Black Phone: recensione dell’horror-thriller con Ethan Hawke

La recensione del nuovo thriller-horror che vede il ritorno della coppia Scott Derrickson e Ethan Hawke

Con la nostra recensione di Black Phone vogliamo parlarvi di quello che potrebbe tranquillamente essere il thriller-horror dell’anno. Dopo la breve parentesi con Doctor Strange il regista Scott Derrickson torna a dedicarsi al genere che più lo contraddistingue. In un percorso che lo ha portato a raccontarci la paura in modo sempre più autoriale e personale va ricordato, oltre a L’esorcismo di Emily Rose, il suo Sinister, che ha molto in comune con il film in questione. Oltre alla regia ed allo stile narrativo c’è qualcos’altro che lega insieme Sinister con il nuovo Black Phone. Questo qualcos’altro si chiama Ethan Hawke. Nel primo interpretava un cinico scrittore senza più vena creativa, alla stregua di un Jack Torrence in Shining, per intenderci. In Black Phone invece la star del grande schermo scavalca il confine passando definitivamente al lato oscuro nei panni del villain di turno.

Leggendo la sinossi penserete di trovarvi di fronte all’ennesimo thriller-horror dove un folle omicida rapisce ed uccide bambini. E nella sostanza Black Phone è questo, un copione già visto. Eppure con questo film Scott Derrickson ci dimostra che puoi raccontare una storia banale ma renderla ugualmente interessante. Il risultato? Inaspettatamente originale: un film che fa della paura una vera e propria voce narrante che ci accompagna con il fiato sospeso fino ai titoli di coda. Eppure, a livello soggettivo e personale, devo confessare di essere stato quanto meno scettico dopo aver visto il trailer di lancio; mi sembrava uno di quei film che scopiazza dai vari cult di genere. Una volta visto invece mi sono dovuto ricredere. Se siete curiosi di saperne qualcosa di più continuate con la lettura della recensione di Black Phone.

Indice:

La trama – Black Phone recensione

Un misterioso furgone in arrivo, qualche palloncino nero per aria ed ecco scomparire nel nulla l’ennesimo bambino. Lo chiamano il Rapace ma nessuno sa chi sia effettivamente. Colpisce di giorno sotto la luce del sole, seleziona la sua preda e riesce sempre a svanire nel nulla. Come tutti i suoi coetanei Finney Shaw, un ragazzino di 13 anni, ha paura di scomparire nel nulla. Un giorno come tanti mentre fa rientro a casa viene rapito dal Rapace. Finney si ritrova a vivere quelli che potrebbero essere gli ultimi istanti della sua vita chiuso in uno scantinato, in attesa di essere brutalmente ucciso dal suo feroce carceriere.

recensione di Black Phone

Black Phone. Blumhouse Productions, Crooked Highway, Universal Pictures

Inaspettatamente però un vecchio telefono nero di bachelite, apparentemente non più in condizioni di funzionare, inizia a squillare. Le voci dall’altro lato della cornetta provengono direttamente dall’oltretomba. L’unica possibilità che Finney ha per uscire vivo dal posto in cui si trova prigioniero è seguire le indicazioni che gli vengono date al telefono. Ma il tempo a sua disposizione è sempre minore. Per fortuna sulle sue tracce, oltre alla polizia, c’è anche sua sorella che grazie a sconvolgenti sogni visionari può fornire indizi preziosi per ritrovare il fratello.

Tra citazioni e stile – Black Phone recensione

Pur ispirandosi a vecchie glorie dell’horror il nuovo film di Scott Derrickson mantiene una sua precisa identità. Black Phone si muove continuamente tra il “citazionismo” e l’autoriale con il rischio costante di essere erroneamente scambiato per la brutta copia di qualcos’altro. C’è molto di Stephen King, soprattutto nei luoghi e personaggi, ed in particolar modo di IT. D’altronde il film è liberamente ispirato ad un romanzo di Joe Hill, figlio sotto pseudonimo di King. Ma volendo spaziare ad altro, diverse sono le similitudini anche con Split, True Detective, Saw ed Il sesto senso.

Black Phone è tutti e nessuno di questi. Che siano spunti narrativi o semplici citazioni la storia parte da situazioni ed antefatti già visti in altre pellicole per prendere poi altre direzioni. Tra tutti i vari titoli le affinità maggiori rimangono effettivamente con IT. Vuoi per il rimando al clown con i palloncini, ai bambini protagonisti uniti contro un villain, alla metafora della paura: effettivamente Derrickson attinge a piene mani dalla storia di King, ma il suo Black Phone funziona e ci racconta la paura da altre prospettive.

La paura secondo Scott Derrickson

L’intero impianto narrativo di Black Phone è un semplice pretesto per raccontare una storia che alla fine ha un solo scopo: spaventare gli spettatori. E dobbiamo dire che lo fa maledettamente bene. Scott Derrickson deve aver imparato a dover quella sottile differenza tra suspense e sorpresa che predicava tanto Alfred Hitchcock. E proprio di fronte alle sequenze iniziali di Black Phone avevo quasi l’impressione di essere di fronte ad una versione moderna del cinema del Maestro.

black phone recensione

Black Phone. Blumhouse Productions, Crooked Highway, Universal Pictures

La paura si regge interamente su una suspense che cresce frame dopo frame. Ecco perché Black Phone si prende tutto il suo tempo prima di gettare il protagonista nelle mani del serial-killer. Come anche nel precedente Sinister Derrickson costruisce lentamente la storia. Inizialmente non mostra mai con chiarezza il Rapace, una sbiadita figura che sembra muoversi tra il sogno e la leggenda. Esiste o non esiste? Chi è, come è fatto, come parla? Cosa accade di brutto ai bambini rapiti? Possiamo solo affidarci alla nostra fervida immaginazione che ci tormenta tra curiosità e una suspense crescente.

A qualcuno piace la suspense?

E proprio quando iniziamo ad immedesimarci nel piccolo Finney ci troviamo improvvisamente di fronte il serial-killer, in tutta la sua matericità scenica, terrificante e spaventoso. Il Rapace diventa improvvisamente vero, un’essenza in carne ed ossa. Un incubo che si trasforma in realtà. Eccolo lì con tutta la sua vena sadica e pazzia, tangibile e concreto su grande schermo. Ed è proprio qui che mi è tornato di nuovo in mente il cinema di Alfred Hitchcock. In particolar modo in quella sequenza di Rear Window dove finalmente James Stewart fronteggia faccia a faccia quel presunto assassino che per tutto il film vedevamo in lontananza attraverso le lenti di un teleobiettivo. Arrivati a questo primo turning point Derrickson ci ha praticamente in pugno. Quello che accadeva agli altri bambini vittime di improvvise sparizioni potevamo solo immaginarlo.

Ma adesso “toccheremo con mano” la realtà dei fatti attraverso il focus narrativo offertoci dal nostro piccolo protagonista. E questo è il primo “vero spavento” del film. Il secondo arriva quando realizziamo che manca poco tempo prima che Finney faccia la stessa fine dei suoi predecessori. Il minutaggio rimanente è ciò che ci separa inesorabilmente da quello che potrebbe essere l’ennesimo massacro. La paura sta proprio nel fatto che non c’è alcuna sorpresa, sappiamo esattamente che qualcosa di terribile sta per accadere. Ancora una volta è Hitchcock a fare scuola perché “Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto”. L’essenza di Black Phone sta tutta qua: una paura claustrofobica innescata dalla suspense.

Non tutto è oro…

Il resto è tecnica. Una fotografia dai toni dark, cromie scariche e desaturate, soundtrack che ci fanno respirare morte in ogni singola nota. Black Phone racconta così l’incubo nero ad occhi aperti del piccolo Finney. Ma Derrickson è così ossessivamente incentrato sull’allestire la tensione di scena che poi finisce per perdere di vista altri elementi tutt’altro che trascurabili. Manca ad esempio un approfondimento del background di diversi personaggi a partire proprio dal villain interpretato da Ethan Hawke, così come anche un coerente sviluppo e conclusione di trame secondarie potenzialmente interessanti.

Ci riferiamo in particolar modo ai poteri speciali della sorella di Finney ed al suo ruolo “quanto meno discutibile” in tutta la vicenda. Come anche l’assenza di un vero e proprio colpo di scena; quel twist finale che ti ribalta la chiave di lettura di un film e che ha fatto il successo di tanti cult appartenenti al genere (Saw, Il sesto senso, The Others e così via). Manca quel guizzo in più alla Jordan Peele insomma, che tanto piace al pubblico. Sono questi i limiti di un thriller-horror che poteva veramente rasentare l’eccellenza ma che deve “accontentarsi” di essere “solo un buon film”.

Conclusioni

Black Phone in definitiva è uno dei thriller-horror più riusciti dell’anno. La coppia Hawke-Derrickson torna su grande schermo con una storia che riesce davvero a mettere paura. Derrickson tenta di ridefinire la cifra stilistica dell’horror ispirandosi ai classici, citando i cult e mischiando elementi tipici del crime-thriller con un paranormale che il film non ha mai la pretesa di voler anche solo minimamente giustificare. Proprio come accadeva in parte nel suo Sinister del 2012.

Black Phone è una sorta di viaggio metaforico, un percorso di crescita che porterà Finney a fronteggiare le sue paure; può contare solo ed esclusivamente sulle sue forze. Un viaggio nell’oscurità sotto terra, in una realtà a contatto con il regno dei morti dove vagano animi tormentati dalla sete di vendetta. Black Phone ci imprigiona insieme a Finney in una claustrofobica esperienza di paura e morte. Un film che consigliamo di vedere a tutti gli amanti del genere e che con qualche accortezza in più poteva veramente incidere nella storia del genere.

Voto - 7.5

7.5

Lati positivi

  • I meccanismi di creazione della suspense portano alla giusta dose di paura
  • La commistione tra il crime-thriller e la dimensione del paranormale

Lati negativi

  • Trame secondarie e protagonisti poco approfonditi

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