The Menu: spiegazione del finale e analisi del film con Anya Taylor-Joy

Degli chef frustrati, un artista svalorizzato e un gruppo di persone rappresentative di tutti i mali del capitalismo, chiaramente ne uscirà un massacro, ma perché?

Per farla breve, The Menu (recensione) è la storia di uno chef che ha dedicato tutto se stesso e tutta la sua vita alla cucina. Quando arriva però al massimo prestigio e si rende conto che i suoi unici clienti sono un branco di ignoranti ricchi sfondati, cucinare perde di senso e così anche la sua vita. Decide allora di ammazzare se stesso, il suo staff e i suoi clienti con un ultimo menu progettato con ambizioni artistiche e come dimostrazione ultima del suo successo/fallimento. Detta così, la spiegazione di The Menu potrebbe apparire esile e staremmo banalizzando il lavoro altrui così come i clienti dell’Hawthorne. In realtà ogni piatto e ogni personaggio hanno una funzione ben precisa nel delineare la frustrazione di un artista dinnanzi a una società che vede l’arte come strumento puramente commerciale.

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The Menu, Hyperobject Industries

Indice

Arte, cibo, vita – The Menu spiegazione

Ogni aspetto del Menu (da intendersi sia come film che come cibo) è studiato minuziosamente e questa estrema attenzione è la stessa che si potrebbe trovare in un sociopatico assassino che progetta il suo prossimo omicidio con un’attenzione, appunto, maniacale. Il cibo è metafora di vita e metafora di morte. I clienti mangiano un intero ecosistema fatto di piante, funghi e batteri. Mangiano la vita, così come mangiano gli animali e, per estensione, la morte. Uno dei protagonisti, Tyler (Nicholas Hoult), vede la cucina come l’unica forma d’arte, la creazione di opere organiche con materiali prelevati dalla terra e dall’acqua, il modo migliore attraverso il quale l’uomo, in quanto essere vivente, può avvicinarsi al trascendentale. Lo chef Julian Slowik (Ralph Fiennes) la vede in modo simile e, partendo da questo presupposto, dedica la sua intera vita all’arte culinaria sacrificando famiglia, divertimento e libertà.

La sua camera, in cui spiccano le foto che ripercorrono le tappe della sua carriera, è minimale e asettica: caratteristiche ambientali, queste, che a livello cinematografico spesso e volentieri sono associate a luoghi che appartengono a psicopatici e assassini. Dal primo premio come impiegato del mese in un comunissimo diner in cui cuoceva gli hamburger, passando per le immagini di quelle che sembrano sua moglie e sua figlia, fino all’apertura di Hawthorne, il locale in cui tutti sono rinchiusi. L’unica foto in cui sorride chiaramente è quella più vecchia, quella in cui ha in mano una spatola con sopra un pezzo di carne. L’unica foto in cui ha uno sguardo più cupo e indurito è quella davanti al ristorante. È Slowik stesso a dire di aver dedicato anima e corpo ad appagare il palato di sconosciuti per poi rendersi conto troppo tardi che le persone a cui presta i suoi servigi sono, ormai, inappagabili.

Personaggi e ingredienti- The Menu spiegazione

In The Menu la cucina è un pretesto ed il cibo è metafora di una generale decadenza e corruzione dell’arte, divorata sempre più da una società capitalistica e insaziabile. Ogni cliente è simbolo di questo lento trapasso, è cibo marcio, natura morta. Dall’attore fallito che ha accettato un ruolo in un film terribile solo per soldi, alla critica culinaria che ha iniziato a demolire locali portandoli alla chiusura per puro egocentrismo. C’è la coppia sposata che ha mangiato lì per ben undici volte perché il loro status sociale glielo permette, ma che non ricorda un singolo piatto. Ci sono i tre impiegati del signor Verrick, il riccone che finanzia Hawthorne e chiede di effettuare modifiche al menu, un po’ come un produttore che vuole cambiare il montaggio finale di un film. E infine c’è Tyler, accompagnato dalla misteriosa Margot (Anya Taylor-Joy), l’incognita della serata. Tyler sembra essere il più odiato dallo chef, è il super esperto di cibo, quello che già sapeva sarebbero tutti morti, quello capace di riconoscere la tecnica precisa, l’ingrediente segreto e la nota di sapore anche nel piatto più complesso.

È il tuttologo di turno senza qualifiche e attestati e che non ha la benché minima idea di cosa sia la cucina. Non è un cuoco, non è un artista, non è un critico: è uno che mangia e che spiega cosa sta mangiando, che decostruisce il piatto privandolo della sua aura e rendendolo mero cibo anziché opera. Lui venera lo chef, brama il suo apprezzamento, lo idolatra e nel momento in cui è lo chef stesso ad umiliarlo e ridicolizzarlo davanti a tutti – e, soprattutto, a dimostrargli la sua inettitudine – allora Tyler si suicida. Come per Slowik, gli è stata tolta la gioia ed il piacere da ciò che più sembra avere a cuore. Tutti i personaggi sono figure archetipiche, ruoli sociali più che persone, ingredienti di una ricetta. Ucciderli equivale alla vittoria dell’arte o, almeno, è così che pensa lo chef.

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L’impiegato del mese – The Menu spiegazione

Così come i personaggi, le portate del menu sono i tasselli di un puzzle e più se ne aggiungono più più diventa chiaro quale sarà l’immagine finale. Si parte dall’ecosistema menzionato prima, l’uomo che fagocita la natura, seppure in presentazione del piatto lo chef ci tenga a specificare l’indifferenza della natura nei confronti dei piccoli e insignificanti essere umani. La seconda portata è il piatto senza pane ed è qui che viene introdotto il discorso di classe. Il pane è da sempre considerato cibo destinato alla gente comune ed avendo speso quasi mille dollari per mangiare, le persone a tavola non saranno certo gente comune. Ed è per questo che non mangiano. Slowik inizia a giocare con i suoi clienti e nel mentre la critica tenta di fare un’articolata analisi di un piatto vuoto, Margot inizia ad avere i primi dubbi. Il menu è l’opera d’arte finale di un autore che decide di raccontarsi e con la terza portata scopriamo la tragica infanzia di Slowik. Genitori alcolizzati, un padre violento, desiderio di vendetta e rancore covati per anni e ancora presenti in età adulta (diciamo che una deriva del genere era piuttosto prevedibile).

Lo chef ha una motivazione per fare ciò che fa e la mette in scena in maniera impeccabile, programma ogni singolo dettaglio in quella che definisce un’operazione priva di ego. Già alla terza portata appaiono però evidenti le contraddizioni di un uomo spezzato, che più che una dimostrazione cerca un riscatto o forse una vendetta. L’ego c’entra eccome e probabilmente è la continua svalorizzazione di una persona ben consapevole del proprio talento ad aver portato a questo. Non importa il messaggio o l’artisticità, tutto deriva dalla frustrazione, dal rifiuto e dalla non riconoscenza, il Menu è in realtà un capriccio. Ne è esempio Katherine, la cameriera che infilza lo chef in una gamba e che ha avuto la brillante idea di ammazzare tutti. Quando la critica le muove un complimento infatti, per quanto tenti di minimizzare il suo commento, Katherine non può trattenere le lacrime dinanzi al culmine di un lavoro durato una vita. Tutto ciò che desiderava era un riconoscimento. 

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Il Dr. King una volta disse… – The Menu spiegazione

Si arriva così alla quarta portata, The Mess (in italiano Il Massacro). La storia di un ragazzo che ha dedicato (anche lui) tutta la sua vita a inseguire lo chef nel tentativo di raggiungere la sua grandezza, ha sacrificato ogni cosa a sua volta ed è riuscito finalmente a entrare nel team, solo per poi realizzare di essere bravo ma non talentuoso. Il ragazzo si rende conto di non poter raggiungere il suo idolo e soprattutto che il suo idolo ha in realtà una vita triste, priva di affetto e gioia. L’unica strada rimasta è quindi la morte, il suicidio. The Mess è la portata che meglio spiega tutto il Menu. Quando la tua vita è stata annullata dal tuo lavoro ed il tuo lavoro vandalizzato dai tuoi clienti, non ti resta altro che fare un casino, in questo caso sporcare la cucina di sangue e pezzi di materia grigia.

Slowik però non vuole uccidere solo se stesso, anzi sceglie con cura chi morirà quella sera e non perché non ha altre strade ma per vendetta. L’opera d’arte che sta mettendo in scena è un pretesto, nessuno saprà mai cosa ha fatto, né perché, tutto apparirà come un incidente, quindi qual è lo scopo? La verità è che per quanto possa provare a elevare la sua idea, lo chef è una persona arrabbiata, con il padre, con la madre, con i suoi clienti e anche un po’ con se stesso. Non c’è reale intenzione artistica, è una bugia che si racconta e che racconta agli altri e che tenta di legittimare addirittura citando Martin Luther King. Peccato che in mezzo a quel branco di fessi c’è Margot. 

Margot – The Menu spiegazione

Alla quarta portata infatti il progetto The Menu smette di funzionare, perché tra tutte le persone meritevoli di morte e immeritevoli di empatia, ce n’è una con cui lo chef non può fare a meno di identificarsi. Margot è un’escort, come lui fornisce esperienze ed è frustrata dai clienti che la trattano come uno strumento e non rispettano il suo lavoro. Non sappiamo molto su di lei ma è chiaro che ne ha viste tante, a differenza di Slowik però non molla, continua a combattere e tra tutti è l’unica che si sforza di salvarsi la vita. La ricchezza sembra essere sinonimo di stupidità, superficialità, al punto che undici persone non pensano di coalizzarsi e devastare tutto pur di salvarsi la vita, ma scelgono inconsciamente di diventare vittime. Margot invece no e questa sua resistenza ed estraneità al gruppo affascina e frustra lo chef, che tenta quindi di accoglierla tra le proprie fila. La ragazza riconosce però la sua ipocrisia e ne individua il punto debole.

Quel maledetto cheeseburger che si mangiava da piccoli, quello che ti compravano i tuoi genitori e che pure se faceva schifo ti sembrava il più buono del mondo. L’amore che Slowik provava nel cucinare, il sorriso che aveva in quella foto come impiegato del mese mentre cucina un hamburger, è quello ciò che gli manca. Per quanto possa addossare le colpe ai clienti, alla società o al sistema, nessuno gli ha tolto la gioia, l’ha semplicemente persa. Margot glielo mostra nel momento in cui nel ristorante migliore del pianeta ordina un banale cheeseburger e come se non bastasse chiede di portarselo a casa. La semplicità di quel gesto regala allo chef un ultimo momento di felicità, dopo anni di cucina senza amore, ritrova finalmente quella passione che lo ha spinto a mollare qualunque cosa pur di sentirsi in quel modo. Margot si guadagna la libertà e fugge via, nel mentre gli altri clienti accettano la fine, inconsciamente consapevoli del loro essere marci. 

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