The Fall: il sonno della ragione genera mostri mascherati
Uno sguardo approfondito all'inquietante cortometraggio del regista di Under the Skin
Ci sono artisti che, pur avendo enorme talento, lasciano passare una grande quantità di tempo tra un’opera e l’altra. A questo gruppo appartiene Jonathan Glazer, autore che ogni qual volta appare lascia un segno destinato a colmare gli anni di assenza. Nel 2019, a sei anni di distanza da Under the Skin – tra i migliori sci-fi del XXI secolo – Glazer presenta The Fall, opera controversa e ostica nella fruizione ma incredibilmente affascinante; non solo perché frutto delle idee del regista britannico ma soprattutto per la sua struttura stessa, essendo un cortometraggio di 7 minuti (5:49, escludendo i titoli di coda). Ancora non totalmente sdoganata agli occhi del grande pubblico, la forma d’arte del corto non è lontana dai precedenti lavori di Glazer, impegnato da decenni nella realizzazione di videoclip musicali (per band come Massive Attack e Radiohead) e quindi a suo agio con un runtime ridotto.
Presentato in Italia al recente Ravenna Nightmare Film Festival 2020, The Fall ha debuttato senza preavviso sui canali della BBC lo scorso anno (grazie ad una collaborazione con A24 avviata dalla direttrice Rose Garnett, che spinse Glazer a lavorare con estrema libertà ad un corto a tema libero), fuori palinsesto e appena prima di uno show per tutta la famiglia, l’inquietante The Fall scandalizzò buona parte del pubblico, sorpreso e spaventato dalla visione totalmente inaspettata. Approcciarsi al corto di Jonathan Glazer e uscirne incolumi, però, sarà difficile anche quando lo si guarderà coscienziosamente. Così come difficile sarà parlarne, scomporlo e interpretarlo, provare a riconnettere i tasselli: non solo perché scriverne non restituisce le sensazioni della visione ma soprattutto per il suo carattere vago ed evocativo.
Indice
- Un’irrazionale e crudele caccia all’uomo
- Caduta verso l’inferno della contemporaneità
- Il sonno della ragione genera mostri maschere
- Toccato il fondo si può solo risalire?
Un’irrazionale e crudele caccia all’uomo – The Fall
In un luogo non identificato, su un alto albero un uomo mascherato cerca di salvarsi dalle grinfie di una serie di persone. Anch’esse hanno il volto coperto. Queste riescono a catturare la loro preda e a gettarla in un profondissimo pozzo, non prima però di una foto trionfale con la loro cattura. Sin dai primi minuti, dai primi frame, The Fall colpisce subito per le sue atmosfere e il suo modo di approcciarsi ad un soggetto tutt’altro che semplice. Sarà per la durata risicata (o più probabilmente per la volontà di Glazer di non girarci attorno) ma il corto arriva dritto al punto, senza mezze misure. Crudele e sadico, oscuro e surreale. Quest’ultimo sembra proprio il termine più adatto: The Fall è macchiato nel profondo da un’atmosfera irrazionale, priva di ragione, come se esistesse dentro uno strano sogno – un incubo, in questo caso.
Qui il regista inglese mostra ancora una volta un certo gusto per le scelte estetiche dal forte impatto visivo, che sfruttano la teatralità e il folclore per inquietare e disturbare. Sette minuti di distopica negatività, privi di gioie e colmi di terrore. Minuti scanditi da una fotografia che valorizza appieno le tonalità di verde e blu; buie e macabre ma che sanno sfruttare gli spiragli luce, giocando con essi e modellando i tratti di ogni singolo elemento. Oltre ad essa, è la colonna sonora di Mica Levi l’arma in più per l’inquietudine generale: suoni metallici e inaspettati percuotono nervosamente, generando disagio e ansia. Il sadico gioco messo in scena, come già accennato, non è di facile comprensione e forse, come afferma lo stesso regista, non è neanche così necessario dare una spiegazione universale. Restano però molti gli interrogativi dopo la visione.
Caduta verso l’inferno della contemporaneità – The Fall
Il rituale messo in scena dalla macabra parabola è già anticipato dal titolo stesso. Caduta fisica, materiale, come quella giù dall’albero così verso la conclusione, giù per il pozzo. Ma per caduta si può intendere anche quella spirituale, sociale. Non si fa fatica a scorgere nella brutale caccia all’uomo i linciaggi di massa figli della contemporanea mentalità aggressiva – perfettamente richiamata dalle maschere, simbolo di quell’anonimato contemporaneo che mette a proprio agio, coprendo però con la maschera della meschinità. Tutti contro uno, chiusi nell’inebriante comfort di una maschera di myersiana memoria (semplice ma efficace nella sua terrificante rigidità, ispirata a due modelli del teatro noh giapponese). Senza contare poi chi sta in disparte, guardando il massacro compiersi senza dir nulla. The Fall mostra quello che vediamo ogni giorno ma non abbiamo ancora avuto il coraggio di accettare.
Folli incapaci di comunicare se non con la violenza; non così diversi dalla società di cui anche noi stessi, vittime o carnefici, facciamo parte (ed è emblematico come anche la stessa “preda” indossi come gli altri una maschera, anche se caratterizzata da un’espressione che incarna l’esasperata disperazione). Perché, come suggerito dall’autore, The Fall non è poi così lontano da un reality. Società che nei momenti di incertezza e di cambiamento esplode senza controllo nell’irrazionalità dettata da una paura presente in tutti noi. Una volta abbattuta la preda si festeggia, si mette alla gogna pubblica mostrando i trofei di caccia di cui si va inspiegabilmente fieri. E anche se l’autore preferisce non spiegare (“La mia interpretazione non aiuterà quella di nessun altro”), certi aspetti della modernità non possono non saltare all’occhio. The Fall consente così di esplorare le proprie paure, proiettandole verso una visione che diventa pertanto strettamente personale.
Il sonno della ragione genera mostri maschere
Se di perdita della razionalità e della ragione si parla, è facile trovare un’analogia vecchia più di due secoli: Il sonno della ragione genera mostri, incisione del 1797 del Francisco Goya. L’opera del pittore spagnolo provava a dare una visione, in parte, positiva, considerando la ragione un limite per la fantasia; tenendo comunque a mente la pericolosità della totale assenza di raziocinio. Glazer sfrutta il concetto di perdita di ragione per metter in scena solo mostri negativi; individui capaci di andare oltre i limiti della razionalità in un’indiscriminata psicosi di massa. È un buonsenso coperto dalle maschere e da quel senso di onnipotenza dell’anonimato – e dall’azione di gruppo – che ha fatto perdere il contatto con la realtà. Se in Under the Skin la protagonista utilizzava il mascheramento per un fine più o meno nobile, in The Fall le maschere portano alla perdizione.
Le ispirazioni sono molteplici ma, fortunatamente, quasi mai così evidenti da distogliere lo sguardo da uno sviluppo sì semplice ma al contempo snervante. Tra esse un motto del 1939 di Bertold Brecht (In the dark times, will there also be singing? Yes, there will be singing. About the dark times.) e una foto che ritrae Eric e Donald Trump in posa davanti ad un leopardo cacciato nel 2012 in Zimbabwe – chiaro riferimento per la macabra scena della foto di gruppo, specie se si pensa all’aggressiva politica dell’ormai ex Presidente degli Stati Uniti. Il corto di Jonathan Glazer genera un’evidente risonanza sociale e politica in una crudele istantanea che sembra aver al suo interno qualcosa di molto più profondo e significativo. Pur ispirandosi alla realtà però The Fall riesce ad innestare la sua presenza in una dimensione astratta, fuori da ogni connotato spaziale e temporale.
Toccato il fondo si può solo risalire? – The Fall
Ma il vortice drammatico trova uno spiraglio positivo dopo i lunghi ed estenuanti 86 secondi di caduta nel pozzo – i più sperimentali, carichi di tensione emotiva e visiva (la velocità della corda che si srotola ipnoticamente è forse il momento più incredibile del corto). Il twist ci mostra la vittima ancora viva, sul fondo. Una luce, lontanissima, illumina flebilmente il buio del fondo del pozzo. Inizia una faticosa risalita verso l’estremità superiore che si protrarrà per tutti i titoli di coda, senza darci un finale chiaro ma infondendo speranza. Dopo il terrore la possibilità, la luce che spinge a provare ma con attenzione: perché la risalita – il ritorno all’umanità e alla ragione – sarà dura e piena di ostacoli, con il rischio di ricadere e toccare nuovamente il fondo.
L’individuo “protagonista” si erge così a simbolo di una resistenza. È però possibile vedere in esso persino la vittima costretta ad espiare con la risalita i peccati di una società in caduta libera. Glazer disse in un’intervista “Non siamo più vicini all’inferno di quanto lo siamo al paradiso” e ciò mostra come la scelta dipenda comunque da noi. La scelta che decide chi siamo.
The Fall intrattiene e affascina ma risuona come un pericoloso avvertimento. Privo di dialoghi e di spiegazioni ma pregno di quella violenza rituale che ricorda quasi una tragedia greca. Veloce, dritto al punto e violento; come un haiku di terrore che una volta visto sarà difficile scollarsi di dosso. E che funziona perfettamente grazie al potere e all’intensità del cinema breve, del cortometraggio.