L’immensità: recensione del film di Emanuele Crialese – Venezia 79
Presentato in Concorso alla 79ª Mostra Internazionale del cinema di Venezia il film di Emanuele Crialese arriverà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 15 settembre
L’immensità, di cui vi proponiamo la nostra recensione, è il film con cui Emanuele Crialese torna al Lido dopo 11 anni da Terraferma presentato, anch’esso in Concorso, alla 68ª Mostra del Cinema di Venezia e insignito del Premio speciale della Giuria. Torna al Lido con una storia fortemente autobiografica ispirata alla sua infanzia, raccontata attraverso il personaggio di Adriana in un film in cui al centro delle riflessioni ci sono diverse altre figure, altrettanto importanti. “Quella bambina sono io” ha raccontato Crialese riferendosi alla protagonista del suo L’immensità, portata in scena dall’esordiente Luana Giuliani. Accanto alla giovanissima attrice Penélope Cruz, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni e Maria Chiara Goretti. È un film intimo quello di Crialese, di cui si avvertono l’urgenza e la spinta ma che, però, non riesce ad arrivare del tutto e risulta, per certi versi, un po’ troppo frenato. Prima di passare alla recensione de L’immensità, riprendiamo qui di seguito la sinossi ufficiale. Dopo il debutto veneziano, L’immensità arriverà in sala il prossimo 15 settembre.
Roma, anni Settanta: un mondo sospeso tra quartieri in costruzione e varietà televisivi ancora in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli. su cui Clara riversa tutto il proprio desiderio di libertà. Adriana, la più grande, ha appena compiuto dodici anni ed è la testimone attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta il suo nome, la sua identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare a un punto di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di loro tutto cambia.
Indice:
Un ritratto di famiglia viziato dall’artificio – L’immensità recensione
Al centro de L’immensità, oltre al racconto di formazione che coinvolge il personaggio di Adriana (che si identifica come Andrea e come Andrea vorrebbe essere identificata), vi è la famiglia. Una famiglia borghese benestante alla quale se dal punto di vista materiale non manca nulla, manca tutto (o quasi) sul fronte dell’equilibrio e della serenità. Clara e Felice sono in perenne conflitto, ormai non più innamorati e ancora uniti solo per facciata. Felice tradisce Clara, è piuttosto autoritario con i figli e tiene più alla forma che alla sostanza. La Clara di Penélope Cruz è il ritratto di una madre tanto affettuosa e presente quanto triste e insoddisfatta. Vive per i figli e con Adriana ha un rapporto speciale, indagato da Crialese con particolare attenzione. Ha uno slancio vitale spiccato che ha dovuto sopire per uniformarsi al grigiore del contesto familiare allargato e la necessità costante di dover indossare una maschera l’ha resa frustrata e instabile.
Se Cruz dà il massimo, lavorando soprattutto sulla sua particolare espressività, per restituire al meglio i tormenti di Clara, il suo personaggio soffre (come tutti gli altri, del resto) di un’eccessiva “costruzione”. Ogni confronto, ogni scontro, ogni lite e persino i rari momenti sereni nelle dinamiche familiari risentono di un’eccessiva artificiosità. Tutto pare costantemente impostato, sceneggiato, recitato e l’impatto dei personaggi – la carica che dovrebbe portare a una risposta emotiva e partecipata – e delle loro azioni risulta smorzato. Lo stesso discorso si può applicare anche alla rappresentazione del periodo storico in cui si svolgono le vicende: il pieno degli anni Settanta. È tutto sempre e troppo pulito, troppo perfetto. Nulla è mai fuori posto, è tutto set e come tale si percepisce e riceve.
Un film eccessivamente frenato – L’immensità recensione
Abbiamo detto come L’immensità sia un intimo racconto autobiografico. Nel film si percepisce l’urgenza del raccontare il difficile inizio di un percorso di transizione all’interno di una famiglia dove la repressione è all’ordine del giorno e in una società non ancora del tutto pronta ad accettare. Un tema non certo facile con alla base un altrettanto difficile percorso di rielaborazione. Il problema principale de L’immensità, quello che inficia irrimediabilmente la riuscita completa, è il suo essere frenato e a tratti incerto nell’incedere. Crialese finisce per affondare nei suoi stessi ricordi, forse per il troppo coinvolgimento, arrivando a perdere la direzione e anzi appesantendo il racconto con un eccessivo manierismo formale e inserti non necessari. Stiamo parlando delle sequenze musicali che hanno per protagoniste Adriana e Clara che vestono, di volta in volta, i panni di Raffaella Carrà, Adriano Celentano e Patty Pravo. Numeri musicali frutto dell’immaginazione di Adriana, che si rifugia in questo mondo per sfuggire alla realtà, ma che su chi guarda hanno uno spiacevole effetto straniante.
Non riusciamo quasi mai a partecipare davvero a quello che ci scorre davanti sullo schermo e che rimane in superficie, portandosi dietro un senso di incompiutezza. Incompiutezza che si traduce in uno sviluppo solo parziale del personaggio di Adriana (lo spazio dedicato a Clara è nettamente superiore) e in un una chiusura del suo percorso troppo frettolosa e insoddisfacente. Resta poco alla fine del film, se non l’impressione di un rincorrersi di troppe suggestioni e troppe storie rimaste inesplorate. Presentato in Concorso alla 79ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il nuovo film di Emanuele Crialese (qui il trailer) arriverà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 15 settembre.
L'immensità
Voto - 6
6
Lati positivi
- Penélope Cruz compensa con talento ed espressività naturali le mancanze del suo personaggio
Lati negativi
- Un film troppo frenato e reticente che, nonostante si percepisca l'urgenza del racconto, finisce per annegare su se stesso