Lei mi parla ancora: recensione del nuovo film di Pupi Avati
Su Sky il film tratto dall'opera autobiografica di Giuseppe Sgarbi
È disponibile da lunedì 8 febbraio in esclusiva su Sky Cinema e Now TV Lei mi parla ancora, nuovo film diretto da Pupi Avati di cui vi proponiamo la nostra recensione. Avati adatta insieme al figlio Tommaso l’omonimo romanzo di Giuseppe Sgarbi, padre dell’editrice e regista Elisabetta e del critico d’arte Vittorio. Sgarbi firma l’opera autobiografica che racconta il suo grande amore per la moglie Rina a 93 anni; Avati, a 82, ci propone la genesi di queste memorie e il ricordo malinconico di un legame durato 65 anni. Il legame tra Nino e la Rina, appunto, tanto forte e profondo da mettere in dubbio persino l’idea della morte, della fine. Il personaggio di Nino ha il volto di Renato Pozzetto nel presente e di Lino Musella nel passato; Stefania Sandrelli e Isabella Ragonese interpretano invece rispettivamente Rina da anziana e da giovane.
Lei mi parla ancora non è solo il racconto di un amore così duraturo da sembrare oggi amaramente anacronistico. È anche la storia del rapporto tra Nino e Amicangelo (Fabrizio Gifuni), lo scrittore romano che aiuta Nino nella stesura delle sue memorie. Il rapporto tra due uomini che non potrebbero essere più diversi tra loro e che nonostante ciò costruiscono una relazione franca e intima. C’è tutto Avati in Lei mi parla ancora, dallo stile visivo ai ritmi narrativi, dal riecheggiare lontano del gotico padano alle scelte e la direzione degli attori. E c’è, ancora, molto di autobiografico sia per quanto riguarda Avati che per Pozzetto. Un matrimonio che dura da 55 anni per il primo e la morte della moglie dopo 42 anni d’amore per il secondo. Nel cast del film anche Alessandro Haber, Serena Grandi, Chiara Caselli, Nicola Nocella e Gioele Dix.
Indice:
- “L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale…”
- Analisi
- Renato Pozzetto
- Considerazioni tecniche e conclusioni
“L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale…” – Lei mi parla ancora, la recensione
Lei mi parla ancora è un film ricco di citazioni letterarie e cinematografiche, tutte esplicite. Ci sono Il settimo sigillo di Bergman, Myricae di Pascoli, Dialoghi con Leucò di Pavese. “L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnati”. E sono proprio queste poche righe dalla raccolta di Pavese a dare il commento più efficace, a veicolare il messaggio del film. Nino perde la sua Rina dopo 65 anni di matrimonio; sessantacinque anni di giri di valzer al bar del paese, baci appassionati, serate di cinema all’aperto, ricerca di preziosi cimeli per quella loro casa che “sembra il Prado”. Sessantacinque anni in cui hanno creduto di essere immortali in virtù di quel gran bene che si sono voluti e tenendo fede a una promessa fatta il giorno del matrimonio.
“Alla vigilia del cambiamento della sua vita, la giovane Caterina scrisse una lettera al suo futuro sposo”, ci racconta un narratore all’inizio del film; “gli prometteva che dandosi infinito e reciproco amore sarebbero stati immortali”. Tanto i vari flashback, quanto la nuova quotidianità della vita di Nino senza Rina testimoniano che quei giovani sposi hanno tenuto fede alla promessa. Nino parla con la sua Rina dietro una porta chiusa della loro bella casa e lei gli parla ancora. In sogno, certamente, in quel ricordo che porta e che ha lasciato; e forse, chissà, proprio dietro quella porta chiusa, da quel posto lasciato vuoto in camera da letto. Ma quello lasciato dalla Rina è un vuoto abitato, un vuoto che Nino pian piano svela ad Amicangelo esattamente come Pupi Avati fa con lo spettatore.
Analisi
Lei mi parla ancora è probabilmente il film più intimo e personale di Pupi Avati, arrivato al suo trentanovesimo lungometraggio. Una carriera fatta di cinema con profonde radici territoriali e tematiche che qui, in buona parte, si ritrovano riadattate. Per fare l’esempio più evidente, anche in questa storia c’è la pianura padana, una casa che parla attraverso i suoi arredi e ci sono i “fantasmi”. Fantasmi che sono presenze benevole e familiari, ma che in qualche modo non riescono a staccarsi dalla dimensione terrena cui sono ancorati attraverso il ricordo. C’è la presenza dominante di Rina e c’è Bruno, suo fratello morto anni prima, che visita Nino nella memoria e nei sogni, come un presagio. Il film si sviluppa a partire dal matrimonio tra Nino e Rina, per muoversi attraverso due piani distinti ma complementari. Quello del passato e della giovinezza e quello del presente, della maturità.
C’è un discreto equilibrio tra le parti, anche se si vorrebbe vedere di più di quell’amore che reso ha immortali Nino e Rina; e in questa lieve mancanza si riscontra l’unica imperfezione del film. Nel presente Avati si prende i giusti tempi, mentre nel raccontare il passato corre un po’ e inevitabilmente qualcosa rimane fuori. Una scelta, questa, che potrebbe essere dettata dall’esigenza di replicare la struttura del genere letterario al centro del film: le memorie. Amicangelo deve selezionare, fra i racconti di Nino, cosa mettere per iscritto; ed ecco che Avati sembra in qualche modo seguire questa stessa linea, scegliendo, fra i molti, solo i ricordi più significativi. La narrazione è permeata dall’inizio alla fine di un garbo, una misura e una grazia unici. In un racconto così carico di malinconia sarebbe bastato poco per scivolare nel patetico e nella retorica dei sentimenti, cosa che invece non succede mai.
Renato Pozzetto – Lei mi parla ancora, la recensione
Lo stesso garbo, misura e grazia che nutrono Lei mi parla ancora si riscontrano anche nella straordinaria prova di Renato Pozzetto, al suo debutto in una parte drammatica. Pupi Avati ha un talento manifesto nel dirigere attori comici fuori dalla comfort zone che li ha resi familiari al pubblico e qui, con Pozzetto, si supera. Quello di Nino è un personaggio tanto malinconico e commovente quanto tenace e risoluto; una sorta di correlativo oggettivo delle emozioni che porta con sé l’idea del vivere nell’assenza di qualcuno. C’è una tenerezza autentica nella prova di Pozzetto, costruita su registri di estrema naturalezza e veridicità.
Pur in un ruolo così diverso da quelli con cui si è cimentato nella sua carriera, si riconosce in Lei mi parla ancora un tratto inconfondibile del Pozzetto “classico”: la vena infantile. Una caratteristica, questa, che qui si spoglia di ogni chiave di lettura comica e si fa disarmante. Non è difficile immaginare perché Pozzetto senta così vicina al suo vissuto questa parte e le sue vicende personali hanno senz’altro reso più semplice (semplice, non facile) indentificarsi con Nino. Il risultato è una prova sinceramente emozionante, elegante e che permette di scoprire un lato inedito di un attore che ha ancora moltissimo da dire.
Considerazioni tecniche e conclusioni – Lei mi parla ancora, la recensione
Abbiamo già accennato nella nostra recensione come Lei mi parla ancora sia un film in cui c’è tutto Avati. Colpiscono particolarmente alcune riprese e movimenti di macchina soprattutto nella prima parte del film, che indagano specialmente negli spazi della grande casa degli Sgarbi. Nei flashback si ritrovano invece i luoghi tipici del regista bolognese; luoghi da intendersi tanto in senso geografico quanto come motivi stilistici. Se Pozzetto porta a casa una prova perfetta, il resto del cast viaggia sulle stesse lunghezze d’onda. Il personaggio di Amicangelo, come controparte inizialmente cinica e disincantata del protagonista, ha in Fabrizio Gifuni un interprete solido. Il dialogo tra Nino e il suo editor si fa sempre più intenso, fino a svelare la vera natura di quest’ultimo. “Lei non è come crede” dice Nino ad Amicangelo e alla fine scopriamo che è proprio così.
Ottima anche la prova di Lino Musella nei panni del giovane Nino, a fronte di una Isabella Ragonese forse leggermente più sottotono. Arrivati alla conclusione della nostra recensione, il consiglio è quello di non lasciarsi sfuggire Lei mi parla ancora. Girato in piena pandemia, il film di Pupi Avati riecheggia anche i nostri, di vuoti. Il vuoto incolmabile che lascia il non poter salutare un’ultima volta una persona cara, la mancanza dei gesti affettuosi; la mancanza di quegli abbracci che la Rina raccontava diventare sempre più rari più si diventa anziani. E anche in questo legarsi ai ricordi più dolorosi di chi guarda, Pupi Avati si muove senza calcare la mano, senza enfasi. E ancora con garbo, con con misura e con grazia.
Lei mi parla ancora
Voto - 8
8
Lati positivi
- Renato Pozzetto è un interprete perfetto
- Un racconto commovente e profondo che non è mai retorico o patetico
Lati negativi
- Un po' sacrificata la parte dei flashback del passato dei personaggi