Le ali della libertà: la dignità calpestata nel film di Frank Darabont
In una prigione del Maine, alcuni detenuti si abituano alla violenza al punto da non potervi rinunciare
In una prigione del Maine, alcuni detenuti si abituano alla sofferenza al punto tale da non riuscire più a farne a meno. Intanto tra abusi fisici e psicologici, e un costante terrore che impedisce a chiunque di abbassare la guardia, due uomini trovano il tempo per costruire un’amicizia salvifica. È l’amicizia il sentimento che scompagina la routine sanguinaria del film Le ali della libertà, capolavoro del 1994; protagonisti del film sono Tim Robbins (Mystic River) e Morgan Freeman (A spasso con Daisy). Le ali della libertà (titolo originale The Shawshank Redemption), è diretto da Frank Darabont (Il miglio verde); la storia è ispirata al racconto di Stephen King Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, inserito nella raccolta Stagioni diverse.
Il film racconta l’esistenza, a tratti insopportabile, dei detenuti di uno spietato penitenziario americano; qui la parola giustizia è risemantizzata da un direttore corrotto e molto credente, mentre la paura detta le leggi nascosta dietro sadiche guardie carcerarie. Tra giornate che scorrono una uguale all’altra, in cui il tempo per pensare è troppo e il futuro da costruire non esiste, due uomini trovano tracce di speranza nella complicità che li lega. Così il tempo, fino a un attimo prima infinito, inizia inspiegabilmente a contrarsi, e il futuro torna ad essere una possibilità. Forse neanche troppo minacciosa. Ma approfondiamo i temi che rendono Le ali della libertà un grande capolavoro del cinema statunitense, degno di essere annoverato tra i migliori film di tutti i tempi.
Indice
- Una giusta ingiustizia
- Un luogo senza paura
- Cameratismo e sopravvivenza
- La violenza dietro la fede
- Bellezza ostracizzata
- Riabilitati alla verità
Una giusta ingiustizia – Le ali della libertà
Maine, 1947. Andy Dufresne (Tim Robbins), granitico e infelice vicedirettore di banca, è condannato a due ergastoli per l’omicidio di sua moglie e dell’amante; tutte le prove sono a carico dell’uomo, che continua però a proclamarsi innocente. Andy dovrà dunque continuare a vivere da infelice nella prigione di Shawshank; qui il direttore è Samuel Norton, un tizio torbido e molto ben pettinato. La strategia del terrore e la violenza, spesso immotivata, la fanno da padrone nel penitenziario di Shawshank: qui, infatti, se un detenuto fa la domanda sbagliata, bene che vada si becca una gomitata nello stomaco. Nel peggiore dei casi, invece, è probabile che passi la notte in infermeria, in bilico tra la vita e la morte. Introverso e apparentemente sicuro di sé, Andy attira, suo malgrado, l’attenzione delle sorelle, due inquietanti detenuti che abusano sessualmente del loro novizio prediletto.
Per Andy inizia così un lungo periodo di sevizie, allietato dal rapporto con un compagno di prigionia: costui è Red (Morgan Freeman), condannato all’ergastolo molti anni prima. All’interno del penitenziario, l’anziano uomo si occupa di procurare ai detenuti tutto ciò che essi desiderano. Inizialmente diffidente nei confronti di Andy, Red sviluppa curiosità prima, ammirazione poi, per quell’uomo tanto enigmatico, che si muove per i corridoi della prigione con fare navigato. L’amicizia regala a entrambi una possibilità insperata, garantendo loro reciproco supporto di fronte a soprusi che, affrontati in solitudine, avrebbero finito per annientarli. Ma vale davvero la pena sopravvivere nella prigione di Shawshank? Di cosa è fatto quel dopo in virtù del quale i detenuti sopportano un presente traumatico e corrosivo? Andy e Red cercano le loro risposte mentre si raccontano l’un l’altro, rivelando personalità complesse che hanno ancora troppo da scoprire.
Un luogo senza paura – Le ali della libertà
Nel film di Frank Darabont la libertà ha due volti: utopia per gli ergastolani, futuro minaccioso per chi ha quasi finito di scontare la propria pena. Tra le mura del penitenziario del Maine, in cui le uniche prospettive sono abusi, fatica e frustrazione, è facile che proliferi il bisogno di evasione; d’altro canto, i reclusi hanno tutto il tempo per abituarsi a questo stile di (non) vita, e dall’abitudine scaturisce una sorta di affezione per quelle mura difensive. La libertà rifiutata si annida tra le pareti della biblioteca della prigione, e in particolare nel bibliotecario Brooks: egli è un anziano fragile e molto istruito, recluso da decenni e per questo incapace di immaginare la propria vita fuori da quel carcere. Brooks è un’istituzione all’interno di Shawshank, e sa che fuori da quel microcosmo la sua vita non avrebbe scopo. Ricostruire un futuro è, per lui, una prospettiva del tutto irrealistica.
Per questa ragione, Brooks si mostra disposto a tutto pur di non beneficiare della libertà vigilata. Costretto a lasciare Shawshank, poi, l’uomo si guarda intorno spaurito, muovendosi a passi minuscoli e impacciati. La sua reazione di fronte alla realtà che trova fuori dal suo universo ovattato è uno dei momenti più intensi del film: Brooks non riconosce un mondo che si è trasformato, e si mostra incapace di sopportare la libertà. La reclusione a Shawshank non è finalizzata alla riabilitazione; ciò che fanno le mura di pietra di quel luogo, insieme alle spietate guardie che vi lavorano, è scorticare dalla pelle dei criminali i pochi brandelli di vita che hanno ancora addosso. Quel carcere abitua i propri ospiti alla paura attraverso la minaccia costante; i detenuti, così, sviluppano un inquietante attaccamento verso le pessime condizioni di vita cui sono sottoposti. Mostrandosi invece spaventati da un nuovo, sconosciuto, nemico: la libertà, per l’appunto.
Cameratismo e sopravvivenza
Nella prigione di Shawshank l’istinto di sopravvivenza non basta a sopravvivere: da una parte c’è chi tira avanti rendendosi utile agli altri, e dall’altra c’è chi fa di tutto per distruggere la vita del compagno. C’è Red, che percepisce una piccola percentuale sugli oggetti che procura ai suoi compagni; e poi c’è Andy, che scopre la passione di Red per la musica e trova il modo di procurargli un’armonica. Ma c’è anche Brooks, che come già detto è il responsabile della biblioteca, e ogni giorno seleziona libri per addolcire le interminabili giornate nella prigione; c’è chi si prende cura di un amico e chi di un animale trovato per caso. Nessuno può farcela lì dentro da solo, conscio di poter essere utile soltanto a sé stesso. Servire solo sé stessi, nella prigione di Shawshank, fa rima con essere inutili.
In quel luogo putrescente, il tempo si dilata e si contrae seguendo regole proprie; legarsi all’altro diventa, così, l’unico modo per riconoscersi ancora, sfuggendo all’alienazione che grava sulle teste di ognuno. Andy e Red scovano l’uno nell’altro la possibilità per studiare il proprio passato sotto una luce inedita, per elaborare il rimorso giusto e spazzare via quello inutile. Spogliandosi metaforicamente di fronte al compagno, entrambi si lasciano attraversare da una speranza che non è un’ idea vuota, e che non è neppure la via più breve per impazzire; insieme riscoprono un futuro che non avrebbero potuto scorgere prima di mettere piede lì dentro. Un futuro che per un ergastolano è incerto, ma per cui vale la pena rischiare ciò che rimane della propria pelle.
La violenza dietro la fede
Nessun tipo di riabilitazione passa per maltrattamenti e manipolazioni. Le modalità usate a Shawshank per raddrizzare i criminali oltrepassano la soglia non solo di ciò che è legale, ma anche di quanto che è umanamente accettabile. I detenuti sono vessati, ridotti in fin di vita e non di rado lasciati morire, se non si trova un medico nei paraggi che possa curarli. Nessuno si occupa della salvaguardia dei condannati, la cui incolumità dovrebbe essere tutelata da un direttore nauseabondo: Samuel Norton. Costui è un uomo molto religioso e conosce a memoria le Sacre Scritture; partecipa alle serate di beneficenza e non ha mai un capello fuori posto. Le scarpe tirate a lucido, Norton è sempre pronto a sacrificare il prossimo per appagare la propria avidità. Il denaro è ciò che Norton difende a costo della morte. Morte degli altri, naturalmente.
Norton non si fa scrupolo di far uccidere un giovane ladruncolo, per impedire che Andy venga scagionato; l’uomo infatti, ex vicedirettore di banca, può supportarlo nei suoi affari loschi. Norton è tanto torbido quanto devoto, ma la sua empietà presto gli si rivolta contro: l’uomo soccombe di fronte alla sagacia di Andy, che ha studiato e sviluppato un fiuto e una sensibilità a lui sconosciuti. Il direttore della prigione di Shawshank è capace solo di far valere autorità e potere su chi non può reagire in alcun modo; il disprezzo che prova per i detenuti si propaga per tutta la prigione, attraverso gli episodi di violenza e umiliazione perpetrati dalle guardie carcerarie. Il sistema è tarlato, come la coscienza di chi lo gestisce.
Bellezza ostracizzata – Le ali della libertà
Tra le mura di Shawshank riesce faticosamente a penetrare la bellezza, sotto forma di libri, film e musica. Benché le autorità del carcere siano avverse a ogni forma di poesia, e unicamente votate ai beni materiali, la vita dei detenuti è talvolta confortata dall’arte. Grazie all’attività della biblioteca, e all’intervento dello stesso Andy, i detenuti scoprono il valore della lettura, studiano e conseguono il diploma. I libri, come i film che vengono proiettati nel penitenziario, aggregano i condannati e ingentiliscono la loro anima. Ciò di cui però non possono in alcun modo fruire i detenuti è la musica; ciononostante Andy, contravvenendo alle regole, regalerà ai suoi compagni un momento di poesia e beatitudine. Dono che l’uomo pagherà a caro prezzo, trascorrendo un mese in isolamento in condizioni che nulla hanno di umano. Per quale motivo la musica è acerrimo nemico delle autorità del carcere di Shawshank?
Cosa suscita la musica nell’anima di uomini privati di ogni forma di tatto e civiltà? I benefici di una melodia sono intangibili eppure facilmente riconoscibili; quando Andy, attraverso un amplificatore, diffonde la musica di Mozart, i volti dei detenuti assumono un’espressione che non si vedrà più per tutto il film. La bellezza prende il posto delle fronti aggrottate, nessuno ha più voglia o bisogno di parlare; la musica è comunicazione gentile a cui i detenuti non sono più abituati. Accedere alla musica è un modo per non avvertire la solitudine, neppure di fronte ai soprusi; la musica scaccia la paura, ed è per questo che il direttore di Shawshank non può permettere che penetri nel proprio territorio. Il potere di quest’arte non è intellegibile, dunque è difficile da annientare; è per questo che va ostracizzata, in un luogo in cui è il terrore a farla da padrone.
Riabilitati alla verità
Nella prigione di Shawshank sono tutti innocenti. E poi ci sono gli innocenti veri. Si dice che, in un luogo come quello, i detenuti dimentichino (o facciano di tutto per dimenticare) la loro vita precedente. Il carcere non giova a prendere coscienza di ciò che si è commesso ma, in gran parte dei casi, a rimuovere ogni verità scomoda. Oltretutto, in quel posto prolifera una violenza tossica e immotivata, e gli esempi di corruzione e prevaricazione sono all’ordine del giorno. Non esiste programma riabilitativo per i condannati di Shawshank, ma non per questo motivo non esiste riabilitazione. Ma che significato assume nel film la parola riabilitazione? La storia di Red è esemplificativa. Scontati vent’anni, infatti, l’uomo si ritrova davanti a una commissione che stabilirà se concedergli o meno la libertà vigilata.
Con un discorso ben formulato e il volto di chi sa di mentire, Red parla di sé come di un uomo nuovo. La libertà vigilata non gli viene concessa. La stessa storia si ripete allo scadere dei trent’anni di reclusione, ma trascorsi quarant’anni accade qualcosa: Red sembra aver acquisito coscienza di sé, e parla alla commissione con fiacca autenticità. L’uomo offre quanto di più banale abbia a disposizione: la propria esperienza, esposta con lucidità e nessun orpello. Pregno degli anni di condivisione con i compagni, e con gli occhi gonfi del male a cui ha assistito inerme, Red è pronto al mondo fuori. Un mondo che forse non lo sta aspettando, ma in cui egli può portare un sé riabilitato, in quanto pronto a somigliare il più possibile a ciò che è (piuttosto che a ciò che è giusto essere).