“Happy End” — Recensione del nuovo film di Haneke
Lo specchio allarmante di una società diversificata. Il quadro del declino ineluttabile della borghesia. La tecnologia come elemento preponderante nella comunicazione; tutto questo è “Happy End”.
Ultima fatica del cineasta austriaco Michael Haneke, “Happy End” è stato ufficialmente presentato per l’Edizione 2017 del Festival di Cannes. L’uscita nelle sale italiane è prevista per il 30 Dicembre. In questa recensione analizzeremo i fili conduttori della narrazione, cercando di dare uno sguardo a quelli che sono i presupposti didascalici sui quali questa pellicola diretta da Haneke si sviluppa.
Ecco a voi la recensione di “Happy End”, ultimo film di Michael Haneke.
Analisi
Si può certo dire che Haneke abbia voluto giocare in modo tragicamente ironico già a partire dal titolo dell’opera. L'”Happy End” difatti è un’utopia, è l’illusione che il regista ci propina, è l’auspicio massimo dei protagonisti della storia. Nulla di ciò, purtroppo, combacia con la cruda realtà.
La storia ci presenta una famiglia borghese di Calais, alle prese con vari problemi interni al nucleo famigliare. Tra le varie peripezie si passa da delle cause legali che coinvolgono l’azienda familiare, alle difficoltà dei membri della famiglia a relazionarsi in modo sincero l’uno con l’altro,
Il film inizia con una sequenza di riprese girate da uno smartphone, attraverso l’app Periscope. Autrice di quest’ultime è Eve Laurent (interpretata da Fantine Harduin) la quale ci presenta quelle che appaiono come scene di vita quotidiana. Questi però si rivelano essere attimi ben più inquietanti del previsto; ci viene mostrata prima la morte di un criceto, causata dalla stessa Eve, poi l’overdose della mamma di Eve.
Sin da queste primissime scene si può notare molto bene una scelta tecnica che verrà riproposta in maniera ciclica lungo tutto il film: la presenza massiccia dei piani sequenza. In Happy End, Haneke ne fa largo uso, contestualizzando la sua regia con lo svolgersi degli eventi raccontati, lento ed inesorabile. Altra peculiarità interessante è la quasi totale assenza di colonna sonora (espediente già promosso l’anno scorso in “Silence”, del maestro Martin Scorsese). Questo ci facilità l’immersione nelle atmosfere lente e celate di una borghesia verso l’orlo del declino (già vissute in “Benny’s Video”, dello stesso Haneke).
Personaggi
Lungo la narrazione, i personaggi in cui ci imbattiamo sono molteplici, tutti palesemente problematici. Due in particolare sono quelli che hanno catturato la mia attenzione: Georges Laurent (interpretato dal magistrale Jean-Louis Trintignant) e la già citata Eve Laurent (Fantine Harduin). Loro sono i due poli del racconto, le fondamenta sulle quali si regge il paragone generazionale che Haneke porta a compimento.
Da un lato troviamo Georges (Auto-citazione del protagonista di “Amour”), stanco della vita e alla ricerca della pace nell’assiduo desiderio di morte. Dall’altro, Eve mette a nudo tutti i disagi di una bambina matura costretta a crescere senza una guida materna, fattore che la influenza nel profondo riguardo l’approccio col prossimo. Entrambi, però, danno l’idea di vedere nella morte la risoluzione assoluta di tutti i mali. In questo caso in particolar modo, “Happy End” simboleggia un’ideale illusorio. Non vi è una “fine felice”, ma solo un susseguirsi di frammenti di consapevolezza uno dopo l’altro. Frammenti che, in base al nostro approccio alla vita, ci rendono gioiosi tanto quanto ci trascinano giù, nella depressione.
Considerazioni finali
“Happy End”, concludendo, è una pellicola sicuramente interessante. Michael Haneke dirige l’opera in modo impeccabile e sensibile. La freddezza e la cura caratteristica dell’austriaco fanno si che il film si lasci guardare volentieri. Certo, la storia ci mette molto ad ingranare, visti i ritmi estremamente lenti. Nel suo complesso, però, il risultato è più che egregio. Si riescono a trovare diversi spunti di riflessione riguardo la nostra società, satira non immediata agli occhi di uno spettatore poco attento. Le prove attoriali sono tutte molto valide, in particolar modo quelle di Jean-Louis Trintignant e di Fantine Harduin, semplicemente esemplari. Insomma, anche se di happy c’è ben poco, Haneke con “Happy End” ha messo a segno un altro bel colpo, l’ennesimo.