Vizio di Forma, di Paul Thomas Anderson – La recensione

Da quando noi uomini abbiamo messo piede sulla Terra, l’abbiamo sentita sempre come qualcosa di nostro. Siamo divenuti i conquistatori di questo pianeta; anche grazie alle nostre capacità cognitive, maggiormente sviluppate di quelle del resto del regno animale. Eppure, nonostante le fortune che hanno arriso alla nostra specie, abbiamo sempre dovuto fare i conti con ciò che non potevamo spiegare e controllare. In Vizio di Forma, Paul Thomas Anderson cerca di ragionare su tutto questo. L’accettazione dell’imperfezione umana e delle conseguenze dei suoi vizi intrinseci.

La nostra recensione di Vizio di Forma deve però iniziare partendo da uno degli aspetti più complicati dell’opera, la trama. Volendo semplificare. Nel film seguiamo le avventure dell’investigatore privato Larry “Doc” Sportello (Joaquin Phoenix) che viene contattato dalla sua ex ragazza per un lavoro. L’attuale uomo di lei, un magnate dell’edilizia, sta per essere incastrato dalla moglie e l’amante; i due vogliono rinchiudere in manicomio il ricco uomo e appropriarsi della sua fortuna. Shasta (questo il nome della ragazza) viene coinvolta nel piano dei due avidi amanti e ora teme per la sua incolumità. Così Doc decide di aiutare la sua vecchia fiamma, ma ben presto finisce in un “circolo” di vicende che lo metteranno in serio pericolo.

Vizio di Forma – La recensione

vizio di forma paul thomas anderson recensione

Doc Sportello è un hippie che vive sulle assolate spiagge della California. Siamo nel 1970, la guerra in Vietnam è al culmine e le proteste non violente della fine degli anni ’60 sono valse a poco. e così “quelli” come Doc si sono rannicchiati nelle loro vite, cercano di andare avanti, lottando contro la diffidenza dell’uomo medio americano. Questo contesto risulta fondamentale per capire le scelte registiche che in Vizio di Forma Paul Thomas Anderson mette in atto.

Noi vediamo tutto dalla visuale alterata e lisergica del nostro protagonista. Le scenografie, le ambientazioni saltano all’occhio, c’è un sottile filo che unisce il surreale occhio di Doc e la realtà degli eccessi della vita di quegli anni. La contestazione è finita e l’unica cosa che sembra aver lasciato alle persone è un impulso autodistruttivo. Ecco che allora la macchina da presa barcolla con Doc, si libra nell’aria come fosse anche lei presa da un “trip” e poi allarga per mostrarci il mondo che circonda il protagonista. Sono spesso utilizzati il campo e il contro-campo per opporre la figura di Sportello a quella di coloro che dalle esperienze degli anni ’60 hanno appreso solo il peggio.

I colori risultano ben definiti per dare risalto, nuovamente, all’occhio surreale del nostro protagonista. Ma sono anche funzionali al contrasto tra i personaggi. Un continuo e perenne conflitto dell’umanità; lo scontro come meccanismo di autodifesa perché si ha paura di accettare la propria imperfezione, il proprio vizio intrinseco. Imperfezione che può fare male alle persone a noi vicine e che innesca un meccanismo autopunitivo, per espiare le colpe, per sentirci in pace.

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Un noir a tinte psichedeliche

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Andreson prima di essere un grande regista è un maniacale cinefilo. In questa opera egli allora riprende due pietre miliari della storia del cinema, direttamente creditrici per trama e struttura alla sua. La base è quella del noir, un noir intricato denso di vicende che si fatica perfino a seguire, inspiegabile e perfino inconcludenti. Nello specifico Il Grande Sonno di Howard Hawks è il primo dei genitori di questo film.

La celeberrima opera di Hawks ha come suo figlio di Sangue Il Grande Lebowski (qui la recensione) dei fratelli Coen. In Vizio di Forma Paul Thomas Anderson seguendo una linea progressiva prende come genitrici del suo film queste due pellicole e ne estremizza e amplifica i paradossi. Anzitutto l’avvicendarsi frenetico di “scoperte” che il nostro investigatore fa sembrano aprire sempre nuove piste investigative che ad effetto domino ne aprono altre. Non si da tempo allo spettatore di prende fiato e rimuginare su ciò che vede. Un po’ come metafora della vita Doc cerca di essere parte attiva della sua esistenza ma continua a subire un susseguirsi di eventi che non per forza hanno filo conduttore.

In oltre Andreson estremizza la grottesca commedia dei fratelli Coen. Doc è molto più hippie e alterato del Drugo, al punto che l’eccesso surreale delle vicende di Lebowski qui è portato all’estremo. La sensazione che si ha guardando questo noir a tinte psichedeliche può essere indubbiamente spaesante; eppure la tempesta di eventi travolgerà lo spettatore che non potrà far altro che tenere lo sguardo fisso sul grottesco tentativo di Doc di riscattare una vita all’insegna della sconfitta.

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Doc Sportello e le sue nemesi

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Ad una trama “faticosa” l’opera di Anderson bilancia con una strepitosa caratterizzazione dei personaggi. In primis il nostro protagonista. In Vizio di Forma Joaquin Phoenix interpreta meravigliosamente il personaggio principale. Abbiamo già accennato alla figura di Doc, passivo recettore degli eventi (com’era Jeff Bridges ne Il Grande Lebowski). Egli è emancipato da questa società all’apparenza ma all’interno, in maniera tremendamente umana, è pieno di dubbi.

Lavora come investigatore privato ma segretamente vede la centrale di polizia, dove saltuariamente si reca, come l’inconfessabile sogno proibito. Doc ha amici, ma nessun vero affetto nella sua vita; è tremendamente solo e il cameratismo degli uomini di legge lo incuriosisce e lo attira. Inoltre ci si aspetterebbe da lui una vita all’insegna dell’amore libero, ma è dilaniato dal desiderio di riavere Shasta, la donna a cui non riesce a smettere di pensare. Vorrebbe condividere con lei un’amore così “normale” e forse è proprio per questo che si mette nei guai per lei.

Shasta stessa è la prima mimesi di Doc. Lei che sembra essersene andata proprio perché convinta di quel libero amore senza vincoli in realtà si flagella per la sua stessa vita. Per espiare il senso di colpa del non essere abbastanza forte, del volere anche lei una vita “normale”, rifugge negli eccessi. Cede al denaro, alla convenienza e alla sottomissione. Cede all’uomo brutale perché vuole soffrire, perché non vuole accettare il suo vizio intrinseco: essere così desiderosa di un amore puro e sincero contrario ai suoi ideali.

Infine il magnifico Tenente “Bigfoot” Bjorsen interpretato da Josh Brolin. Lui così prevaricatore nei confronti di Doc, cela la sua incapacità di prendere le rendini della sua vita. In Vizio di Forma Joaquin Phoenix è maltrattato dal tenete per questi vuole esorcizzare la solitudine e il disperato bisogno di un amico.

L’accettazione di sé stessi

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Con Vizio di Forma Paul Thomas Anderson continua ad evolvere la sua poetica servendosi di un contenitore diverso. A voler citare solo l’essenziale, Magnolia, L’amore Ubriaco e Il Petroliere, in queste e in altre l’autore costruisce un conflitto per far emergere l’uomo. L’essenza umana e la sua natura piena di imperfezioni.

Si pensi solo ai personaggi da noi citati, Doc, Shasta e Bigfoot. Sono tutte facce di un unico prisma che formano la complessa natura, fallace, dell’uomo. Anche l’emblematico personaggio di Owen Wilson, è un una persona in cerca di una redenzione sincera che arriva dopo la consapevolezza della sua debolezza. Nessuno nasce infallibile, ci sono vizi intrinseci del nostro carattere che si scontrano con i difetti di chi ci circonda, ma di questo non bisogna disperare.

Un principio di certa psicologia dice che alcune cose non possono essere cambiate, bisogna solo prendere coscienza di esse. Lo scontro, la rabbia, i fallimenti sono necessari per renderci consci di ciò che siamo e delle nostre imperfezioni. Ciò non preclude però un lieto fine, una volta che ci siamo accettati per come siamo possiamo affrontare la vita in modo migliore.

E ancora una volta l’accettazione della nostra debolezza intrinseca passa nel tendere una mano a chi ci circonda. Le relazioni sono la chiave. Ammettere che siamo umani e non divini e lasciarci andare all’amore, farci amare e amare, nell’amicizia come in ogni altro rapporto. Non è l’uomo come singolo che sopravvive ma l’umanità in quanto specie che vince le ingiustizie del mondo. Mondo imperfetto perché creato da noi esseri non divini, non perfetti a nostra volta.

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Vizio di Forma – Conclusioni

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In noir caotico, come già se ne erano visti, Anderson fa un finissimo lavoro sui personaggi e le loro interazioni. Crea, ancora una volta, qualcosa di unico supportando questa grottesca commedia con un comparto tecnico invidiabile. Una lavoro visionario come tutte le opere dell’autore che in questa lisergica avventura-disavventura di maschere ci costringe ancora una volta a fare i conti con noi stessi e la nostra natura.

Non un film perfetto, perché come traspare dall’idea di quest’opera la perfezione non va parte di questo mondo. Saprà comunque regalarvi nella sua pur lunga durata dei momenti di trasporto emotivi come solo il grande cinema sa fare. Inoltre in Vizio di Forma Joaquin Phoenix con il suo personaggio di Doc Sportello vi metterà davanti ad un personaggio che difficilmente dimenticherete confermando un’interprete di prima categoria.

Rating - 8

8

The Good

  • comparto tecnico
  • caratterizzazione dei personaggi
  • l'interazione dei personaggi compensa la trama caotica

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