I migliori film del 2020: i titoli più belli usciti in Italia quest’anno
Quali sono i film più belli usciti nelle sale italiane o in streaming quest'anno?
Non esistono parole per descrivere l’anno che sta per volgere al termine. Il 2020 ha sconvolto le vite di chiunque e resterà per sempre impresso nella memoria collettiva. Anche l’industria cinematografica ha visto crollare le proprie certezze, tra grandi uscite rimandate e sale deserte. Ma nel grande caos è bene ricordare quei piccoli momenti di gioia che il cinema ci ha donato quest’anno. Soprattutto per i motivi sopraelencati, non è semplice stilare una lista dei migliori film del 2020. La volontà di non venir meno alle tradizioni e proporla come negli anni precedenti, seppur limitata rispetto ad essi, ha preso il sopravvento. Ogni anno è difficile dover scegliere quale opera inserire e quale lasciar fuori – specie in quest’ultimo – e, come sempre, non saranno presenti film che molti hanno amato. Così come, al contrario, troveranno spazio titoli non apprezzati da tutti o, probabilmente, meno conosciuti.
Allo stesso tempo, resteranno fuori titoli eccezionali ma ancora inediti in Italia (Minari, First Cow e Saint Maud, tra i tanti). Per render più eterogenea e quanto più possibile oggettiva la lista, è stata scelta l’idea di redigerla a quattro mani. Un lavoro in sinergia volto a offrire diversi punti di vista e a non indirizzare la top verso orizzonti poco equilibrati. Saranno quindi presenti le opere di grandi autori così come il cinema d’animazione e si spazierà dall’oriente fino all’Italia, riservando un’inevitabile spazio maggiore alle piattaforme di streaming che hanno reso possibile la distribuzione di numerosi titoli. Tutti, rigorosamente, distribuiti in Italia nel corso dell’anno. Un mix tra le opere più “popolari” che hanno polarizzato le attenzioni degli spettatori e quelle meno note al grande pubblico. Di seguito i migliori film del 2020 secondo la redazione di FilmPost.it.
Indice
- I migliori su Netflix e Prime Video
- Gli italiani
- I migliori film d’animazione
- Le sorprese dall’Oriente
- Candidati agli Oscar 2020
- Azione e coinvolgimento
I migliori film del 2020 su Netflix e Prime Video
Diamanti Grezzi
Il 2020 si è dimostrato essere l’anno in cui tutto può accadere, compresa l’interpretazione da Oscar di Adam Sandler. Si, parliamo di quel Sandler che è riuscito a raggiungere, e spesso scavalcare, le vette del trash cinematografico. In Diamanti Grezzi l’attore offre invece una grande prova, riuscendo, con un incredibile one man show, a tenere il pubblico incollato allo schermo per 135 minuti. Parte del merito va ovviamente ai registi, i fratelli Safdie, che riescono a confezionare un intenso dramma dalle molteplici sfaccettature. Un’opera fortemente autoriale che merita di entrare nella lista dei migliori film del 2020 per la sua capacità di raccontare in modo crudo e diretto una storia a tratti scomoda. Il tutto sorretto da una performance ben al di sopra delle righe e che non può lasciare indifferenti.
Howard Ratner (Adam Sandler) è un gioielliere ebreo di New York con il vizio delle scommesse. Nonostante sia sposato e abbia due figli non rinuncia alla compagnia di Julia, sua amante con cui fa oramai coppia fissa. Una vita al cardiopalma divisa tra i debiti contratti a causa del gioco e il timore che la sua relazione extraconiugale venga scoperta. In fondo al tunnel però la luce, una luce riflessa da una gemma di valore inestimabile. Howard riesce infatti grazie alla sua “abilità” a mettere le mani su un preziosissimo opale nero la cui vendita potrebbe risolvere tutti i suoi problemi. Come al solito però tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e l’uomo si ritroverà a lottare per la propria vita.
Mank
Ci sono voluti decenni e una serie ti contingenze particolari per vedere finalmente Mank. David Fincher torna, a sei anni di distanza da Gone Girl, con una sceneggiatura scritta anni prima dal padre. Che la storia fosse particolare e, per certi versi, fastidiosa era chiaro a tutti. Il film distribuito da Netflix racconta la turbolenta lavorazione di uno dei film più importanti della storia del cinema, Quarto Potere. Protagonista è Herman J. Mankiewicz, sceneggiatore che, dopo essersi messo contro alcuni degli uomini più importanti di Hollywood, accetta l’offerta del prodigioso ventiquattrenne Orson Welles di scrivere un film che sarà prodotto, diretto e interpretato da quest’ultimo stesso. Nulla di strano fin qui. Ciò che però rende spigoloso, entusiasmante e estremamente carico di fascino Mank è il sostrato socio-politico e culturale sulla quale si basa la storia.
Il film di Fincher parla per buona parte di come i media (e le figura di William R. Hearst) riescano a manovrare le elezioni e ciò rispecchia le recenti dinamiche politiche che hanno coinvolto l’ex Presidente degli States Donald Trump. Occasione perfetta per Fincher – affiancato da Netflix, che ha sempre soddisfatto ogni suo desiderio – per riprendere la sceneggiatura paterna che da ormai trent’anni desiderava mettere in scena. In secondo luogo Mank riapre una diatriba ormai vecchia ottant’anni sulla paternità della sceneggiatura di Quarto Potere; disputa ancora oggi sotto i riflettori. Presentato come l’atto d’amore verso l’industria degli anni Trenta e Quaranta, il film è forse proprio il contrario. Mank, però, con il suo bianco e nero e un cast eccezionale, è uno dei migliori film del 2020 con i suoi pregi e soprattutto con le sue contraddizioni.
L’immensità della notte
Mentre gran parte dei cittadini di un paesino si ritrova ad assistere ad una partita di pallacanestro, due ragazzi, partiti con tutt’altra intenzione, scoprono degli anomali segnali radio, perlopiù sconosciuti. Attraverso una serie di testimonianze, fisiche e telefoniche, inizia una corsa contro il tempo per raccogliere più informazioni possibili e unire i tasselli del puzzle. La modernità del cinema passa soprattutto dal saper guardare al passato per creare qualcosa di nuovo nel presente. Craig W. Sanger e Andrew Patterson dimostrano di conoscere l’horror soprannaturale e la fantascienza anni Cinquanta, sapendo volgere questa cultura a loro favore. Tutto ciò è chiarissimo nella loro bellissima opera d’esordio L’immensità della notte (The Vast of Night), tra i migliori film del 2020.
Un piccolo grande film dall’enorme potenza evocativa; piccolo per la produzione, grande – grandissimo – per quel tipo di immaginario che riesce e ricreare attraverso pochi e semplici elementi, gestiti con grande maestria dai due esordienti. L’immensità della notte omaggia prodotti come Ai confini della realtà ma si concentra non tanto sulla storia e sul paranormale, utilizzato più come un pretesto e come un punto di partenza. Ciò che interessa agli autori è mostrare lo stesso svolgersi della storia, le voci che la raccontano e come essa si sviluppa. Spesso il film tende così verso un’atmosfera talmente anticlimatica – tra dialoghi lunghissimi, rumori ambientali neutrali e interminabili piani sequenza per le vie cittadine – da farci immergere in tempo reale in un’incredibile notte paranormale. Una notte nella quale anche noi possiamo trovarci ad indagare e, un certo senso, a sognare.
Borat – Seguito di film cinema
Sacha Baron Cohen torna dopo quattordici anni ad interpretare Borat, il cronista kazako che aveva sconvolto il mondo intero nel primo, fortunatissimo, film del 2006. Borat – Seguito di film cinema ad un primo sguardo sembra ricalcare il film precedente, utilizzando pretesti diversi e nuovi stimoli per parlare d’altro. In un certo senso, fa proprio questo. Ciò che rende il personaggio di Borat e tutto ciò che gli gravita attorno divertente ed entusiasmante è la capacità del suo autore (lo stesso Cohen) di non riciclare mai battute e sketch; la sua è una comicità datata, superata da almeno dieci anni – quando viveva il suo punto più alto con il primo film e con Suxbad – ma sempre nuova. E non può essere altrimenti vista la totale casualità degli eventi, mai ripetibili e sempre unici: il fraintendimento e l’imbarazzo di chi interagisce con i protagonisti sono forse meglio della gag stessa.
A render questo sequel perfetto ci pensa l’ingresso in scena di Tutar, figlia di Borat. Una co-protagonista che riesce pian piano a ritagliarsi sempre più spazio fino a rubare la scena al padre, affrontando tematiche prima inesplorate. Il secondo capitolo delle peripezie americane del reporter kazako è spassoso e imprevedibile: l’orientamento della sceneggiatura cambia sempre, si orienta sull’improvvisazione e quando sembra che possa virare verso una precisa direzione, cambia inaspettatamente. Oltre ad essere uno dei migliori film del 2020, è tra le opere satiriche più argute degli ultimi vent’anni, capace di spaziare dalla politica alla pandemia, diventando il primo grande vero film sul Covid-19 e sulle sue conseguenze in una società allo sbando.
Sto pensando di finirla qui
Charlie Kaufman ci regala da anni film all’apparenza contorti e visionari ma che ad uno sguardo attento risultano essere incredibilmente lucidi nella loro descrizione della realtà. Proprio questa viene destrutturata fino al limite dell’intelletto umano in Sto pensando di finirla qui, film distribuito da Netflix e passato inizialmente in sordina. Col passare del tempo ha acquisito sempre più successo grazie al tam tam mediatico dovuto agli utenti che cercavano di carpirne il significato intrinseco. Significato intrinseco che forse non c’è. Come per ogni altra opera di Kaufman lo spettatore si trova davanti al frutto di una mente vulcanica e labirintica che vomita sullo schermo il frutto di un pensiero intellettualmente stratificato. Un film liquido che più si cerca di afferrare e più sfuggirà. L’unica soluzione è abbandonarsi ad esso per esse trasportati lì dove l’autore vuole.
Lucy e Jake si frequentano da qualche mese ma decidono comunque di mettersi in viaggio per conoscere i genitori di lui. L’uomo è felice ma allo stesso tempo preoccupato che l’incontra possa andare male e decide di spezzare la tensione con lunghi discorsi. Jake è colto, cita scrittori e fa riflessioni profonde ma spesso risulta snervante e opprimente. Lei non è sicura di sé stessa, della relazione e di ciò che vuole dalla vita ma si lascia prendere per mano e trasportare in un’avventura dai risvolti onirici e imprevedibili.
Alcuni tra i migliori film italiani del 2020
Favolacce
I fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo prima con la “La terra dell’abbastanza” e poi con “Favolacce” sono riusciti ad attirare l’attenzione di critica e pubblico. La loro ascesa è stata così rapida da arrivare a vincere con il loro secondo lungometraggio l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura al “Festival Internazionale del Cinema” di Berlino. I due registi romani analizzano la realtà in maniera del tutto disincantata cercando di sviscerarne le storture e i problemi più nascosti. Centro del loro mondo sono Roma e la provincia romana. Proprio quest’ultima è la grande protagonista dei loro film, in particolare di Favolacce. Stiamo parlando di un film che non fa sconti a nessuno, nemmeno ai bambini, vero fulcro della narrazione.
La pellicola segue infatti le vicende di alcuni nuclei familiari che vivono nel quartiere di Spinaceto, nella periferia di Roma. Gli adulti che popolano questo luogo sembrano vivere solo per trascinarsi stancamente fino alla fine della giornata, cercando di tenere insieme le loro vite fatte di falso buonismo e maschere opulente. I primi a rimetterci sono i loro figli che vengono cresciuti nella più totale repressione emotiva. Giunti “sull’orlo di una crisi di nervi” saranno proprio i più piccoli a cambiare la situazione, arrivando a mettere in atto un piano al dir poco agghiacciante. Un film che merita di entrare di diritto all’interno della lista dei migliori film 2020 sia per l’alta qualità del messaggio che porta con sé sia per il modo in cui è stato realizzato dai due giovani registi.
Volevo nascondermi
Elio Germano nel corso del tempo si è affermato come uno dei talenti più cristallini del panorama cinematografico italiano e internazionale. Con Volevo nascondermi aggiunge un ulteriore tassello ad una carriera costellata da ruoli intensi e mai banali, aggiudicandosi il premio per il miglior attore al Festival del cinema di Berlino. Dopo Il giovane favoloso (2014) in cui interpretava Giacomo Leopardi l’attore torna ad interpretare una figura oscura e tormentata della storia italiana: Antonio Ligabue. Germano ancora una volta si cala completamente nei panni del personaggio che deve interpretare prendendone pregi, difetti e vizi. Per 120 minuti si arriva quasi a scordare che quello sullo schermo sia un attore e non lo stesso pittore; il confronto è ancora più sorprendente se si vanno a recuperare i filmati che ritraggono Ligabue nei suoi impeti creativi. Un’interpretazione può valere un film? In casi come questo la risposta è assolutamente sì.
Grazie ad alcuni flashback lo spettatore scopre l’infanzia tormentata dell’artista che piccolissimo viene affidato ad una famiglia svizzera. Disturbi psicologici e malattie invalidanti come il rachitismo ne compromettono lo sviluppo sia fisico che psicologico a tal punto da arrivare ad aggredire la madre ed essere più volte ricoverato in manicomio. L’unico sollievo per Ligabue sembrano esse la pittura ed il disegno per cui sembra essere particolarmente dotato. Dopo l’espulsione dalla Svizzera e l’ingresso in Italia l’artista viene scoperto dal critico Mazzacurati; proprio questo incontro gli spalancherà le porte del mondo dell’arte in cui verrà riconosciuto come uno dei più importanti esponenti dell’arte naïf.
Hammamet
Una volta c’erano i ruoli, per gli attori. Adesso li fa tutti Favino.
Le parole di Nando Martellone, noto personaggio della serie Boris, sembrano quanto mai profetiche. Favino negli ultimi anni infatti è stato particolarmente prolifico e ci ha regalato interpretazioni di altissimo livello. Su tutte possiamo citare quella nei panni di Tommaso Buscetta ne Il traditore e quella di Bettino Craxi in Hammamet, film diretto da Gianni Amelio. Proprio la performance dell’attore romano risulta essere la colonna portante dell’intera storia e permette a quest’opera di entrare di diritto tra i migliori film del 2020. Favino per entrare nei panni di Bettino Craxi si lascia andare ad una trasformazione che lo rende pressoché irriconoscibile, ottenuta attraverso particolati tecniche di trucco sviluppate in mesi di lavoro.
Il film si concentra sugli ultimi sei mesi di Bettino Craxi, leader socialista ed ex Presidente del Consiglio. L’operazione Mani Pulite determinò non solo la caduta di Craxi, una delle figure più influenti di quegli anni ma anche la fine della Prima Repubblica. Nel 1994 l’ex Presidente del Consiglio, decise di fuggire in Tunisia, più precisamente ad Hammamet, per evitare un arresto fattosi oramai certo. Proprio qui troveremo un uomo provato sia nello spirito che nel corpo. Uno spirito indebolito da rancore e solitudine e un corpo indebolito da un diabete mai curato adeguatamente accompagneranno Craxi nei suoi ultimi giorni insieme ai suoi familiari e ad alcune figure che gli ricordano del suo passato.
I migliori film d’animazione del 2020
Wolfwalkers – Il popolo dei lupi
Forse anche in questo 2020 il film d’animazione più bello dell’anno non è Disney o Pixar. In senso più generale, Wolfwalkers – Il popolo dei lupi è tra i migliori film dell’anno in assoluto. A firmarlo è lo studio irlandese Cartoon Saloon e i due registi Tomm Moore e Ross Stewart. Il primo, noto al grande pubblico per due delle opere animate più intense e poetiche di XXI secolo, The Secret of Kells e La canzone del mare. Distribuito proprio sul finire del 2020 da Apple Tv+, Wolfwalkers è un’opera incredibile, capace di trasportarci in un mondo magico in cui ognuno di noi può perdersi grazie all’incredibile lavoro dell’animazione. Perché se è anche vero che sono varie le tematiche importanti, affrontate sempre con maturità, ciò che più colpisce è l’affascinante sperimentazione visiva di un’animazione 2D che sfida la prospettiva e il realismo per cercare di arrivare nel profondo dell’animo.
Un tratto “sporco” e fumettistico – molto vicino a parte delle esperienze recenti dell’animazione giapponese – che si fonde alla perfezione con la magica intensità dei colori e la varietà delle soluzioni grafico-stilistiche. La storia ci porta nell’Irlanda del 1650. Robyn è una giovane ribelle che sfida le convenzioni sociali per poter diventare una cacciatrice, proprio come il padre. Nella foresta vive Mebh, una wolfwaker, ragazza capace di trasformarsi in lupo e comunicare con gli animali. L’incontro fra le due sarà destinato a cambiare le vite di entrambe e mettere in discussione le proprie certezze. Una delle opere più importanti del 2020 e tra i film d’animazione più intensi degli ultimi anni.
Mister Link
In un mondo ultra tecnologico in cui anche l’animazione si sta muovendo verso un processo produttivo sempre più digitalizzato c’è qualcuno che continua a fare le cose in modo “artigianale”. Stiamo ovviamente parlando della Laika, studio leader nell’animazione stop-motion, che in passato ci ha regalato perle come “Coraline e la porta magica” e “Kubo e la spada magica”. Quest’anno è uscito nelle sale Mister Link, una delicata favola moderna che con tatto riesce a raccontare temi estremamente attuali. L’identità di genere, l’emancipazione femminile e il machismo sono solo alcuni dei punti che vengono toccati nel corso della narrazione. Il pregio maggiore della pellicola è l’affrontare questi argomenti senza falsi buonismi e ipocrisie. Se a tutto ciò uniamo la solita abilità della Laika nel dare vita a microuniversi coloratissimi e divertentissimi si ottiene un film adatto a tutte le età grazie ai suoi numerosi livelli di lettura.
Mr. Link appartiene ad una misteriosa specie umanoide che vive in solitudine nel Pacifico nord-occidentale. Stanco della sua situazione decide di reclutare Sir Lionel Frost, un intrepido esploratore il cui più grande desiderio è studiare e scovare l’ignoto. I due decideranno insieme di raggiungere la leggendaria valle di Shangri-La che stando alle leggende è popolata da creature simili a Mr. Link. Al gruppo si unirà più avanti l’intraprendente avventuriera Adelina Fortnight che li accompagnerà nel corso di un’avventura ricca di colpi di scena e di momenti di profonda riflessione.
Soul
È ormai chiaro a tutti, anche a quelli ancora aggrappati a vecchi idee di cinema e comunicazione: i cartoni animati non sono un prodotto ad esclusivo appannaggio dei bambini. Soul, film d’animazione diretto da Pete Docter e prodotto dai Pixar Animation Studios, ne è la dimostrazione lampante. Il regista di Inside out torna nei cinema con un film profondo, complesso e tratti anche filosofico. Dopo aver approfondito il mondo delle emozioni Docter si spinge ancora più in là, il protagonista di questo nuovo lungometraggio animato è il mondo delle anime. Il film riesce a districarsi alla perfezioni tra temi spinosi e difficili da trattare regalandoci una vasta gamma di emozioni Ad accompagnare le tante risate e le altrettante riflessioni c’è un lavoro grafico eccellente vengono, soprattutto nella realizzazione del mondo delle anime.
Il protagonista del film è l’insegnante di musica Joe Gardner il quale insegna in una scuola media a studenti poco interessati alla materia. Il jazz è tutta la sua vita e quando ottiene la possibilità di esibirsi su un palco al fianco di una grande star capisce che forse il suo sogno non è poi così irraggiungibile. A causa però di uno sfortunato incidente il suo corpo si separa dalla sua anima che, incapace di accettare questa fine, finisce nell’Ante Mondo. Qui l’anima di Joe viene scambiata per un mentore e le viene assegnata “anima 22” un anima ribelle che non vuole iniziare a vivere. In questo luogo metafisico si trovano infatti le anime prima di venire assegnate ai rispettivi corpi, qui acquisiscono le proprie passioni e i propri interessi.
I migliori film orientali del 2020
Il lago delle oche selvatiche
Dalla Cina arriva un noir ricco di tensione, capace di tenere incollato lo spettatore allo schermo dall’inizio alla fine. Il lago delle oche selvatiche mette in piedi una classica storia di criminalità tra città e campagna, in cui l’inseguimento e la fuga del protagonista sono il fulcro principale dell’opera. A firmarla Diao Yinan, lontano dalle dinamiche equilibrate e calibrate del precedente film (Fuochi d’artificio in pieno giorno), qui intenzionato a creare un forte contrasto tra vuoti e pieni, città e campagna, tensione e rilassamento. E ci riesce perfettamente. Ciò che rende Il lago delle oche selvatiche un film da non perdere è l’incredibile messa in scena, resa grande da una fotografia tagliente e un cromatismo vibrante che valorizzano le affascinanti ambientazioni e alcuni momenti di altissima carica sensoriale, tra la poesia di un mare calmo e il pulp di una violenta colluttazione.
In una piovosa serata assistiamo all’incontro tra il rude Zhou Zenong e la misteriosa Liu Aiai (i bravissimi e intensissimi Ge Hu e Lunmei Kwai). La donna è stata mandata per recapitare un messaggio importante da parte della moglie. Non sappiamo nulla dei due. La storia ci catapulta a qualche tempo prima, illustrandoci bene cosa sta accadendo e di cosa stanno parlando. Zhou Zenong si trova in una situazione compromettente dopo una sanguinosa diatriba tra bande criminali. L’uomo si ritrova a fuggire per evitare da una parte i gangster inferociti e dall’altra la polizia, specie per via di uno sparo che adesso rischia di costargli carissimo. Entrambe le fazioni entreranno quindi in contatto, incontrandosi e soprattutto scontrandosi, in una spietata caccia all’uomo senza esclusione di colpi – anche considerando l’importante taglia sulla testa di Zhou. Tra pistole, coltelli e inseguimenti, entrerà in scena Liu Aiai, una prostituta dalle intenzioni indecifrabili.
Un lungo viaggio nella notte
Dopo dodici anni di assenza da Kaili, Luo Hongwu (Huang Jue) torna nella sua città d’origine per via della morte del padre. Il luogo in cui è cresciuto riaccende subito i ricordi nella mente dell’uomo, portandolo a pensare a tutte quelle persone e a tuti quegli avvenimenti che fanno parte del suo passato. Eventi che però non sono mai andati via dalla sua mente. Due in particolare sono gli individui incancellabili. Il primo è Gatto Randagio, amico vittima della criminalità organizzata sulla cui morte aleggia ancora il mistero. Poi c’è Wan Qiwen, giovane e conturbante femme fatale scomparsa da anni. Intenzionato a trovare la donna, Luo Hongwu troverà davanti a sé un percorso intricato che lo porterà a riflettere su passato e presente, compromettendo le sue già labili certezze. Questo il punto di partenza di una storia in realtà difficile da riassumere concretamente.
Perché il secondo film del giovanissimo Bi Gan è complesso e per certi versi inaccessibile nelle tematiche e nel significato più profondo. A metà tra presente e passato, mette in scena un cinema personale e autentico, che guarda a grandi maestri come Wong Kar-wai ma riesce parallelamente, con un carattere da veterano – a sviluppare una forte identità cinematografica – visiva e narrativa. Era difficile superarsi dopo un esordio shock come Kaili Blues, eppure Bi Gan riesce a spingersi oltre; resta fedele alle modalità espressive del primo film ma ne esaspera ogni elemento, trasformandolo in poesia. Le parole non bastano per Un lungo viaggio nella notte, uno dei film più belli dell’anno – probabilmente il più bello. Un noir fuori dal tempo, classico e allo stesso tempo rivoluzionario, clamoroso come le sue bellissime sequenze finali.
I migliori film del 2020 tra i candidati agli Oscar
Jojo Rabbit
Può un attore e regista neozelandese con padre māori e madre di discendenza ebraica vestire i panni di Adolf Hitler? Stando agli standard iper moralisti odierni no, ma Taika Waititi non li conosce e lo interpreta lo stesso. Tutto ciò accade in Jojo Rabbit, vero e proprio outsider nella scorsa edizione dei premi Oscar dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura non originale. Un film dissacrante dove l’immagine del dittatore viene presa, passata sotto una pressa e ridotta in brandelli grazie ad un’interpretazione irresistibile proprio dello stesso Waititi. Il dramma si unisce alla comicità e il risultato finale è un prodotto che riesce a commuovere, far ridere e far riflettere il pubblico.
Il merito va anche ad un cast stellare e in grande forma. Scarlett Johansson interpreta Rosie Betzler, madre di Johannes “Jojo Rabbit” Betzler interpretato dal giovanissimo e talentuosissimo Roman Griffin Davis. Il film è ambientato nella Germania nazista del 1945. Joseph è un bambino gracile ed emarginato con la testa ricolma di ideali e un’incrollabile fiducia nel führer. Questo amore incondizionato lo porta ad avere un particolare amico immaginario: lo stesso Adolf Hitler. Sfigurato a causa di un incidente durante un’esercitazione militare il bambino cercherà di dare tutto il suo apporto alla causa nazista. Lasciato spesso solo dalla madre scoprirà che nella sua casa vive nascosta una bambina ebrea. Un incontro decisivo che farà capire a Jojo che gli ideali che persegue sono sbagliati.
The Lighthouse
Nel New England del XIX secolo, due uomini sbarcano su un’isola apparentemente sperduta. I due sono Thomas Wake e Ephraim Winslow e il loro lavoro per quattro settimane sarà quello di guardiani del faro. Il primo è un esperto quanto rude marinaio, il secondo è molto più giovane e visibilmente più riservato del collega. L’atmosfera si fa sempre inquietante e ogni angolo sia del faro che dell’isola stessa sembra nascondere qualcosa di tetro. A far sospettare il giovane è la strana condotta di Thomas, sempre più enigmatico e misterioso. Tra alcool e alcuni sconvolgenti eventi a metà tra realtà e allucinazione, Ephraim andrà incontro ad un vero e proprio incubo alla scoperta del mistero legato al faro e al suo compagno più anziano. Queste, brevemente, le vicende narrate nell’ultimo intrigante lavoro di Robert Eggers, regista noto al grande pubblico per il suo stupefacente esordio, The VVitch.
The Lighthouse non si discosta molto dal precedente film, lavorando sugli stessi stilemi narrativi volti a generare terrore e spaesamento. Eggers ne riprende la struttura e per certi versi sembra non farla evolvere ma riconferma l’incredibile talento del giovane regista nel lavorare con certe tematiche (e non è mica poco). Grazie ad un sontuoso bianco e nero – che genera una forte carica chiaroscurale a favore dell’inquietudine – e al 5:4 claustrofobico The Lighthouse gioca con lo spettatore, generando repulsione prima e attrazione poi. Merito soprattutto di Robert Pattison e Willen Dafoe (quest’ultimo in uno spaventoso stato di grazia) che riescono a portare in scena la follia, il terrore e le pulsioni psicologiche, oltre che sessuali. Condito di numerose suggestioni mitologiche e poetiche, l’opera fonde alla perfezione poesia e turbamento in un vortice di emozioni travolgenti.
I Miserabili
Nella lista dei migliori film del 2020 entra un’altra pellicola realizzata nel 2019 ma uscita in Italia solo quest’anno. Stiamo parlando de I Miserabili di Ladj Ly, il cui successo internazionale è stato tale da garantirgli una nomination agli Oscar, una ai Golden Globes e la vittoria del Premio della giuria al Festival di Cannes. Il regista documentarista con il suo primo lungometraggio riesce con il giusto grado di distacco a raccontare ciò che accade nelle banlieue. Il focus viene posto in particolare sul quartiere che gli ha dato i natali: Montfermeil. Con il suo occhio critico Ly mette in luce il contrasto sociale tra una polizia spesso corrotta e violenta e gli abitanti di questi luoghi. L’obiettivo non è però quello di parlare della povertà e del degrado dei sobborghi parigini, piuttosto far capire a chi vive a di fuori di questi contesti cosa vuol dire nascere e crescere in un luogo dove le opportunità sono più che limitate.
Nonostante il film prenda ovviamente le distanze dal capolavoro di Hugo ne assorbe i principi narrativi e ne trasmette ai posteri l’eredità. Non a caso ne riprende la celebre frase: “Ricordatevi di questo, amici miei. Non ci sono cose come le piante cattive o uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori.” La Francia ha appeno vinto i mondiali e così come tutti il giovane Issa e altri ragazzi festeggiano l’incredibile risultato sportivo. Il cambio di registro è quasi immediato, si passa da un clima di giubilo alla dura vita delle periferie parigine. Lo spettatore verrà accompagnato alla scoperta di Les Bosquets, una delle zone col più alto tasso di criminalità di Montfermeil da una particolare squadra anti-crimine. Particolare perché il confine tra criminalità e giustizia si farà sempre più labile col procedere della storia.
Piccole Donne
Una nuova versione cinematografica dell’opera di Louisa May Alcott, inizialmente, sembrava non esser necessaria. Visto il risultato, però, Piccole Donne di Greta Gerwig è una delle più riuscite – se non addirittura la migliore tra le trasposizioni. La regista e sceneggiatrice, dopo l’esordio strabiliante con Lady Bird, mostra ancora una volta una sensibilità unica nel trattare personaggi femminili e storie che ruotano attorno ad essi. Lo fa anche grazie ad una straordinaria protagonista,Saoirse Ronan, già vista nel precedente film. Perché se in tutte le versioni viste e lette in precedenza le protagoniste sono le sorelle March e le loro vicende, qui è la Jo interpretata dall’attrice irlandese ad essere il centro gravitazionale della storia.
Lo diventa soprattutto per via della scelta, più che riuscita, di fare avanti e indietro nel tempo e lavorare su di esso – vero e proprio protagonista secondario. Piccole Donne di Greta Gerwig non porta in scena solo la prima parte del racconto: il film, infatti, viaggia tra essa e la seconda, Piccole Donne crescono. Così facendo scopriamo analogie, differenze, evoluzioni e tormenti ricorrenti presenti nelle giovani March nel corso degli anni. Uscito in Italia a inizio anno, è certamente tra i migliori film del 2020 non solo per le modalità della narrazione e l’incredibile cast ma anche per la maniacale cura nello studio dei costumi e della scenografia, oltre che per delle scelte coloristiche che lavorano in sinergia con lo script. Un film da non perdere, che mantiene fino alla fine il massimo rispetto nei confronti di uno dei capisaldi della letteratura di formazione.
I migliori film del 2020, tra coinvolgimento e azione
Tenet
Christopher Nolan è riuscito ancora una volta nel suo intento: accentrare le attenzioni di critica e pubblico su una sua creatura. Tenet è infatti uno dei film più discussi dell’anno. C’è chi ne ha amato la complessità e c’è chi invece ha criticato aspramente una struttura narrativa poco salda e spesso sfuggente. Nolan è sicuramente uno dei pochi registi mainstream che ogni volta che si presenta al cinema lo fa con un prodotto nuovo che in qualche modo sposta l’asticella sempre un pochino più in alto. Non importa se dal punto di vista degli effetti speciali o della scrittura, il suo obiettivo è arrivare in sala sempre con qualcosa di diverso da dire. Tenet non è di certo privo di punti deboli, la narrazione degli eventi è spesso nebulosa e a volte sembra essere resa forzatamente più complessa del necessario.
Un esperimento dunque, che prova a spostare l’attenzione dello spettatore non tanto su ciò che si vede su schermo ma su ciò che non si può vedere. Nolan ha rischiato ma è comunque riuscito a produrre un film capace di entrare all’interno della lista dei migliori prodotti del 2020.
Armato solo di una parola – Tenet – e in lotta per la sopravvivenza di tutto il mondo, il Protagonista è coinvolto in una missione attraverso il mondo crepuscolare dello spionaggio internazionale, che si svolgerà al di là del tempo reale. Non un viaggio nel tempo. Ma Inversione.
Ema
Uscito in Italia un anno dopo la sua premiére a Venezia, Ema è l’ultimo lavoro del regista cileno Pablo Larraìn, tornato a girare in Cile dopo la fortunata parentesi americana con Jackie. Nuovamente la storia di una donna forte, totalmente diversa però dalla protagonista del precedente film. Ema non è solo il titolo ma anche il nome del personaggio chiave del film, un personaggio di cui Larraìn riesce a farci innamorare in primis perché egli stesso ne è innamorato; in certe sequenze la macchina da presa sembra far l’amore con la protagonista, soprattutto nelle selvagge e sfrenate danze a ritmo di raggaeton. Perché sì, Ema è anche un film sul raggaeton, in cui quest’ultimo non è solo parte della colonna sonora ma diventa, in un crescendo emotivo e sperimentale, uno dei tanti protagonisti fornendo al film la possibilità concreta di svincolarsi da ogni convenzione, infiammando (letteralmente) ciò che circonda i personaggi.
Ema (Mariana Di Girolamo) è una ballerina, vive la musica e il suo corpo con assoluta libertà, cercando con essa di esprimere sé stessa come ballerina e donna, spregiudicata e senza regole. Il suo compagno (Gael Garcia Bernal) la pensa antiteticamente, guardando alla danza come una possibilità di far arte performativa più sofisticata. I due sono legati da un tragico evento che sembra averli messi contro definitivamente: evento che spinge la protagonista a compiere azioni più che discutibili, nel corso del film, pur di arrivare al suo obbiettivo finale. Ema anche per questo e pur senza parlare di femminismo e diritti della donna è una delle opere contemporanee più audaci da questo punto di vista, capace di mostrare una donna che coscientemente utilizza il proprio corpo in totale libertà, studiandone i motivi e le conseguenze.
L’uomo invisibile
Approcciarsi ad una delle storie di horror fantascientifico più celebri della letteratura ì non è mai semplice. Specie quando da essa è stata tratta una versione cinematografica ancora nell’immaginario collettivo: L’uomo invisibile, diretto da James Whale. Quando però dietro la nuova versione c’è Blumhouse, i risultati sono quasi sempre garantiti. Leigh Whannell (Upgrade) dirige il reboot del film del 1933 (nonché di quello del 2000 di Paul Verhoeven), ispirandosi alla figura chiave del romanzo di H.G. Wells ma distaccandosene radicalmente. Come visto con il Suspiria di Guadagnino, infatti, il modo migliore per omaggiare un classico e parallelamente metter in scena un carattere proprio è creare qualcosa di nuovo. La nuova versione modifica sia registro e genere, che soprattutto il punto di vista. Protagonista è difatti la vittima e non più il carnefice, che dà il nome al film.
Così facendo dona all’opera originale nuova linfa vitale, modernizzandola. Lo fa giocando proprio con la sua nuova protagonista (una straordinaria Elisabeth Moss), mostrando tutte le sue angosce, paranoie e il senso di frustrazione derivato dall’impossibilità di affrontare alla pari il suo oppressore. Whannell riesce con spiccata maestria a parlare di violenza domestica e stalking senza far mai retorica, riuscendo a portare però a casa un messaggio chiarissimo. Ciò che rende però L’uomo invisibile una piacevolissima sorpresa è soprattutto il cambio di genere, tendendo verso un thriller ad altissima tensione in cui noi, come la protagonista, siamo costantemente all’oscuro di chi ci sia in nostra compagnia, seduto al nostro fianco.
Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite
Dragged Across Concrete – Poliziotti al limite non è un film facile da digerire. Anche quest’ultimo titolo (uscito in Italia in digitale, durante la pandemia) risente di quel nichilismo crudo e amaro che contraddistingue la filmografia del suo regista, S. Craig Zahler. Già dai primi istanti sappiamo dove il film vuole andare a parare: dritto al punto, violento e, per certi versi, amorale, Dragged Across Concrete tocca i tasti giusti al momento giusto e questo è il suo più grande pregio. Una delle scoperte action del 2020, che parte dal più classico dei buddy-movie polizieschi di serie B per sfociare, dopo pochissimo, in una riflessione esistenziale sull’agire umano e sulle ragioni che spingono a compiere determinate azioni. Quasi tre ore che scorrono via in un batter d’occhio. Il terzo lungometraggio di Zahler è certamente uno dei migliori film del 2020.
Protagonisti della storia sono Brett e Anthony, due agenti di polizia dai caratteri opposti. Brett, il più anziano dei due, sfoga la sua rabbia repressa sui criminali e ciò l’ha sempre messo sotto una cattiva luce. L’ennesima azione violenta metterà i due alle strette: quando Brett abusa del suo potere su uno spacciatore messicano, il Dipartimento di trova costretto a sospendere i due per numerose settimane, senza retribuzione. Privi del denaro per andare avanti, proveranno a metter mano nel peggiore dei modi su un possibile bottino. La loro vita, però, cambierà quando la loro missione incrocerà quella di Henry, un giovane appena uscito di galera che, come i due poliziotti, cerca in tutti i modi di dar sostegno alla famiglia.