Wonder Woman 1984: recensione del secondo film dedicato all’amazzone DC
Diana torna in azione in un contesto molto diverso dal precedente film
Il 2020 è stato il primo anno da una decina a questa parte privo di supereroi sul grande schermo. Eccezion fatta per Wonder Woman che, pur non ritrovandosi a brillare all’interno di una sala cinematografica, è riuscita a trovare posto nel salotto degli spettatori americani grazie ad HBO MAX. Arriva finalmente, poco più di un mese dopo, anche in Italia. Nel nostro paese vale lo stesso metodo di distribuzione, con una versione digitale pronta a debuttare sulle piattaforme online dal 12 febbraio. Dietro la macchina da presa ancora una volta Patty Jenkins, regista del fortunato primo capitolo che qui firma anche la sceneggiatura (e le differenze nella scrittura sono evidenti). Nel cast principale spiccano i protagonisti, Gal Gadot e Chris Pine, e le new entries Kristen Wiig e Pedro Pascal. In questo articolo la recensione di Wonder Woman 1984, sequel del film del 2017.
Sono passati decenni dagli eventi del primo film. Diana passa le sue giornate tra il lavoro come antropologa e archeologa e il suo ruolo di vigilante segreta. Tutto cambia quando al museo arriva un reperto misterioso da esaminare affidato a Barbara Minerva, una gemmologa impacciata e trascurata – l’opposto di Diana. La pietra si rivela essere un antichissimo oggetto plasmato per esaudire i desideri in cambio di qualcosa di speciale. Il desiderio espresso dalla protagonista sarà quello di riabbracciare l’amato Steve, mai dimenticato. Quello dell’ingenua Barbara, invece, è diventare come la sua nuova amica Diana, inconsapevole delle conseguenze che ciò comporta. Nessuna delle due, però, sospetta che dietro ciò si nasconde una macchinazione molto più complessa. Essa rimanda a Maxwell Lord, personaggio televisivo e imprenditore petrolifero senza scrupoli che conosce il segreto dietro la pietra. Di seguito la recensione di Wonder Woman 1984.
Indice
Back in the 80s – Wonder Woman 1984, la recensione
Non è un caso che la prima scena concreta di Wonder Woman 1984, dopo il flashback iniziale, sia ambientata proprio in un centro commerciale. Patty Jenkins sa bene cosa vuole mostrare e come vuole farlo. Se il film del 2017 proiettava Diana nella Grande Guerra, tra il grigio delle macerie e le esplosioni, questo secondo capitolo stravolge tutto. A fare da sfondo è il 1984 – dai colori e la vivacità di un film/serie proprio degli anni Ottanta – e tutti gli stilemi visivi di riferimento. Ogni singolo frame, almeno per tutta la prima parte del film, cerca di spremere il più possibile quell’ambientazione, le sue caratteristiche e tutto ciò che può esser utile alla storia. Ma è proprio quest’ultima che non ne esce sempre benissimo, pressata da tale contorno che, pur nella sua ottima ricostruzione, ne condiziona il ritmo e le scelte narrative, impigrendole in un certo senso.
Qui non solo si parla di anni Ottanta, essi si emulano nella messa in scena e nei tempi. Dalla costruzione della battuta fino al mistero da scoprire e alla scoperta, tutto strizza l’occhio a quel periodo ma non riesce ad inglobarlo nell’opera. La Jenkins sembra esser più interessata a crogiolarsi su quell’epoca a discapito degli eventi veri e propri. Ciò che mette i bastoni tra le ruote al ritmo e alla narrazione è la difficoltà di WW84 di arrivare al punto, dilatando drasticamente ogni sequenza nelle prime due ore (accelerando improvvisamente sul finale), tra divertenti intermezzi e cacce al tesoro che smorzano la tensione. L’humor e la leggerezza non annoiano certamente (e va riconosciuto un tono che segna un deciso passo avanti per la concezione del personaggio) ma la sensazione è che la durata sia davvero troppa per uno sviluppo estremamente disomogeneo.
La zampa di scimmia
Fin dall’inizio Wonder Woman 1984 vuole così essere più morbido e brioso rispetto al primo film, sacrificando la vena action propria del cinecomic, aggiungendo però uno spirito d’avventura – non sempre convincente e avvincente – più vicino ad Indiana Jones che alle altre opere DC. Lo spirito e l’indagine quasi investigativa offrono, pertanto, nuovi spunti e una diversa visione della protagonista – qui spesso lontana dal suo carattere guerrigliero e sovraumano, mostrandosi più umana. Proprio la particolare verve e la freschezza messa in scena riescono a far digerire più facilmente fasi in cui la storia procede a rilento. Patty Jenkins dimostra ancora una volta una grande capacità nell’adattare tematiche contemporanee tra loro distanti e complesse ad un contesto temporale diverso e soprattutto ai suoi protagonisti. Ciò che non le riesce pienamente, però, è l’articolazione di esse nella storia. Tanto di interessante da raccontare e troppo poco raccontato oltre la superficie.
Politica, questioni di genere e conflitto etico fanno il loro ingresso in punta di piedi e provano ad affacciarsi ma solo timidamente. Escono invero senza che il loro apporto abbia realmente spostato gli equilibri della storia. Sin dalla primissima scena (quella ambientata a Themyscira, nettamente il punto più alto del film per coinvolgimento e struttura) si fa leva sul valore della verità senza inganni, che nel corso del film si esula dalla sterile morale per radicarsi saldamente alle vicende diventarne e nucleo fondamentale. WW84, però, è vittima del suo stesso messaggio (contro eccessi e scorciatoie veloci) eccedendo in futili ornamenti anticlimatici e in un montaggio troppo generoso, oltre ad abbozzate soluzioni narrative – prendendo più di una scorciatoia – che più di una volta rischiano di compromettere la già precaria fluidità dell’insieme. In 155 minuti è impensabile non riuscire a creare una migliore e coesione nell’intreccio e agilità discorsiva.
Questione di carattere – Wonder Woman 1984, la recensione
Concludendo la recensione di Wonder Woman 1984 è impossibile non prendere in considerazione Gal Gadot. L’attrice israeliana prova a reggere sulle spalle tutto il film, pur mostrando in alcune situazioni i limiti derivati da una scrittura che le chiede ciò che non può dare. Quasi fuori luogo per solennità sia in abito da sera che nella scintillante armatura, fatica tantissimo a portare alla luce un lato del suo personaggio più complesso, vittima di conflitti interiori assenti prima. Kristen Wiig si comporta benissimo nella prima parte; meno a suo agio nei panni di una villain che chiarisce subito, purtroppo, il suo ruolo: quello di comprimaria, regalata al necessario nemico fisico per un film altrimenti privo di azione concreta. Ed è un enorme peccato, per la velocità del suo cambiamento (sino ad allora un personaggio interessante e ben costruito) ma soprattutto per il poco approfondito ruolo di anti-Diana.
È un dispiacere vedere durare il confronto Diana-Cheetah pochi minuti. Visti però i risultati di una CGI in clamoroso affanno (la mente riporta spiacevolmente all’inspiegabile Cats), forse è stato meglio così. Aspetto visivo che nel suo complesso, pur omaggiando il passato, esalta in pochissime occasioni. La piacevole sorpresa è la deliziosamente esagerata interpretazione di Pedro Pascal. Il suo Max Lord è un personaggio perfetto, il villain più credibile portato sullo schermo fin ora da Warner, interessante nelle sue ossessioni e persino nelle debolezze che lo rendono però un personaggio solido, capace di regalare emozioni fino al confronto finale con Diana – che soffre anch’esso della brusca e repentina accelerata conclusiva. Tra etica e reaganismo, Wonder Woman 1984 oscilla tra numerosi alti e bassi presentando una diversa Diana ma oscurando troppo Wonder Woman. E soprattutto mettendo in ballo questioni cruciali per il mondo contemporaneo tuttavia prive di forza espressiva.
Wonder Woman 1984
Voto - 5.5
5.5
Lati positivi
- Pedro Pascal: un concentrato di sana e brillante euforia, il migliore tra i protagonisti
- Gli anni Ottanta e il tono più leggero: una nuova freschezza acquisita sacrificando l’azione propria del cinecomic come lo conosciamo tutti, qui meno rilevante ai fini dello sviluppo
- Gli stessi anni Ottanta elogiati, diventano a lungo andare protagonisti più della storia stessa che procede a rilento
- La durata ingiustificata: troppo tempo a disposizione ma tanti aspetti secondari mal sviluppati e appena abbozzati
- Barbara/Cheetah: per tutta la prima parte un interessante personaggio, poi l’evoluzione troppo veloce e l'inadeguatezza della CGI (sottotono in tutto il film) rovinano il buono fatto in precedenza
Lati negativi