Sono vergine: la recensione della nuova, bizzarra serie comedy di Prime Video
Dopo 'Sorry to Bother You' il rapper Boots Riley si cimenta con la serialità, raccontando, con sguardo bizzarro e surreale, una comunità stretta tra le grinfie di un Sistema senza scrupoli
Dal 23 giugno su Prime Video è disponibile Sono vergine (in originale I’m a Virgo), serie creata, scritta e diretta dal rapper e attivista Boots Riley. Un’opera bizzarra, che arriva dopo l’altrettanto particolare e interessante lungometraggio d’esordio del regista, Sorry to Bother You, riprendendone spirito, tematiche e approccio politico. Se al centro del film con LaKeith Stanfield c’era però il mondo del lavoro e lo sfruttamento delle minoranze, questa volta lo sguardo di Riley si sposta sulla periferia e sul modo in cui il Sistema la racconta (e si racconta). Un’invettiva politica in forma di commedia surreale che centrifuga dentro di sé love story e satira, dramma sociale e supereroi, in un cambio di toni e registri continuo ma non sempre equilibrato.
Attraverso la vicenda assurda di Cootie (Jharrel Jerome, già visto in When They See Us), ragazzo alto quattro metri da sempre vissuto nascosto ma finalmente deciso a esplorare il mondo che lo circonda, con tutte le conseguenze del caso, Riley trova così lo spunto surreale per parlare ancora una volta del proprio tempo e della propria comunità. Un mondo costantemente minacciato, affamato e decimato da un sistema economico che proprio di quel disagio si serve per perpetrarsi, affiancato com’è da una narrazione mediatica irrimediabilmente distorta, incapace di raccontare davvero dove stiano il bene e il male, gli eroi e i cattivi.
Indice:
Trama – Sono vergine recensione
Un fantasma si aggira per la periferia di Oakland. Non quello del comunismo, come vorrebbe invece l’attivista Jones (Kara Young), ma l’ombra di uno strano essere gigantesco, ribattezzato dai locali “twamp monster”. Quando il mostro però si rivela essere “solo” un 19enne alto 13 piedi (quasi quattro metri), vissuto fino ad allora nascosto in casa coi genitori, tutto cambia. Questione di poco tempo e il giovane Cootie diventa infatti una sorta di celebrità nel quartiere, tra serate con gli amici, servizi di moda al centro commerciale e i tentativi di conquistare l’ipercinetica commessa di un fast food (Brett Gray).
Tutto sembra andare per il meglio fino a quando nel quartiere non esplodono disordini in seguito all’ennesima, tragica ingiustizia. Coinvolto negli scontri Cootie viene arrestato dal celebre The Hero (Walton Goggins), autore di fumetti e supereroe lui stesso (!), diventando il capro espiatorio perfetto di una campagna mediatica volta a screditarlo e farlo sembrare una minaccia. Riuscirà Cootie a essere d’ispirazione per la propria comunità, opponendosi a un sistema in crisi ma proprio per questo mai così pericoloso?
Un nuovo mondo
“I’m a Virgo. And Virgo love adventures”, dice il giovane Cootie quando, come Brendan Fraser in Sbucato dal passato, riesce finalmente a lasciare la casa dove è rimasto nascosto dal mondo per 19 anni, avventurandosi nel quartiere. D’altronde, non saranno di certo le avventure a mancare a questo novello King Kong capitato nel bel mezzo di un mondo che non conosce, un mondo devastato da regole non dette, dalle ingiustizie di un sistema nascosto dietro la facciata ipocrita dei media, delle corporazioni e di un milionario autoproclamatosi supereroe.
Niente male per una serie che parte raccontandoci la storia di un ragazzo alto quattro metri e finisce (letteralmente) per parlare dei mali del capitalismo e della necessità di una nuova coscienza di classe. Una parabola spiazzante e bizzarra, insomma, quella di Sono vergine, decisamente in linea, però, con l’universo tematico e il gusto surreale dell’autore di Sorry to Bother You. Come per il lungometraggio d’esordio del 2018, è infatti un’attitudine fortemente radicale quella alla base di questo progetto che parte, ancora una volta, dalla commedia bizzarra e assurda per evolversi in qualcosa di altrettanto bizzarro ma con una forte connotazione politica.
I mali del capitalismo
Mentre Cootie cerca di ambientarsi nel marasma che è la vita nel mondo al di fuori della sua camera, tra corteggiamenti, uscite con gli amici e prime volte, è così che, lentamente, la vicenda di Sono vergine prende forma, gettandoci, proprio come il suo candido protagonista, nel bel mezzo delle storture di un intero sistema, tra sfruttamento delle minoranze, dramma delle periferie e falle del sistema sanitario. È da qui che parte realmente la serie, fotografando, in maniera imprevedibile ma puntuale, un mondo legato a doppio filo all’ingiustizia, un sistema basato sulla propaganda, sulla costruzione di menzogne, sulla creazione di miti e rispettive nemesi.
È così che il protagonista viene presto raccontato dai media come un mostro, un villain temibile non solo perché un gigante, ma perché un gigante afroamericano. Una minaccia cui contrapporre ovviamente l’eroe tutto d’un pezzo The Hero, paladino (bianco) dello “stato di diritto” e antitesi di quel mondo fatto di povertà, criminalità e rivolta visto solo come un’anomalia da schiacciare. Sono proprio le ragioni e le cause dietro a quello stato di cose, invece, quelle che interessano all’autore, ben determinato a ribaltare la narrazione “istituzionalizzata” dei media presentandoci l’eroe tradizionale per quello che è: uno strumento del Capitale. Di quel sistema “che crea la povertà, la criminalità e la violenza di cui necessita” e contro il quale non si può che contrapporre una nuova e ritrovata coscienza politica.
Radicale ma dispersivo
Come e più che nel film d’esordio, con Sono vergine Riley conferma il suo debito con autori quali Spike Lee, Michelle Gondry, Jordan Peele e Donald Glover, ma rivendica un approccio alla materia meno sottile e più sfacciatamente politico. Il risultato è una serie che fa dell’imprevedibilità e dell’assurdo la sua cifra dominante, dell’alternarsi schizofrenico di toni e storie la norma, senza per questo perdere mai di vista il disegno generale, il suo ben preciso intento politico.
Eppure l’impressione, guardando questa storia imprevedibile e costantemente sopra le righe, resta quella che ci sia troppa carne al fuoco per non risultare dispersiva, tra situazioni spesso gratuite e personaggi secondari non sempre fondamentali. Un marasma di spunti, generi e suggestioni differenti (il racconto sociale, la satira politica, il teen drama, il film supereroico, l’opera militante, la commedia surreale) che non sempre riesce a trovare il giusto equilibrio, spesso soffocato dall’esigenza di spiazzare e sorprendere a ogni costo. Anche quando quello che ha da dire è immediato e sacrosanto.
Sono vergine
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- L'universo espressivo e tematico dell'autore è già riconoscibile e affascinante
- Dietro al registro della commedia la serie riesce a essere militante senza smettere di intrattenere
Lati negativi
- Le idee, i toni e le storyline sono così tante ed eterogenee che a volte sembra che la serie perda l'orientamento