Favolacce: spiegazione e analisi del film dei fratelli D’Innocenzo
A Spinaceto i grandi usano i piccoli per essere invidiati dagli altri grandi, mentre tutti sono infelici
La crescita dell’uomo è un processo involutivo e non solo in Favolacce, film di cui vi proponiamo l’analisi e la spiegazione. Diretto dai giovani e già molto arrabbiati fratelli D’Innocenzo, la pellicola è stata tra le più acclamate degli ultimi tempi. Penalizzato dal periodo non felice per il cinema – a causa della pandemia di Coronavirus -, Favolacce è riuscito ugualmente a far parlare di sé in questo 2020. Tra il trionfo ai Nastri d’Argento e le soddisfazioni raccolte a Berlino, i fratelli D’Innocenzo sembrano essersi imposti nel panorama cinematografico italiano. Il loro merito è aver creato un film che travalica palesemente i limiti del politicamente corretto; Favolacce è un album di fotografie disgustose di una realtà disgustosa, che in copertina ha però una decorazione molto curata. E con una copertina così ben fatta, il disgusto raggiunge vette iperboliche.
In Favolacce si parla male e si agisce peggio; davanti allo spettatore sfilano la violenza, l’astio, l’insofferenza, il disprezzo, l’inettitudine e la brutalità, vomitate da personaggi che si affannano per sembrare normali. Che mettono in piedi ridicoli tentativi per essere invidiati dagli altri, e che a fine spettacolo si ritrovano tra le mani solo il dolore. Nel frattempo i bambini, ancora non sufficientemente abbrutiti, un po’ restano a guardare e un po’ subiscono angherie. L’epilogo del film è a metà tra un claustrofobico ritorno al punto di partenza e una giusta e parossistica espiazione. Ne parliamo meglio in questa analisi e spiegazione di Favolacce.
Indice
- Una voce poco ispirata
- Fame di invidia
- Tutti contro tutti
- Figli, genitori e disprezzo
- Maternità e veleno
- Espiazione e ritorno ciclico
Una voce poco ispirata – Favolacce spiegazione
La storia sfrutta l’espediente del «manoscritto ritrovato», come fece Manzoni con i suoi Promessi Sposi. Un uomo, che per lo spettatore rimarrà solo una voce fuori campo, racconta di aver rinvenuto un diario con su scritta una storia. A raccontare quei fatti scritti in penna verde è una voce fanciullesca e sognante, che interrompe la narrazione senza preavviso. La voce fuori campo prosegue la storia, mescolando verità e finzione e restituendo uno spaccato di realtà nauseabonda. Si rivolge allo spettatore con un eloquio maldestramente forbito e scandendo le frasi quasi metricamente; tutto ciò cozza con l’inflessione marcatamente romana, e la tendenza a masticare alcune parole rendendole incomprensibili. Quella voce rivela una patina borghese che vuole raccontare altro da quello che è. Una patina che scenderà anche sui volti dei personaggi, meschini non per il livore che covano, ma piuttosto perché avvinti alle loro maschere.
Ma cosa racconta la storia del diario? Siamo a Spinaceto, un grigiastro e colorato quartiere della periferia di Roma, in cui si soffre molto e si fa di tutto per nasconderlo. Qui alcune famiglie un po’ acciaccate si tengono compagnia con tutto ciò che hanno a disposizione: astio, senso di inadeguatezza, bisogno di essere invidiati. Lo sguardo di ogni famiglia sull’altra è colmo di sospetto, perché a Spinaceto nessuno si fida dell’altro. Eppure tutti continuano a frequentarsi, e a odiarsi ogni giorno di più. Da questo clima asfissiante emergono le figure dei bambini, figli di adulti inesorabilmente regrediti. Bambini che scorgono nei grandi l’immagine di un domani per cui non vale la pena affrontare l’oggi. Che soccombono e sopravvivono, almeno finché hanno gli occhi abbastanza puliti da sopperire allo sporco che hanno intorno.
Fame di invidia – Favolacce spiegazione
Bruno (Elio Germano) e Dalila (Barbara Chichiarelli) sono sposati e hanno due figli, Alessia e Dennis, che vanno alle elementari. Durante una cena con una coppia di “amici”, che a loro volta hanno una figlia, si delineano le vite e le aspirazioni frustrate di questa porzione di protagonisti. Bruno patisce il fatto di essere disoccupato, e con tono fintamente indifferente lamenta alla moglie la propria condizione di casalingo forzato. Per rimediare alla frustrazione che prova di fronte all’amico Pietro, che vanta successi professionali, Bruno chiama in causa i propri figli. Con fare autoritario, l’uomo invita Alessia e Dennis ad andare a prendere le pagelle. I due bambini, schierati davanti alla tavolata, esibiscono voti eccellenti in una scena che, da sola, varrebbe il biglietto del film. Tra patetico orgoglio e mesto imbarazzo, i grandi sfruttano i piccoli per compensare la propria inettitudine.
L’invidia degli altri, si illudono i protagonisti, può sopperire all’infelicità. Per questo motivo i figli vengono vantati, come quando a Natale li si costringe a recitare poesie di fronte alle tavole imbandite, agli stomaci affamati, agli sguardi dei commensali fintamente entusiasti e sinceramente compassionevoli. Bruno e Dalila vogliono convincere gli altri che la loro sia una bella vita. Anche se la tra pareti di casa prolifera un odio che, non appena la porta si apre, invade il quartiere. Il livore della famiglia esonda come la piscinetta che hanno montano nel giardinetto, per simulare la vita felice di “quelli che sono felici”. Una notte Bruno si alza dal letto e crea uno squarcio nella piscina gonfiabile; poi torna al letto, soddisfatto. Ai figli l’uomo racconterà che ad arrecare il danno è stato qualcuno invidioso della loro fortuna. Quella di chi ha la piscina nel giardino di casa.
Tutti contro tutti – Favolacce spiegazione
In Favolacce l’odio è tanto ingombrante da non lasciare quasi spazio a nient’altro. Almeno per quanto riguarda il mondo degli adulti, la metà del cielo che nel film dei fratelli D’Innocenzo detta le regole. Di quest’odio sono vittime inermi i bambini, che rimangono a guardare finché non si affaccia il sogno di mettere fine a tutto. I bambini infatti – i figli di Bruno, la figlia di Pietro e il figlio di Amelio – progettano di costruire una bomba che faccia esplodere l’intero quartiere. Favolacce è una spirale che dalla frustrazione porta all’odio, e dall’odio porta alla brutale e inutile violenza. Violenza che si manifesta nella scena in cui Dennis, il figlio di Bruno, rischia di affogarsi mentre mangia. Il padre lo salva dal soffocamento rivoltandolo a testa in giù, salvo poi avere una crisi di pianto prima e di rabbia poi.
Hai visto che hai fatto? Hai fatto piangere tuo padre! Dice così Dalila a suo figlio, punendolo con una sberla per essersi fatto andare il boccone di traverso. Se il padre piange per un errore del figlio, è il figlio che va punito. In questo modo gli adulti di Favolacce si rivelano incapaci di gestire le avversità, e dunque di vivere. L’odio represso è protagonista della scena in cui alla figlia di Pietro vengono rasati i capelli, dopo che la stessa ha preso i pidocchi. Se non se li è presi in quella piscina dove se li è presi? dice Pietro alla moglie, alludendo alla piscina gonfiabile a casa di Bruno. Un’accusa che rivela un astio covato per anni, tra famiglie dello stesso quartiere che si scrutano, si frequentano e si disprezzano.
Figli, genitori e disprezzo – Favolacce spiegazione
Favolacce racconta il problematico rapporto tra genitori e figli, e l’incapacità dei primi di arrivare preparati a un mestiere per cui non esistono tirocini abilitanti. Padri e madri non riescono a fare un passo indietro per lasciare spazio alla prole; l’amore non è sufficiente, e talvolta sembra assente. In una scena del film, i bambini vengono costretti a sorridere di fronte a una fotocamera in un pomeriggio vissuto con tristezza, e che forse sarà anche ricordato con tristezza. In un’altra scena c’è un padre, Amelio, che istiga sgraziatamente il figlio a “essere come lui”, rivelando di proiettare sul ragazzino le sue ambizioni castrate. I genitori costringono bonariamente i figli a vivere situazioni imbarazzanti, al limite del traumatico. Sono i grandi a decidere quando i piccoli devono socializzare; sono i grandi che stabiliscono quando, per i figli, è giunto il momento di avere il primo rapporto sessuale.
Amelio rassicura il figlio (Geremia) di avergli procurato i contraccettivi; Geremia resta immobile, spaurito, non lo guarda neanche in faccia. L’uomo ride orgoglioso, incapace di ascoltare la paura del figlio. Sono così distratti, i grandi, da non accorgersi che i figli stanno costruendo una bomba per far saltare in aria il quartiere. E quando Dalila scopre tutto per caso, va in crisi: la bomba era lì, sulla scrivania dei ragazzi, e né lei né il marito si erano accorti di nulla. Entrambi troppo impegnati a disprezzarsi. Di quel disprezzo si accorge Dennis, che chiede al padre spiegazioni circa il rapporto dei genitori. Padre e figlio sono in macchina, e con loro c’è anche Alessia, l’altra figlia. Bruno trascina fuori dall’auto il figlio, lo butta a terra e infierisce su di lui con violenza. Dennis si è permesso di ricordare al padre la verità, e per questo viene punito.
Maternità e veleno – Favolacce spiegazione
Altra protagonista del film è Vilma, giovane donna che aspetta un bambino. Vilma lavora alla mensa della scuola, e ha un rapporto disfunzionale con una madre prevaricatrice e per nulla amorevole. La ragazza alterna momenti di tenerezza ad altri di rabbia, sia durante la gravidanza che dopo il parto. In una scena col fidanzato, i due si mostrano smarriti e disperati, eppure desiderosi di trovare una soluzione. Da figli vessati, i due si ritrovano all’improvviso genitori inadeguati. La paura e l’incapacità di darsi aiuto reciproco è tale che i due commettono un gesto irreparabile: soffocano la neonata nella vasca da bagno, poi si gettano entrambi dalla finestra. Il notiziario alla Tv rivelerà che i due erano dipendenti da psicofarmaci.
Un altro personaggio determinante in Favolacce è quello del professore Bernardini. L’uomo è stravagante, rabbioso e inviso ai colleghi; sottopone i suoi alunni a strane lezioni, rivelando anticonformismo misto a livore distruttivo. Quando si diffonde la notizia che Bernardini ha spiegato agli studenti come costruire un ordigno esplosivo, la preside sospende il docente dal suo incarico. Il fatto è vissuto da Bernardini come un episodio umiliante, che corrobora la sua potenza distruttrice, che lo porterà a tenere un’ultima lezione molto insolita. Davanti a quegli studenti che ha prima definito “spastici”, Bernardini inizia a parlare del malatione, un potente insetticida tossico anche per l’uomo. Quella sostanza, presente nel garage di chiunque abbia un piccolo giardino, verrà assunto dai figli di Bruno e dalla figlia di Pietro la sera stessa.
Espiazione e ritorno ciclico – Favolacce spiegazione
L’epilogo del film è straziante e straniante. I figli di Bruno e Dalila si suicidano di notte avvelenandosi, e lo stesso fa la figlia di Pietro. Prima di uccidersi, Dennis dice alla sorellina di dover andare in bagno; poi i due si siedono a un tavolo, l’uno di fronte all’altro. Alessia piange sorridendo, il fratello la guarda straziato, perplesso e atterrito. Bruno si alza dal letto, scorge i cadaveri dei bambini ma non urla; torna a letto inorridito, e attende che sua moglie si accorga della tragedia. Anche nel momento di dolore e orrore Bruno vuole rimanere solo, tenendosi a distanza dalla moglie. Neppure il suicidio espiatorio dei figli riesce a tenere insieme un uomo e una donna che si detestano. Ai bambini, inascoltati come Il fantasma di Canterville che Bernardini ha consigliato loro di leggere, non resta che morire.
O si muore, o si torna al punto di partenza per sbagliare ancora. Come chi ha vissuto prima di noi, come chi avrà il coraggio di vivere dopo. Vilma uccide la figlia, per non compiere quel destino ineluttabile che l’avrebbe resa crudele e inetta come sua madre. Geremia invece si sottrae alla morte, per continuare a vivere da moribondo; sempre insieme a suo padre, un po’ guida e un po’ aguzzino. Alla fine del film, la voce fuori campo dichiara di voler tornare al punto zero: ecco allora che, alla Tv, un notiziario racconta una strage familiare. È la storia che, all’inizio del film, Bruno e la sua famiglia avevano ascoltato impassibili. Ma ora lo spettatore conosce l’identità di quella madre che ha ammazzato sua figlia per poi suicidarsi. Ma conoscere non sempre chiarisce le idee e la verità si confonde con la finzione, in un asfissiante ritorno alle origini.