Roar: recensione della serie antologica di Apple Tv+
Il genere weird si incontra con il vissuto di otto donne
Intraprendenza è l’aggettivo che meglio descrive le scelte di Apple Tv+. La piattaforma statunitense, mese dopo mese, amplia il proprio catalogo con serie tv sempre interessanti e ben eseguite e Roar è l’ennesimo titolo da non lasciarsi sfuggire che si aggiunge alla già lunga lista.
Già dai nomi e dall’intenzione dietro la serie il successo era preannunciato. Roar, infatti, è creata dalle showrunner dell’acclamata GLOW, tratta dalla raccolta di racconti dell’autrice di P.s: I love you, Cecilia Ahern, e prodotta da Nicole Kidman, che è anche la protagonista della seconda puntata.
A differenza di quel che può sembrare in un primo momento, Roar non somiglia per nulla al capostipite contemporaneo delle serie antologiche Black Mirror.
La fantascienza non la fa da padrona, non c’è nessuna visione pessimistica della società quest’ultima, al contrario, viene dipinta in modo realistico quanto brutale attraverso il punto di vista di otto donne.
Roar fa del genere weird il suo cavallo di battaglia, genere che si miscela con l’horror, il thriller, il drama e il western fino a sfociare nel realismo magico. Ogni episodio ha una sua caratteristica bizzarra che viene sfruttata per mettere in risalto come sia per una donna vivere nella società odierna.
Indice
- The Woman Who
- Un mosaico di voci femminili
- Cos’hanno in comune un’anatra e un detective egocentrico
- Conclusione
The Woman Who – Roar, la recensione
Otto storie. Otto donne. Otto punti di vista differenti. Una bocca urlante all’inizio di ogni episodio. È questo il punto di partenza di Roar che fa del suo essere una serie antologica il suo punto di forza, riprendendo lo stile del libro di racconti dal quale è tratta.
Non tutti gli episodi hanno una fine netta, una conclusione narrativa su cui la puntata si conclude perché non è questo l’obiettivo principale. Roar nasce per dar voce a situazioni che son fin troppo spesso reali, ma lo fa adottando un genere differente volta per volta. Sono questi i due fili conduttori: l’esperienze delle donne e il realismo magico di cui la serie è colma.
Il titolo di ogni puntata, che inizia sempre con The Woman Who, detta il tono dell’intera narrazione. Non è quindi strano vedere una donna che mangia una fotografia (Nicole Kidman), una ragazza esposta come se fosse un pregiato trofeo (Betty Gilpin), né che una scrittrice di successo diventa improvvisamente invisibile (Issa Rae). Ognuna di queste protagoniste racconta cosa voglia dire essere una donna nella società di oggi, una società che ancora ha molto da imparare e che cade spesso negli stessi errori.
Un mosaico di voci femminili – Roar, la recensione
Il grande pregio di Roar è quello di condurre lo spettatore ignaro di determinate dinamiche nelle vite di donne i cui problemi sono facilmente individuabili. Al tempo stesso dà una voce alle spettatrici che si ritroveranno più volte ad annuire allo schermo, consce di meccanismi che difficilmente non riconoscono, ma fornendo anche gli elementi adeguati per empatizzare con i personaggi. Ma le molteplici voci femminili che hanno lavorato al progetto sono visibili in ogni scelta per donare (specialmente) alle spettatrici un’esperienza cinematografica che raramente è a loro dedicata.
Ogni episodio fronteggia uno specifico argomento. Il complesso rapporto tra madre e figlia, la paura di invecchiare e di ereditare l’Alzheimer che ha colpito la propria madre nell’episodio che ha come protagonista Nicole Kidman. Il difficile bilanciamento tra vita lavorativa e maternità con i conseguenti sensi di colpa se non si riesce a dedicare ad entrambi il medesimo tempo nella puntata The Woman Who Found Bite Marks On Her Skin. Fino ad arrivare a toni più comici quando una donna (Meera Syal) restituisce suo marito in un centro commerciale, dove si trova un intero settore dedicato a mariti nuovi o già restituiti.
Cos’hanno in comune un’anatra e un detective egocentrico – Roar, la recensione
Come dicevamo, Roar porta sullo schermo le esperienze delle donne in una società patriarcale che ha ancora molto lavoro da fare. I due episodi che meglio affrontano l’argomento lo fanno utilizzando dei linguaggi cinematografici differenti: uno è una grottesca parodia degli innumerevoli crime drama che affollano cinema e televisione, l’altro come una storia romantica inusuale.
Nel primo caso, una ragazza appena assassinata in modo brutale resta bloccata nel mondo dei vivi. Non ci mette molto a comprendere che deve risolvere il suo stesso caso da sola, perché l’uomo a cui hanno affidato il suo caso è il tipico detective tormentato dal suo passato a cui poco importa della vittima, che usa solo come mezzo per ampliare i suoi discorsi egoistici.
In La donna nutrita da un’anatra, Elisa conosce Larry vicino al laghetto dove va abitualmente a studiare. Tra lei e Larry nasce una sintonia immediata che sboccia presto in una relazione sentimentale. Lui è gentile, premuroso, l’ascolta ed è simpatico. Non si può dire che sia l’uomo ideale perché Larry è un’anatra. Il fatto che la storia gira attorno ad una relazione tra un essere umano e un’anatra passa in fretta in secondo piano perché Roar ha già educato lo spettatore ad accettare gli elementi bizzarri della serie. Quel che è geniale della puntata è come costruisce una relazione all’apparenza normale in un rapporto tossico dove Larry dimostra di essere l’animale aggressivo che è.
Conclusione – Roar, la recensione
Le allegorie sono molte, le caratteristiche bizzarre ancora di più ed è per questo che Roar funziona così bene. Oltre ad una regia sempre curata e ad una scelta di casting ben congeniata. Anche se manca un vero e proprio filo conduttore che unisce tutti gli episodi. Come accennato, i generi sono tra i più disparati – dall’horror, al thriller al western -, le protagoniste vivono realtà completamente differenti l’una dall’altra e non ci sono dettagli che fanno intendere che vivano in uno stesso universo narrativo. Ciò non va però ad influire sul risultato finale. Quel che accomuna queste otto donne è da dove partono e a come sono cambiate quando lo schermo diventa nero.
Ognuna di loro, inizialmente, è persa, senza una direzione da prendere o attanagliata dalla paura di fare il primo passo. Roar mette in scena la consapevolezza di se stesse, del mondo che le (e ci) circonda e quale insegnamento possono ricavare da quello che stanno vivendo. Ma soprattutto mette in scena la sorellanza, quella più pura e sincera che ci possa essere. Il momento della risoluzione finale è sempre accompagnato da un’altra donna: dove non c’è il detective arriva una poliziotta alle prime armi, è la sorella di Elisa a farle aprire gli occhi, sono un gruppo di mamme a capire il perché di quei violenti morsi sul corpo. Roar è un manifesto di speranza.
Roar
Voto - 8
8
Lati positivi
- L'utilizzo degli elementi weird e grotteschi
- Uno specchio della società odierna dal punto di viste di otto protagoniste molto diverse tra di loro