American Born Chinese: la recensione della serie con Michelle Yeoh su Disney +
La serie con i premi Oscar Michelle Yeoh e Ke Huy Quan è un teen drama scisso tra ricerca identitaria e kung fu movie che mette al centro un'intera comunità e il suo desiderio di essere rappresentata fuori dagli stereotipi
Dal 24 maggio è disponibile su Disney + la prima stagione completa di American Born Chinese. Una serie teen, creata da Kelvin Yu e tratta dal fumetto di Gene Luen Yang, tra fantasy e action, ricerca identitaria e kung-fu, che è anche uno spaccato su una comunità, quella cinese in America, e sul suo desiderio di essere rappresentata al di là di stereotipi e luoghi comuni.
Interpretata, tra gli altri, dai tre protagonisti di Everything Everywhere All At Once, Michelle Yeoh, Ke Huy Quan e Stephanie Hsu, questa ennesima rivisitazione del classico letterario Viaggio in Occidente si avventura così tra miti del passato e un presente irto di ostacoli per raccontare le vicissitudini di un adolescente alle prese con la sua doppia natura di figlio di immigrati cinesi e giovane americano. Un coming of age che, se a volte fatica a mantenere l’equilibrio tra le sue diverse anime, sa comunque coinvolgere, portando avanti un discorso non superficiale su identità e appartenenza.
Indice:
Trama – American Born Chinese recensione
Jin (Ben Wang) è un ragazzo di origini cinesi appassionato di manga e desideroso di farsi nuovi amici. Nel suo liceo è uno dei pochi studenti asiatici e fa di tutto per integrarsi con i compagni bianchi e più popolari, anche a costo di sopportare prese in giro vagamente razziste. Tutto cambia però quando fa la conoscenza dello strano studente cinese Wei-Chen (Jimmy Liu), in realtà un essere soprannaturale figlio niente meno che del Re Scimmia Sun Wukong (Daniel Wu), convinto che Jin sia la sua guida nel mondo terrestre.
Inizialmente più interessato a entrare nella squadra di calcio della scuola che ad aiutare il suo nuovo amico nella ricerca di una misteriosa pergamena dai poteri inimmaginabili, Jin dovrà suo malgrado imparare a fare i conti con le sue origini per scongiurare una guerra tra Paradiso e divinità ribelli che minaccia l’esistenza stessa della Terra. Tra scimmie dai poteri magici, dee della misericordia e demoni toro, prende così vita una storia giocata interamente tra due realtà, due mondi apparentemente inconciliabili che, forse, sarà proprio compito di Jin ricongiungere.
Una questione identitaria
Non è sicuramente un caso che i tre attori principali del film trionfatore agli Oscar Everything Everywhere All At Once si siano ritrovati proprio in una serie come American Born Chinese. Perché questo adattamento dall’omonimo graphic novel di Gene Luen Yang, sebbene profondamente diverso dall’opera dei Daniels, condivide con questa la rappresentazione, fuori di stereotipo, di una minoranza e di un’intera comunità per troppo tempo relegata a un ruolo marginale nell’immaginario cinematografico statunitense.
Una tendenza tutta contemporanea, quella di dare maggiore voce a chi difficilmente l’ha avuta prima, che, dal cinema alla letteratura (di appena un paio di anni fa il romanzo “Chinatown interiore” di Charles Yu), si interroga anche su quelle minoranze etniche per troppo tempo escluse dalle narrazioni tradizionali, spesso relegate a ruoli predefiniti e immediatamente riconoscibili. Una questione spesso affrontata, come in questo caso, unendo insieme tradizione e modernità, fantasy e storie contemporanee (sempre rimanendo in casa Disney si pensi a Red o a Shang Chi), in cerca di un equilibrio che è anche e soprattutto un problema identitario.
Due anime
Prende proprio piede da qui la storia di Jin. Ragazzo americano di origine cinese in bilico tra passato e futuro, retaggi tradizionali e desideri prettamente occidentali. Una scissione (“sei due mondi che si scontrano tra loro”, gli dice la madre) che la serie asseconda in maniera esplicita, trasformandola in parte integrante della narrazione.
È così che nelle vicissitudini da teen drama di Jin, tra desiderio di essere accettato dai suoi compagni wasp e disinteresse per le proprie origini (il cinese parlato a malapena), subentra, a bilanciare la situazione, il misterioso Wei-Chen, nientemeno che un essere divino uscito fuori dagli antichi miti cinesi. È il rapporto conflittuale con lui che mette in scena esplicitamente le due anime del protagonista. Un aspetto sottolineato anche dalla storia parallela ed esemplare di Freddy Wong (Ke Huy Quan), attore di una celebre sitcom anni 90 relegato per anni nel ruolo dell’asiatico nerd e pasticcione, evocata a più riprese nel corso della serie.
“Tutto è più connesso di quanto pensiamo”
Un insieme di situazioni e spunti differenti, quindi, che la serie frulla insieme in un caleidoscopio di rimandi e suggestioni. Dal teen drama, con tutto l’armamentario del caso (bullismo, razzismo, mascolinità tossica), al wu xia pian, passando per il fantasy (un po’ Percy Jackson, un po’ American Gods), gli anime e una spruzzata eighties alla Grosso guaio a Chinatown, la serie fa così propri linguaggi e formati differenti (le puntate della finta sitcom, un intero episodio ricalcato sul cinema fantastico di Hong Kong), tentando di farli confluire tutti in una storia unitaria e ben definita.
Sì, tentando. Perché, in questo marasma, è inevitabile che non tutto torni alla perfezione. A partire dalla componente fantasy (e dalla CGI non eccezionale che la sorregge), ennesima riproposizione del classico della letteratura cinese Viaggio in Occidente (ispiratore di innumerevoli manga, tra cui “Dragon Ball”) che, per quanto consapevolmente kitch e parodica, spesso non funziona come dovrebbe, limitandosi a essere una parentesi, se non un impiccio, all’interno della vita quotidiana del protagonista. Uno sbilanciamento che però si perdona a una serie che riesce, comunque e nonostante tutto, a coinvolgere e a sensibilizzare senza perdere la sua leggerezza.
American Born Chinese
Voto - 7
7
Lati positivi
- Il discorso su identità e rappresentazione etnica è molto attuale e narrativamente ben reso
- La storia funziona, soprattutto nella sua parte realistica
Lati negativi
- La dimensione fantasy è solo abbozzata e spesso coinvolge molto meno di quanto dovrebbe