Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre – recensione dell’anime Netflix
L'adattamento delle storie del mangaka horror sono un omaggio al body horror, a Lovecraft e al folklore nipponico
Dalla mente del maestro del terrore Junji Itō, Netflix presenta Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre, anime antologico tratto da alcune delle storie del famoso mangaka.
Disponibili dal 19 gennaio, i dodici brevi episodi adattano venti delle sue storie più famose – tra cui Tomie e Il libro delle maledizioni di Soichi – in un turbinio di body horror, ispirazione lovecraftiana e mitologia nipponica.
Indice
- Storie d’orrore quotidiane
- L’horror giapponese in tutte le sue sfumature
- Le ossessioni come motore narrativo
- CGI e animazione anni Novanta
Storie d’orrore quotidiane – Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre, la recensione
Junji Itō è un autore particolarissimo che prende le sue maggiori ispirazioni da Lovecraft, dal folklore giapponese e dal body horror più cruento. Il suo tratto narrativo si rispecchia in Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre che, fin dal primo episodio, scoraggia la visione a chi si aspetta una serie horror dal retrogusto occidentale.
L’anime va approcciato con una mentalità del tutto differente: non bisogna aspettarsi jumpscare, elementi classici o l’applicazione di regole diegetiche che, in qualche modo, spiegano l’origine di determinati elementi, la loro forma o il perché essi si sono sviluppati.
La serie riprende alcune delle sue storie più famose il cui unico fil rouge è l’imprevedibilità e una quotidianità che viene improvvisamente meno. La serie si apre con uno degli episodi che più si approccia a l’horror mainstream: una famiglia disfunzionale, una bizzarra combinazione di fratelli che hanno perso i genitori e la volontà del più grande di fare una seduta spiritica col solo fine di approcciarsi ad una ragazza appassionata di sovrannaturale. Dopo questa prima puntata, le storie diventano pian piano sempre più lugubri e imprevedibili.
L’horror giapponese in tutte le sue sfumature – Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre, la recensione
Dalle leggende metropolitane, all’apparizione di spiriti, a maledizioni che plasmano il corpo fino a credenze e superstizioni che diventano realtà, Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre indaga l’horror giapponese in tutte le sue forme e sfumature, ponendo l’accento su tutte quegli avvenimenti o oggetti di uso comune – alcune contraddistinte da un alone d’innocenza – che fanno parte della nostra quotidianità e rappresentano anche gli episodi meglio riusciti.
È il caso di “L’autobus dei gelati“, “I lunghi capelli in soffitta” e “Palloncini appesi“. Il primo, che dura appena una manciata di minuti e che tratta di un misterioso carretto dei gelati che i bambini che ne diventano quasi dipendenti dai suoi deliziosi gelati, richiama lo stile dei racconti brevi di Stephen King tra i più trash, nel senso più positivo del termine. “I lunghi capelli in soffitta” è la puntata più inquietante grazie a una storia che arriva dritta al punto e che beneficia della trasposizione animata per via dei suoni sinistri che accompagnano il cruento finale.
Le ossessioni come motore narrativo – Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre, la recensione
Sono le ossessioni a motivare i personaggi e renderli terribili, delle creature mostruose anche se umane. È il caso delle due puntate che vedono come protagoniste due madri – in “Strati di terrore” e in “La bulla” – ossessionate fino alla follia. Nel primo episodio, una madre di una ex bambina attrice rimpiange i giorni di gloria di sua figlia nei quali rivede i suoi anni migliori e che farebbe di tutto pur di farli tornare, nella seconda puntata una giovane donna confessa di essere stata la carnefice di terribili torture inflitte a un suo compagno di giochi.
Tutte le storie in Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre sono strutturate in modo simile, garantendo allo spettatore una coesione che non c’è nei personaggi o nelle vicende raccontate.
La serie non si perde in chiacchiere, non dà spiegazioni di nessuna sorta. Se adorate l’horror in cui, comunque, c’è una spiegazione più o meno razionale a quello che sta accadendo, resterete molto delusi.
Dopo un breve preambolo in cui la situazione viene rapidamente introdotta, una veloce escalation determina il ritmo della puntata che si conclude lasciando il finale, spesso, in sospeso avvicinandosi a quella narrazione lovecraftiana in cui i momenti salienti sono mostrati tramite l’orrore dei protagonisti piuttosto che usare escamotage narrativi più comuni.
CGI e animazione anni Novanta- Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre, la recensione
L’unica vera pecca di Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre è l’animazione che, non sempre, è delle più curate.
Per omaggiare gli anni in cui il mangaka ha iniziato la sua carriera, l’anime richiama un’estetica e un tratto tipici della fine degli anni ’90. Una scelta azzeccata che ben si sposa anche con la volontà di rinnovare costantemente l’impatto visivo utilizzando il bianco e nero, colori saturi e formati differenti a seconda della storia che sta venendo raccontata.
L’animazione più classica si combina con le tecniche moderne in cui la CGI la fa da padrona, utilizzata soprattutto per dare maggiore fluidità a oggetti importanti sia nella narrazione che, banalmente, di dimensioni come lo sono i palloncini del terzo episodio o l’essere marino nel nono. Se quindi alcune scelte sono ben congeniate e dalla buona realizzazione, alcuni frame sono meno fluidi di altri e alcuni disegni sono più pasticciati di altri che invece risultano ben fatti. Delle piccole cadute di stile che però non compromettono la buona riuscita di quello che è uno degli anime horror più attesi dell’anno.
Junji Itō Maniac: Japanese Tales of The Macabre
Voto - 8
8
Lati positivi
- La struttura narrativa
- Lo stile e lo spirito del mangaka sono ampliamente rispettati
Lati negativi
- Le animazioni non sono sempre delle migliori