su un Capone e i suoi ultimi giorni poteva dare di più; alla fine però si perde in qualcosa che non lascia poi molto. L’opera di Trank, in fondo, è come il suo protagonista: lenta, si esprime male e soprattutto sofferente per un’anima con molto da dire rinchiusa in un corpo inadatto.
Capone
Voto - 4.5
4.5
Lati positivi
- Tom Hardy: una prova che, pur macchiata dalla sceneggiatura, riesce ad emergere come una delle poche note positive
Lati negativi
- La maldestra commistione di sperimentalismo visionario e i classici topoi del biopic
- La scrittura che mette in gioco numerose tematiche e argomenti senza approfondirne neanche uno
- Il mancato approfondimento psicologico che avrebbe potuto rendere il personaggio di Al Capone, nei suoi ultimi giorni, più incisivo e interessante