Intervista a Martina Sammarco: nel cast della serie Monterossi con Fabrizio Bentivoglio

Immaginate una bambina che guarda Hook di Steven Spielberg e pensa: ‘Voglio farle anche io queste cose’. E da quel giorno, quella bambina sceglie di non avere piani B ma di lottare, con tutte le forze che ha dentro di sé, per diventare un’attrice. Lo diventa davvero. Martina Sammarco è una giovane artista che sta costruendo, pian piano, una carriera solida e stupefacente.

Nel 2019, prende parte al film I due papi di Fernando Meirelles, dove recita accanto ad artisti come Jonathan Pryce e Anthony Hopkins. Nel 2021, torna al Cinema con la dark comedy di Roan Johnson dal titolo State a casa. Adesso, è su Prime Video con la serie Monterossi, dove recita accanto a Fabrizio Bentivoglio. Il futuro è tutto da scrivere e questa attrice consapevole ed entusiasta, con la decisione e la passione nel cuore, è pronta ad evolversi continuamente, a sorprendere i nostri sguardi.

Film Post incontra Martina Sammarco

Benvenuta, Martina. Sei nel cast della serie Monterossi. In che modo mi descriveresti il tuo personaggio?

Potrei dire che Nadia è il personaggio più moderno della serie, è una ragazza che ha, più o meno, trent’anni ed è un genio informatico (questo suo aspetto mi piace molto perché è qualcosa di molto lontano da me). Ama tutto quello che riguarda la tecnologia, è super preparata e conosce varie lingue. Però, come molti trentenni di oggi, si trova a vivere una vita di precariato. Credo che sia una giovane donna molto consapevole delle proprie doti e delle proprie possibilità ma allo stesso tempo, sa che in questo momento non può nemmeno permettersi di avere una casa da sola. Questo personaggio rappresenta la modernità e l’attualità della nostra generazione di oggi.

La serie è tratta dai romanzi Questa non è una canzone d’amore e Di rabbia e di vento di Alessandro Robecchi, editi da Sellerio. Come ti sei avvicinata a questi libri per poter costruire Nadia?

Mi sono avvicinata a questi libri in modo estremamente naturale. Ho letto i romanzi, cercando di capire quella che era la Nadia, pensata da Alessandro Robecchi e allo stesso tempo, mi sono divertita a creare la mia versione di questo personaggio con il regista. Per me, è stato emozionante. Il personaggio di Nadia mi ha subito conquistato, dalla lettura dei romanzi fino alla sceneggiatura. Era divertente, ironica. Aveva quella punta di cinismo necessaria. Nadia è una giovane donna decisa e questo lato del suo carattere mi diverte.

La cosa più bella è stata vedere Alessandro Robecchi molto spesso sul set. Lui era molto felice di essere sul set con noi, si divertiva ed era curioso di vedere le nostre scene; era una presenza molto importante per noi attori. Ci ha spronato. Quando arrivi sul set, inizialmente, hai il timore di poter deludere le aspettative di chi queste storie le ha scritte ma una volta che passi quel livello e comprendi che lo scrittore è felice, sei felice anche tu.

Intervista a Martina Sammarco: nel cast della serie Monterossi con Fabrizio Bentivoglio

Paolo Palmieri


Come è stato lavorare con Fabrizio Bentivoglio? Che scambio umano c’è stato tra di voi?

Poter recitare con Fabrizio Bentivoglio è stato un regalo. Più di così, non potevo chiedere. Provo una grande soddisfazione. Con Fabrizio, si è subito creata un’idea comune sul rapporto che c’è tra il mio personaggio ed il suo. Sin da subito, Fabrizio mi ha fatto notare che il rapporto tra Nadia e Carlo è un rapporto di una famiglia che si è scelta, come se loro due rappresentassero un padre ed una figlia, in qualche modo. Quindi, questo pensiero ci ha sicuramente aiutati molto sul set.

Ho cercato di prendere il più possibile da un attore come lui. Fabrizio mi dava, molto spesso, dei consigli e degli aiuti in modo che la scena venisse al meglio. Vederlo recitare è stata una grandissima scuola per me. Quando sono arrivata alle letture della sceneggiature, all’inizio, mi sono emozionata. Ho pensato: ”Sta succedendo, davvero”. Ho vissuto qualcosa di molto naturale anche grazie al regista, una persona capace di possedere una grande empatia che mette tutti a proprio agio.

Parlando di Roan Johnson, come è stato tornare a lavorare con lui?

Il primo grande regalo è stato poter lavorare con Roan. Per me, è diventato una figura di riferimento, una presenza molto importante. Abbiamo condiviso moltissimo insieme quando ho lavorato sul set di ‘State a casa’ e ritrovarlo qui, per il mio primo ruolo in una serie grande, è stato come tornare a casa, in qualche modo. Mi sentivo tranquilla perché sapevo di essere in buone mani. Non avrei potuto chiedere di meglio. Come ti raccontavo prima, Roan è dotato di una grande empatia. La bellezza dei suoi set è che tutte le persone, che collaborano con lui, creano un ambiente molto simile ad una famiglia. Per me, è molto bello poter recitare nei suoi progetti. Lavora con te in maniera consapevole anche perché, molto spesso, è lo sceneggiatore dei progetti che dirige. E allo stesso tempo, lascia sempre ai suoi attori un margine di spazio di gioco che sorprende.

Intervista a Martina Sammarco: nel cast della serie Monterossi con Fabrizio Bentivoglio

Paolo Palmieri

Nel 2021, sei nel cast della dark comedy State a casa, diretta proprio da Johnson. Cosa ha significato questo progetto per te?

Questo film ha significato tantissimo, per me. Innanzitutto, per molti dei miei colleghi, me compresa, era la prima occasione di lavorare ad un film da protagonisti e di poter avere qualcosa di corposo tra le mani. E poi, perchè, questo film ha delle note tecniche complesse. Per metà, è stato girato in piano sequenza e questo metodo ha richiesto due settimane di prove, qualcosa che solitamente non capita spesso. Per noi, che eravamo tutti attori che arrivavano dal teatro, tutto questo è stato stupendo.

Ci ha dato l’occasione di entrare nei nostri personaggi e di capire bene le relazioni tra ognuno di loro. Abbiamo fatto molte prove con l’operatore di macchina, era tutto orchestrato bene. Umanamente parlando, tutti i miei colleghi sono diventati dei fratelli per me. Abbiamo girato State a casa durante il secondo lockdown e la produzione ci ha fatto vivere da coinquilini. Quindi, eravamo coinquilini sul set e nella vita, in quelle settimane. Molto spesso, Roan veniva a casa nostra e provavamo tutti insieme le scene. Questa esperienza ci ha fatto capire quanto eravamo fortunati in quel momento, mentre il mondo era bloccato. Molti nostri amici non stavano lavorando mentre noi avevamo la fortuna di girare, di fare quello che amavamo fare nella vita. Quindi, è stata un’esperienza apocalittica.

Quanto credi che stia cambiando questo settore per i giovani artisti?

Penso che le cose stiano rapidamente cambiando. Sento che ci sia stata quasi un’accelerata, dovuta anche al rapporto con l’estero e con le varie piattaforme che hanno una realtà molto più aperta. Quindi, contaminano più velocemente la nostra realtà. Si ha voglia di rappresentare la realtà come la vediamo per strada, nelle sue multiforme. Anche il Cinema e la TV stanno cambiando le cose. Mi piacerebbe arrivare ad un passaggio successivo, quello di non doversi più preoccupare di fare una serie inclusiva, in qualche modo, oppure un film che sia inclusivo ma che tutto questo venga considerato normalissimo e basta. Un attore viene scelto per le doti che ha, per la capacità di entrare nella storia.


Bridgerton, per esempio, è una serie che ha comunicato in modo estremamente naturale quanto sia importante l’inclusione nella scelta dei personaggi.

Assolutamente sì. Bridgerton ha fatto tutto questo ed ha avuto la libertà di proporre dei legami con la realtà, pur essendo una serie in costume che racconta un determinato periodo storico inglese. Per me, tutto questo, venendo dal teatro, è la normalità. A teatro, ho interpretato la moglie di un partigiano, per esempio. E nessuno si è posto il problema. Penso che dobbiamo cambiare l’immaginario delle serie, anche quelle contemporanee.
C’è sempre questa abitudine di vedere un’attrice di colore che interpreta la migliore amica e mai la protagonista, per esempio. Il discorso è molto ampio ed è legato a tutte le minoranze, in varie sfaccettature. Credo che, però, siamo a buon punto. Sono fiduciosa. Nella realtà di tutti i giorni, lì fuori, ci sono tante cose con cui siamo in contatto. Nel momento in cui, non vengono rappresentate, è come se non esistessero veramente. Vedere un insegnante di colore, un avvocato di colore è diverso, rispetto al fatto di non vederlo mai. Tutto questo cambia la nostra abitudine ad osservare i film e le serie. Cambia la consapevolezza delle persone, anche la consapevolezza verso se stesse.

 

Quali sono gli artisti che ti ispirano e rafforzato il tuo percorso artistico?

Ho avuto la fortuna di prendere parte, con un ruolo piccolissimo, al film The Two Popes di Fernando Meirelles con Jonathan Pryce e Anthony Hopkins. Li ho conosciuti entrambi. Ma ho avuto l’occasione di conoscere meglio Hopkins e, in qualche modo, quell’incontro è stato un faro per me. Da quanto ho conosciuto questo attore ho avuto la certezza, vedendolo, che quello era l’esempio che volevo portare avanti nel mio lavoro. Lui, nonostante sia arrivato nel punto in cui è arrivato, è estremamente gentile e premuroso. Si preoccupa che tutti intorno a sé siano veramente a loro agio. Ha avuto una grande delicatezza nei miei confronti.
Sai, tante volte la società ti vuole dare questa idea di persone che devono essere aggressive, prestanti, che devono vincere sopra gli altri. E poi, arriva un artista come Anthony Hopkins che ti fa capire, con eleganza, che non è necessario tutto ciò. Porterò questo esempio con me per sempre.

 

Come artista e come essere umano, in che modo descriveresti Martina Sammarco se tu potessi utilizzare un’immagine?

Penso che sia la domanda più difficile in assoluto. Penso alla Martina attrice, che è in continuo divenire, come la Martina persona. Sono in continuo mutamento. Se devo pensare ad un nucleo, penso ad un film che ho visto da bambina e che, inconsciamente, mi ha portata a voler fare l’attrice: Hook di Steven Spielberg. Da bambina, la visione di quel film ti apre tutta l’immaginazione e pensi: ‘Io voglio fare questa cosa nella vita’. Se devo pensare al nucleo, a quella cosa che non cambia, nonostante i mutamenti di tutto il resto, penso a quella creatività, a quella fiamma, data da una qualsiasi immagine di Hook.

Sai, non ho mai avuto piani B nella mia vita. In tutte le occasioni della vita in cui mi sono state presentate delle possibili uscite di sicurezza, le ho eliminate tutte con una follia incredibile. Ho sempre pensato: o questo mestiere oppure niente. Credo che in questa follia, io sia stata onesta con me stessa. Mi sono resa conto, in fretta, che il piano B poteva essere tentatore. Alla minima difficoltà, poteva essere un modo per rifugiarsi in qualcosa di facile e io non volevo tutto questo.

 

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