Made In Italy di Luciano Ligabue – Recensione
Made in Italy è il terzo film del cantautore Ligabue e prodotto dalla Fantango di Domenico Procacci. Si ispira dal concept album omonimo Made in Italy dello stesso artista, in cui protagonista è Riko, suo alter ego. Made in Italy è la storia di Riko (Stefano Accorsi). Lui lavora da trent’anni in un caseificio in una cittadina dell’Emilia in cui vengono continuamente licenziati i suoi colleghi. Il lavoro non lo rende felice ma è l’unico modo per andare avanti, inoltre rischia di perderlo per sempre e ritrovarsi con una casa che non può permettersi. Anche in famiglia la crisi imperversa per poi raggiungere anche i suoi amici, che rappresentano l’unico modo con cui distrarsi da questa realtà amara e di disagio.
Made In Italy di Luciano Ligabue, la nostra recensione!
Il film sembra voler restituire l’immagine dell’Italia disagiata, dare voce a tutti quelli che hanno provato la paura di trovarsi senza un lavoro per colpa di una crisi che non finisce mai. Tutto ciò però rimane un intento che non riesce a realizzarsi. Troppi sono i problemi che questa pellicola porta con se.
Il racconto di un problema dovrebbe suscitare una riflessione o a una possibile risoluzione. In Made In Italy la narrazione si articola in episodi che non riescono a raggiungere un fine, rimanendo in una dimensione superficiale in cui l’indagine non riesce a concludersi. Questa fenomenologia potrebbe rappresentare il reale stato psicologico e sociale in cui i personaggi sono immersi.
Dialoghi
Spesso però la sensazione che viene evocata è distacco e assenza di partecipazione causato da dialoghi casuali, artificiali e diretti male. Esempio è la scena della discoteca in cui Riko e i suoi amici hanno un alterco con alcuni tipi del locale in cui gli attori sembrano essere vincolati dalla povertà delle battute. Frasi secche, montaggio elementare che si ripeteranno molto spesso in altre situazioni del film.
Unici dialoghi che danno tregua ai personaggi sono i monologhi che testimoniano la bravura dei due attori di punta: Kasia Smutniak e Stefano Accorsi. Momenti in cui i primi piani degli attori ci allontanano dal contesto e possiamo finalmente fruire le loro emozioni e il loro pensiero. Si recupera quel poco di spessore che per il resto del film, i personaggi, non riusciranno più ad acquisire.
Causa – Effetto
Intorno agli eventi, ai luoghi e ai stessi personaggi c’è un’aura di assenza che lascia spiazzati. Il vuoto psicologico è la caratteristica che rende piatti i protagonisti rendendo sempre più evidente il livello di superficialità su cui gli eventi si susseguono. Il principio di causa – effetto, basilare per un racconto, in Made in Italy c’è ma non sembrano essere chiare le motivazione per cui alcune scelte vengono attuate. Spiegazione potrebbe stare proprio nella scarsa indagine dei personaggi e nella scarsa abilità di muoversi nella narrazione che spesso non riesce a chiarire il motivo per cui alcuni eventi avvengano, del perché i protagonisti arrivino ad una certa conclusione.
Vuoto
Vuote sono anche alcune ambientazioni come la stanza di ospedale in cui Riko riceve la visita della moglie dopo essere stato ferito durante una manifestazione. Il vuoto è palpabile dall’assenza di oggetti, di persone e dall’eco!
Vuoto come il futuro incerto dell’italiano medio, di un esistenza? O vuoto frutto di scarse capacità nel renedere giustizia a determinati temi?
Luciano Ligabue ha dimostrato comunque di sapersi muovere discretamente con la macchina da presa dimostrando abilità nei movimenti. Interessante sono stati anche alcune sequenze, forcome la finta soggettiva di Riko che raggiunge l’ufficio del suo capo. Ma non basta, se a mancare è la capacità di raccontare.
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Rating - 4
4
The Good
- attori
The Bad
- Dialoghi
- regia
- sceneggiatura
- narrazione