Il Divin Codino: recensione del film Netflix su Roberto Baggio
Su Netflix arriva la storia di Roberto Baggio, l'uomo dietro il campione
L’Italia è conosciuta nel mondo per tanti tratti caratteristici come il cibo, la cultura, il territorio e tra questi sarebbe giusto aggiungere la passione per il calcio. Il pallone è un’istituzione nel nostro Paese, un mercato immenso ed uno sport capace di avvicinare le persone tanto quanto portarle allo scontro. Se non fosse così sentito, tutto ciò non accadrebbe. Nel corso del tempo le storie dei grandi campioni del passato sono state tramandate di generazione in generazione diventando quasi leggende. Le gesta di singoli uomini che con un pallone ai piedi hanno fatto sognare milioni di persone, ascendendo all’olimpo dei campioni. L’impatto culturale e storico di tali eventi ha generato film, documentari e serie televisive; ora è arrivato il turno di Roberto Baggio con Il Divin Codino, di cui vi proponiamo la recensione.
Subito dopo la serie su Totti Speravo de morì prima, prodotta da Sky ecco arrivare su Netflix un altro film su una leggenda del calcio italiano. Il Divin Codino prova, però, a narrare una storia inedita al pubblico, la persona fuori dal campo. Paradossalmente, l’uomo Roberto Baggio, piuttosto che la leggenda – il divin codino, appunto. Diretto da Letizia Lamartire il film presenta un tono più introspettivo di quel che ci si aspetti, puntando non tanto sulla spettacolarità delle sue azioni ma all’interiorità del personaggio. Roberto Baggio è interpretato da Andrea Arcangeli, alle prese con un’ardua prova attoriale superata a pieni voti. Tra i membri del cast sono presenti anche Valentina Bellè, nei panni di Andreina, la moglie; Antonio Zavatteri come Arrigo Sacchi e Martufello nel ruolo dell’allenatore del Brescia Carlo Mazzone.
Indice
Tutti possiamo sbagliare – Il Divin Codino, la recensione
Come accennato nell’introduzione della recensione, Il Divin Codino non è il classico film su un calciatore. Tendenzialmente quando si ha a che fare con personaggi così iconici basta poco per ottenere consensi. Mostrare le vittorie, i dribbling, le sconfitte ed i trofei ripercorrendo la carriera calcistica sull’onda della nostalgia sarebbe stato facile, un successo assicurato. Ma Roberto Baggio non è il “classico” calciatore ed in quanto tale una storia del genere mal si sarebbe adattata alla sua figura. D’altro canto sarebbe stato anche difficile riassumere l’intero percorso sportivo di Baggio in 90 minuti. Il Divin Codino si concentra infatti sui momenti decisivi, e potremmo dire storici, della sua vita soffermandosi sul ruolo svolto in nazionale e sulla “rinascita” al Brescia. Il famoso rigore sbagliato è qualcosa che tutti almeno una volta abbiamo sentito nominare, in certi luoghi è addirittura diventato un modo di dire: “Anche Baggio ha sbagliato il rigore...”.
Baggio è diventata una parola a sé stante, non più un nome quanto un simbolo, un concetto. Il divino capace di sbagliare, il dio che ricorda all’uomo della sua fallibilità. Ed è proprio questo che il film cerca di evidenziare; i conflitti interiori e le difficoltà che il calciatore ha dovuto subire prima di diventare leggenda. I numerosi infortuni che hanno rallentato la sua carriera sono messi in scena come un trauma, un ostacolo insormontabile che ogni volta si ripresenta e costringe l’uomo a terra. Gli ricordano che nulla nella vita gli è dovuto, che essere il migliore non basta, si dovrà sempre combattere per qualcosa. Il Divin Codino è la storia di un uomo perennemente in lotta, una persona capace di grandi cose eppure così impotente dinanzi alla vita. Un uomo fatto dio, proprio per le sue qualità umane, perché in fondo se anche Baggio può sbagliare…
Una storia frammentata – Il Divin Codino, la recensione
La figura quasi “mitologica” del calciatore è stata restituita. Il Divin Codino è un titolo esemplare in quanto pone l’attenzione proprio su quell’aspetto del personaggio e riesce a trasmettere la sua fallibilità, nonostante le grandi doti. Purtroppo però ci sentiamo di dire che la figura di Roberto Baggio in quanto uomo non è stata sviluppata a dovere. La pellicola infatti ruota principalmente attorno al mondiale del ’94, la caduta del calciatore e la rinascita con il Brescia. Nel tratteggiare i momenti decisivi della carriera calcistica si è deciso di tralasciare tutto il resto ed inevitabilmente ciò che ne scaturisce è un personaggio frammentario. L’evoluzione del calciatore nel tempo è non pervenuta, anche visti i due salti temporali di 6 anni che sorvolano totalmente sugli avvenimenti accaduti in quel lasso di tempo. Sembra quasi che il film dia per scontato che lo spettatore conosca la storia del personaggio.
Per questo è lecito concentrarsi soltanto su determinati aspetti. Tutto appare affrontato in maniera superficiale. Il rapporto con il Buddhismo, elemento fondante nella vita e nella crescita del calciatore, è leggermente accennato per poi essere lasciato in secondo piano; la relazione con la moglie Andreina, anch’essa importante, non è sviluppata. Infine, il travagliato rapporto con gli allenatori che è stato una costante nei vari trasferimenti di Baggio è, anche qui, soltanto un accenno. L’unico elemento trattato adeguatamente è il legame con il padre Florindo, interpretato da Andrea Pennacchi. Quest’ultimo è il più grande cruccio del giocatore; mentre tutto il mondo loda le sue gesta, suo padre è l’unico a restare impassibile, indifferente. Il rapporto tra i due verrà poi sviscerato nel corso della pellicola rappresentando uno dei maggiori punti di forza del film.
Considerazioni finali
Il più grande limite de Il Divin Codino è la sua durata. La pellicola dura 90 minuti, il tempo di una partita che forse avrebbe avuto bisogno di andare ai supplementari prima di finire. In un minutaggio così breve non sono riusciti ad approfondire le caratteristiche principali del calciatore, né gli eventi che lo hanno visto protagonista. La fede buddhista, ad esempio, non è un argomento facile da trattare, che andrebbe sviluppato di pari passo con l’evoluzione caratteriale del personaggio. Mancano entrambe le cose e ciò che ci resta non è nient’altro che un riferimento. Baggio risulta essere una persona mite e pacata, che persino nei momenti di maggiore escandescenza è capace di mantenere il controllo. Questa la sua caratterizzazione, null’altro. Per quanto Andrea Arcangeli si sia impegnato e sia riuscito a fornire un’interpretazione più che degna, è la struttura del film ad essere problematica.
Letizia Lamartire ha svolto un buon lavoro in fase di regia attraverso inquadrature dinamiche, rendendo meglio nelle sequenze di vita normale, piuttosto che sul campo da calcio. Una menzione va fatta anche alla fotografia che, così come la macchina da presa, dà il meglio negli ambienti quotidiani, mentre allo stadio la luce è eccessivamente caricata e quasi infastidisce. In conclusione, Il Divin Codino è un film riuscito per metà. La scelta di distribuire la narrazione in questo modo, saltando tra un momento e l’altro della vita del giocatore lo ha privato di un approfondimento, complice anche la breve durata. La messa in scena è però notevole ed il lavoro svolto in fase di regia è apprezzabile e sicuramente conferisce al film una marcia in più. Questa volta, per Netflix, la palla ha colpito la traversa, ma allo scadere dei 90 minuti, il risultato non è una totale sconfitta.
Il Divin Codino
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- Trattamento della figura iconica di Roberto Baggio e della sua fallibilità
- Regia e fotografia più che apprezzabili
Lati negativi
- Mancato sviluppo dei rapporti tra i personaggi
- Scarsa caratterizzazione di Roberto Baggio
- Storia sommaria e poco esaustiva