Black Panther: Wakanda Forever – recensione del film Marvel
Il secondo capitolo dedicato alla Pantera Nera è un grido all'inclusività
Dopo il primo film del 2018, Ryan Coogler è tornato alla regia e alla sceneggiatura di Black Panther: Wakanda Forever. Questo atteso secondo capitolo dedicato alla Pantera Nera ha subito grosse variazioni a seguito della morte prematura dell’attore Chadwick Boseman, scomparso nel 2020. Cambiamenti in corso d’opera che hanno puntato il riflettore su Shuri, la Regina Ramonda e le guerriere wakandiane impegnate a difendere il Wakanda da nuove minacce. Il film uscirà nelle sale italiane il 9 novembre.
Indice
- Un omaggio a Chadwick Boseman
- La trama
- La Marvel e la rappresentazione
- Una storia al femminile di potere e rinascita
- Considerazioni tecniche
Un omaggio a Chadwick Boseman – Black Panther: Wakanda Forever, la recensione
Già Black Panther si era distaccato dagli altri film della Marvel grazie alla volontà, totalmente rispettata, di creare un film su una nazione diversa da quella statunitense, con la propria cultura, credenze e tradizioni.
Un compito che il primo film di Ryan Coogler aveva eseguito con ottimi risultati facendo di Black Panther un cinecomic profondo e sfaccettato che abbracciava un nuovo modo di fare cinema mainstream. La morte prematura di Chadwick Boseman ha, per ovvi motivi, impedito al secondo capitolo dedicato alla Pantera Nera di seguire la linea narrativa che il primo film aveva impostato, spingendo Coogler a scegliere una strada diversa.
Black Panther: Wakanda Forever riesce bene nel suo intento di essere un omaggio a Boseman e al suo ruolo nel Marvel Cinematic Universe, ma anche un passaggio di testimone per il nuovo volto della Pantera Nera.
In tutto e per tutto questo secondo capitolo di Black Panther è un film sulle origini di un supereroe ed è trattato come tale. Una scelta narrativa coerente per la piega che la storia ha dovuto prendere e che, stilisticamente parlando, si distacca dal primo capitolo dedicata all’eroe wakandiano per concepire qualcosa di nuovo, cucito addosso ai personaggi che prendono il ruolo di protagoniste indiscusse.
La trama – Black Panther: Wakanda Forever, la recensione
La notizia del Wakanda e la successiva morte del Re T’Challa ha portato nuove minacce dai Paesi che bramano i possedimenti della nazione più potente al mondo. Una minaccia che proviene anche dal mare, dal popolo marino Talokan governato da Namor (Tenoch Huerta), un uomo con orecchie a punta e delle ali alle caviglie che gli permettono di volare e di nuotare molto più velocemente.
Minacce che non si fermano nemmeno davanti al lutto dell’intera Wakanda e, soprattutto, in un momento delicato per la Regina Ramonda (Angela Bassett) e per la sorella di T’Challa, Shuri (Letitia Wright), le due donne più colpite dall’inaspettata morte del Re.
Se nel primo capitolo di Black Panther il nemico erano popoli conosciuti come colonizzatori, in questo secondo film Coogler decide di intraprendere una strada differente: quella del dualismo.
Wakanda e Talokan hanno una storia più simile di quel che si possa pensare. Una condivisione del passato che continua a portare avanti il discorso introdotto nel film precedente, quello che mette sotto una luce poco lusinghiera, ma autentica, i paesi occidentali che hanno sfruttato popolazioni intere e le loro risorse con avidità e ingordigia.
La Marvel e la rappresentazione – Black Panther: Wakanda Forever, la recensione
Come dicevamo, il punto forte di Black Panther è sempre stato il potersi concedere il lusso di distaccarsi dai film della Marvel che, al contrario, sono ancorati a delle regole più rigide in cui la linea comica è oramai intoccabile – e che non subisce grosse variazioni dall’uscita di Guardiani della Galassia – e il protagonista è indiscutibilmente maschile. Coogler preferisce alla comicità una satira sociale e si impegna nel creare protagoniste sfaccettate e autentiche.
La Marvel ha più volte tentato di costruire personaggi femminili interessanti riuscendoci (e non sempre) esclusivamente quando il ruolo di protagonista è affidato a una supereroina.
Lo ha dimostrato la scrittura del personaggio di MJ in Spider-Man che, sebbene sia interpretata da Zendaya che ha più volte dimostrato la sua bravura, rimane un personaggio senza la benché minima caratterizzazione. O la famosa scena in Avengers: EndGame in cui è riservato alle eroine una panoramica che doveva gridare Girl Power, ma in realtà i poteri delle suddette sono stati fortemente modificati e ridotti per dar spazio all’eroe – maschile – di turno. Già il primo Black Panther strizzava l’occhio ad un’inclusività non solamente di facciata, ma dedita a un lavoro di scrittura ben fatto che, in questo secondo capitolo, alza l’asticella.
Una storia al femminile di potere e rinascita – Black Panther: Wakanda Forever, la recensione
Le donne wakandiane vengono viste dagli altri come deboli. Il pensiero comune è che, dopo la morte del loro Re, la nazione non ha più nessuno che li protegge e credono sia semplice superarne le difese. Un giudizio affrettato che coincide con l’inizio del film che si prende tutto il suo tempo per smontarne la tesi. Le donne al comando di Wakanda sono forti, ma non sono descritte come eroine classiche. La loro caratterizzazione abbraccia quella struttura di cinecomics dove i punti deboli dell’eroe di turno vengono umanizzate.
Il Wakanda ora è esclusivamente in mano alla tecnologia portata avanti da Shuri, dall’umanità materna di Ramonda e dalle guerriere addestrate a proteggere che sono il vero fiore all’occhiello già dal film precedente.
Wakanda prima di essere una nazione è una comunità guidata da donne in lutto che non si tirano indietro alla minaccia che si avvicina pericolosamente, troppo dedite alla propria famiglia il cui popolo è un’estensione dei rapporti di sangue.
Considerazioni tecniche – Black Panther: Wakanda Forever, la recensione
La sceneggiatura si focalizza sul personaggio di Shuri, colonna portante assieme a T’Challa nel primo film. Il modo in cui si approccia alla morte del fratello, l’affrontare il lutto e la rinascita di Shuri avvengono in maniera più tradizionale di quanto ci si possa aspettare avendo visto il precedente capitolo che, al contrario, ha utilizzato atmosfere oniriche e spirituali per descrivere l’arco di crescita del protagonista. In questo Wakanda Forever assomiglia più a un cinecomic Marvel tradizionale in cui l’azione e le scenografie la fanno da padrona. Quest’ultimo film di Coogler vorrebbe unire la struttura dinamica di un film supereroistico con le atmosfere del mondo africano, senza riuscirci però del tutto.
Sebbene le scene d’azioni abbondino e siano intervallate da bellissime ambientazioni e da scene che fanno conoscere meglio le protagoniste, manca di un dinamismo che avrebbe donato alle quasi tre ore di visione una struttura più solida. Una struttura che lascia passare in secondo piano l’introduzione di Riri Williams (Dominique Thorne), un po’ come era successo in Doctor Strange con America. In entrambi i casi la storia non lascia spazio per un’introduzione efficace a personaggi nuovi. Oltre alla scrittura delle protagoniste e al dualismo che pervade la storia, una nota di merito va all’impianto sonoro e alla curatissima colonna sonora che riescono a rendere giustizia alla costruzione del mondo narrativo.
Black Panther: Wakanda Forever
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- La scrittura dei personaggi femminili
- L'arco di rinascita di Shuri
- La colonna sonora e l'impianto sonoro
Lati negativi
- Alcuni personaggi secondari sono lasciati troppo in disparte