Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean – recensione della stagione 5
Finalmente la quinta stagione di JoJo arriva alla sua conclusione, in un vortice psichedelico e complesso
Su Netflix è disponibile dal 1 dicembre l’intera quinta stagione di Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean. L’ anime è tratto dall’omonimo manga di Hirohiko Araki, un artista poliedrico che è una vera e propria icona in Giappone. La sua punta di diamante è proprio il fortunato manga sulla dinastia JoJo che gli ha aperto infinite porte, tra cui una collaborazione con il Louvre e una con Gucci.
La serie è prodotta fin dal 2012 dallo studio David Production, ma questa quinta stagione è stata distribuita dal colosso dello streaming Netflix. La differenza più lampante riguarda, infatti, proprio la distribuzione: la piattaforma ha scelto di dividere i 38 episodi in tre parti, facendole uscire l’una a distanza di mesi dall’altra.
Indice
Trama – Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean, la recensione
Ambientata in Florida, questa quinta stagione di JoJo segue le vicissitudini di Joline Cujoh, figlia del più celebre personaggio Jotaro Kujo, che viene incastrata per omicidio e costretta a scontare una pena di 15 anni in un carcere femminile di massima sicurezza, pieno di regole ferree e inumane. A seguito di un incontro con il suo avvocato, Joline entra in contatto con un amuleto appartenuto a suo padre che le consente di sbloccare il suo Stand, Stone Free (in originale, per motivi di diritti che vedremo più avanti, nell’edizione italiana viene chiamato Stone Ocean).
In carcere fa la conoscenza di altri detenuti che, in un modo o nell’altro, possiedono dei poteri peculiari ai suoi. Inizia così la discesa per gli inferi di Joline che si ritrova contro la sua volontà ad essere la pedina di un gioco di potere e vendetta molto più grande di lei.
La questione dei diritti – Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean, la recensione
Come accennato, la serie è piena di riferimenti alla cultura musicale. Un segno distintivo dell’autore Hirohiko Araki che, però, negli adattamento americano e europeo si perde inevitabilmente a causa dei diritti d’autore legati ai titoli delle canzoni e ai nomi delle band che, anche in questa stagione di JoJo, sono ampiamente presenti. Per fare solamente alcuni esempi, riprendiamo il nome dello Stand di Joline che, nella traduzione italiana, viene chiamato Stone Ocean.
Quello che si va a perdere è il simbolismo dietro la scelta del nome: l’oceano di pietra è il soprannome soffocante dato alla prigione in cui Joline è rinchiusa anche se innocente, chiamare il proprio potere Stone Free è quasi un portafortuna, un monito da tenere a mente per riuscire a sfuggire. Ma Stone Free è anche il brano del 1966 che fa da lato B al singolo di Hey Joe di Jimi Hendrix. Il nome stesso della prigione, Green Dolphin Street, si ispira ad un brano del 1958 di Miles Davis. Infine, anche il nome di una detenuta è stato modificato: da Foo Fighters, nome della famosa band capitanata da Dave Grohl, a un semplice F.F.
Un bellissimo delirio – Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean, la recensione
Questi continui richiami pop non sono a se stanti, ma si fondono in un’ambientazione labirintica e claustrofobica accompagnata da animazioni fluide e dominate da colori accesi e acidi. La sensazione, quando si vede una qualsiasi stagione di JoJo, è di vivere una vera e propria esperienza audiovisiva a 360 gradi.
Una sorta di delirio dominato da personaggi grotteschi che assumono le – oramai – iconiche pose, strane entità, protagonisti bizzarri che indossano ancora più bizzarri vestiti e combattimenti cruenti. La follia della serie è, ancora una volta, il vero punto di forza dell’anime, la vera e propria attrazione di questa giostra che vortica tra combattimenti spietati, Stand e poteri complessi, protagoniste che lottano per la propria vita il tutto condito da continue citazioni al mondo pop e musicale e ai colori saturi.
La visione di Hirohiko Araki- Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean, la recensione
Se vi approcciate per la prima volta all’autore, sarà difficile capire tutto alla prima visione o abituarsi ai tratti forti e decisivi, ai continui cambi di inquadratura e ai colori pop che, nei momenti di introspezione o decisivi, diventano ancora più aspri regalando un effetto destabilizzante. Ma basta lasciarsi trascinare dalla corrente – JoJo non è come 1899, Dark o Lost che richiedono la continua attenzione dello spettatore e una buona dose di predisposizione nel risolvere enigmi, questo anime bisogna vederlo senza farsi troppe domande – per godere a pieno della serie.
Come spettatori siamo abituati a porci domande e ad avere aspettative verso quello che stiamo vedendo, Araki ci chiede di non farlo. L’autore ci prende per mano e ci mostra le sue idee, una più assurda dell’altra, e la sua visione dell’arte.
Stone Ocean porta all’estremo tutte le caratteristiche che hanno fatto di Hirohiko Araki uno dei mangaka più amati del nostro tempo.
L’unico neo è stato il rilascio dell’intera stagione (che conta un totale di 38 episodi) in tre parti rilasciate a distanza di molti mesi inficia l’organicità dell’opera. Un piccolo difetto che, però, non compromette la buona riuscita di questo sposalizio tra Netflix e lo studio David Production.
Le bizzarre avventure di JoJo: Stone Ocean
Voto - 8
8
Lati positivi
- L'ambientazioni e i colori pop che rendono la serie così unica e diversa dalle altre
- Lo stile inconfondibile di Hirohiko Araki
Lati negativi
- La scelta di far uscire la stagione in tre parti