Mulan: recensione del remake live-action su Disney+

La leggendaria Hua Mulan torna sugli schermi in una nuova versione

Tra gli eventi che hanno contraddistinto gli ultimi anni della Walt Disney Pictures spicca la produzione di numerosi remake live-action. Da spin-off come Maleficent fino a vere e proprie nuove versioni dell’opera originale, come Alice in Wonderland. Adattamenti live-action (o interamente in CGI) che stuzzicano il dibattito ormai da più di un decennio. L’ultimo in ordine cronologico è Mulan, di cui vi parliamo in questa recensione. Il film diretto dalla regista neozelandese Niki Caro può vantare un cast di tutto rispetto. Tra i volti noti Liu Yifei (Outcast), Jet Li (Hero), Tzi Ma (The Farewell), Gong Li (Memorie di una geisha) e Donnie Yen (Ip Man). Il film ha fatto parlare di sé, oltre che per le pressioni politiche e sociali legate alla produzione, per la sua distribuzione. Rinviato a causa della pandemia, è stato distribuito in Italia in accesso anticipato su Disney+ al prezzo di 21,99€.

La storia è quella di Hua Mulan, ragazza dallo spirito indomito. La giovane porta dentro di sé la forza del chi (Ki) ma non ha ancora la maturità per poterla utilizzare al massimo delle sue potenzialità. Quando un’orda proveniente dal Nord, capitanata da Bori Khan e dalla misteriosa Xian Lang, inizierà il suo attacco per prendere il potere in Cina, l’Imperatore si troverà costretto ad emanare un decreto per formare un esercito capace di fermare l’invasione. È richiesto un uomo per ogni nucleo familiare e Hua Zhou, padre di Mulan, non esiterà pur essendo privo delle forze necessarie. In segreto però, la figlia decide di mascherarsi da uomo per prendere il posto del padre malato. Mantenere il segreto sarà difficile, forse più della battaglia che aspetta l’esercito cinese. In questo articolo la recensione di Mulan, remake live-action del film che ha segnato il cosiddetto Rinascimento Disney.

Indice

Uno, nessuno, centomila – Mulan, la recensione

Il vero problema di Mulan non è tanto la controversa distribuzione (certamente discutibile e di cui tanto si è parlato ancor prima del suo debutto), quanto invece il suo stesso sviluppo. Perché in fin dei conti è l’opera che fa la differenza, una volta seduti sulla poltrona della sala o sul divano di casa. Il film di Niki Caro mette in scena il ritratto perfetto della logica produttiva di casa Disney in relazione ai live-action. È ancora difficile comprendere il criterio che spinge a optare per il rifacimento totale (si veda Dumbo burtoniano) o per la riproposizione frame by frame (Il Re Leone). Mulan, nel dubbio, prova a stare perfettamente in mezzo, non alterando di molto il plot ma stravolgendo alcuni dettagli importanti nell’opera del 1998. E nel fare tale scelta, con la possibilità di attingere a svariate soluzioni, il film entra in evidente confusione.

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Mulan (2020). Walt Disney Pictures

Perché i difetti sono parecchi ma quello più evidente è proprio la mancanza di una forte identità che fa perdere al film ogni tipo di ipotetico appeal. Le opere Disney (e con esse buona parte di quelle Pixar), nel loro trattare temi spinosi e spesso complessi, avevano un unico comune denominatore: erano film per la famiglia. Così non è per Mulan (un gran peccato vista la distribuzione che certamente poteva risultare positiva sotto quest’ottica) ed è facile aspettarsi allora ciò che forse avrebbe davvero giovato all’opera: una linea più epica e maggiormente in linea con la leggenda dietro l’eroina cinese – così come il Dumbo di Burton si tingeva maggiormente di dark per intensificarne i toni creepy. Ma la delusione arriva anche qui perché, purtroppo, non è neanche questo. Questa nuova versione vuole far tante cose ma riesce nell’impresa di sbagliarle tutte.

Wuxia ma non troppo –  Mulan, la recensione

Il grande problema di Mulan è legato alla sua volontà di discostarsi stilisticamente (oltre che per alcuni importanti dettagli della trama) dal film d’animazione e di mettere in scena l’azione guardando al wuxiapian (di cui La foresta dei pugnali volanti è forse l’esempio più celebre in Occidente). Un wuxiapian però disastroso, mai coinvolgente e in difficoltà sotto tutti i punti di vista. Ciò che ne esce fuori è una goffa scimmiottatura lontana sia dalla magia dei classici Disney che da quella del wuxia. Perché non c’è niente di quel senso di poetica leggerezza che pervade questo genere cinematografico; nulla di artisticamente coreografico e visivamente stupefacente nell’azione messa in scena dalla regista neozelandese. C’è però un massiccio, esagerato, uso della computer grafica. Essa non solo rende pesante la visione e ne distrugge l’estetica ma il più delle volte fuori luogo e mal gestito.

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Mulan (2020). Walt Disney Pictures

Problemi che non possono esser compensati dal tentativo, piuttosto maldestro e impacciato, di dare dinamismo ad una messa tutt’altro che entusiasmante. Frenetiche e inutilmente complesse – il più delle volte senza un apparente motivo – le scene d’azione che spesso creano più confusione e fastidio che energia e vivacità filmica. Come se sventolare teli colorati, compiere acrobazie a rallenti e sferrare calci volanti fossero gli unici elementi caratterizzanti del wuxia. Una visione superficiale della produzione cinematografica cinese che (al contrario delle aspettative e delle intenzioni) non solo non rende onore al genere ma, in un certo senso, risulta pure irrispettosa. Alla fine ci si annoia, perché Mulan non è né originale né minimamente fedele a ciò che vorrebbe emulare. Quel briciolo di interesse è dettato dall’indagine cromatica e luministica che però sembra più fine a se stessa che realmente coinvolta nel contesto dell’opera.

Un cambio di rotta non efficace  – Mulan, la recensione

La spinta narrativa e stilistica in direzione di un prodotto più “maturo” e legato alla leggenda di Mulan rende più facile la digestione dell’assenza di Mushu (mal visto dal pubblico cinese) e della colonna sonora originale che aveva caratterizzato il film di Tony Bancroft. Il cambiamento che però più di tutti condizione questo live-action e ne compromette definitivamente la riuscita (più della parodia wuxia e del comparto tecnico-visivo) è la sua stessa protagonista. Elementi come l’evasione dalle gabbie convenzionali, la donna che diventa guerriera e il percorso di crescita vengono qui annullati da un espediente narrativo che si fa fatica a comprendere. Mulan è già più forte del resto dei soldati grazie alla forza del chi e l’attenzione viene rivolta alla menzogna che ne compromette la potenza spirituale. Questo porta la narrazione a slegarsi da quei valori militanti che facevano di Mulan l’eroina femminista Disney per eccellenza.

Da una parte si gioca sul valore della famiglia e l’importanza della verità, dall’altra però l’esser donna viene accantonato, passando in secondo piano. Quella consapevolezza delle difficoltà legate al genere dopo la rivelazione, che permeava l’originale, è qui subordinata alle virtù del coraggio, della lealtà e dell’onestà. Meglio non fanno gli attori, privi di intensità e credibilità –  eccezion fatta per Liu Yifei e per lo straodinario Tzi Ma. In particolare Jason Scott Lee, un Bori Khan imbarazzante che non intimorisce in nessuna occasione. Ed è un peccato per dei personaggi interessanti ma marchiati da una caratterizzazione il più delle volte sommaria; si veda ad esempio la strega interpretata da Gong Li. Mulan, al netto delle scelte, non riesce neanche a strizzare l’occhio a quella Cina che invece poteva essere il mercato di riferimento. Un remake talmente scialbo che sembra nato proprio per Disney+ piuttosto che per la sala.

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Mulan

Voto - 4.5

4.5

Lati positivi

  • L’indagine cromatica e luministica, anche se slegata dal contesto e quasi fine a se stessa

Lati negativi

  • Un cast di altissimo livello del quale però non vengono sfruttate le potenzialità
  • La scelta di ispirarsi al wuxiapian, portandone in scena solo una versione superficiale
  • La rivoluzione nei valori di cui il film si fa portavoce e il conseguente declassamento delle tematiche legate al genere

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