Civil War: la recensione del nuovo film di Alex Garland
La nostra recensione di Civil War di Alex Garland, al cinema dal 18 aprile con 01 Distribution
Sullo schermo scorrono le immagini dell’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021. Poco dopo il Presidente degli Stati Uniti, barricato all’interno della Casa Bianca, si prepara per fare un discorso alla nazione. Inizia così Civil War, il nuovo film scritto e diretto da Alex Garland prodotto da A24 al cinema da giovedì 18 aprile. Il regista di Ex Machina, Annihilation e Men e sceneggiatore di 28 giorni dopo torna al cinema con un thriller distopico carico d’azione ambientato in un futuro nemmeno troppo lontano in cui gli Stati Uniti sono messi in ginocchio da una seconda guerra civile. Nel suo discorso il Presidente interpretato da Nick Offerman promette l’imminente vittoria contro la fazione secessionista del Fronte Occidentale, ostentando sicurezza, ma la situazione è ben diversa: i ribelli sono in marcia verso Washington. Ed è proprio a Washington che stanno per dirigersi anche i protagonisti di Civil War, un gruppo di cronisti di guerra composto da tre fotografi e un giornalista. Lo scopo è quello di ottenere il pezzo della vita: un’intervista con scatti esclusivi al Presidente degli Stati Uniti, che fa proclami millantatori ma che in realtà ha le ore contate.
Da queste premesse prende vita Civil War, il film A24 più costoso di sempre, un road movie che si muove con un’intensità pazzesca tra azione, riflessione e analisi politica, documentazione cronachistica e orrore, con un grande equilibrio tra il racconto del quadro generale di un Paese diviso e precipitato nel caos totale e la narrazione nel particolare della vicenda dei protagonisti. Kirsten Dunst è la leggendaria fotoreporter Lee Smith, che ha documentato in una carriera pluridecennale gli orrori della guerra in ogni parte del mondo, Wagner Moura è il suo collega Joel e Stephen McKinley Henderson è Sammy, un giornalista di grande esperienza. Ai tre in viaggio verso Washington si unisce la giovanissima Jessie, interpretata da Cailee Spaeny, fotografa alle prime armi che ammira Lee e spera di seguire le sue orme, senza ancora avere piena contezza di ciò che l’aspetta. I quattro attraversano gli Stati Uniti dilaniati in un viaggio pericolosissimo, tra violenze, proiettili, morte e devastazione riflettendo sull’importanza, l’impatto e le questioni morali legate al loro lavoro.
Indice:
- Il punto di vista del cronista di guerra in un film (non solo) politico
- Più che una distopia, un’agghiacciante ipotesi sul futuro
Il punto di vista del cronista di guerra in un film (non solo) politico – Civil War recensione
Il punto di vista dal quale vengono narrate le vicende di Civil War – film politico sull’America di oggi certo, ma anche, e forse soprattutto, riflessione sul conflitto, sulle derive peggiori, teoria (o ancor peggio) ipotesi agghiacciante che ci riguarda tutti – è quello specifico di un gruppo di cronisti di guerra. Professionisti che nell’arco delle loro carriere hanno visto e documentato tutto, ogni genere di atrocità, che svolgono un lavoro sospeso in una zona grigia a livello di etica e di coscienza. Spicca in tal senso il personaggio di Lee, celebre fotografa che il confronto quotidiano con la morte ha reso quasi (o solo in apparenza) insensibile. Lee spiega a Jessie, che la corazza ancora non l’ha sviluppata, che per fare quel lavoro non ci si deve porre domande, non si può assecondare l’empatica propensione al conflitto morale interiore. Il compito di un reporter è quello di documentare, mostrare affinché siano gli altri a porsi domande.
Interpretata da Kirsten Dunst, una garanzia come sempre, Lee ha un altro dilemma morale, tramite il quale Civil War imposta un’interessante riflessione sul ruolo del cronista di guerra: qual è lo scopo di documentare una guerra se i segnali di allarme veicolati via immagine vengono ignorati, dimenticati e portano a un ciclico ripetersi di morte e distruzione? Ma la posta in gioco è troppo alta, la prospettiva di raccontare una grande storia è troppo allettante e nel caso di specie quella che intendono documentare Lee e Joel è la storia della vita. Quello del reporter di guerra è un lavoro che cambia chi lo svolge, ci dice Civil War, che lo rende quasi incapace di vivere lontano dal fronte, anche se la storia da raccontare rappresenta un rischio concreto di non portare a casa la pelle. Il ritratto dei protagonisti, nel loro essere archetipi, è efficace e a tutto tondo. Lee è fredda e professionale, anestetizzata al dolore (anche se i fantasmi dei suoi scatti la tormentano ogni volta che chiude gli occhi), Joel è dipendente dalla scarica di adrenalina, esaltato perfino dal rumore dei proiettili che testimoniano che lì c’è qualcosa da raccontare, Sammy è avanti con gli anni e fuori forma, ma non intende ritirarsi per nessuna ragione e Jessie, pur scioccata e spaventata, non si è mai sentita così viva.
Più che una distopia, un’agghiacciante ipotesi sul futuro – Civil War recensione
Quello di Alex Garland è un film con pochissima esposizione, in cui lo sviluppo della storia è affidato, in maniera del tutto coerente con l’essenza dei suoi protagonisti, alle immagini, coadiuvate da una colonna sonora e da un sonoro eccellenti. Il viaggio dei quattro reporter è documentato senza risparmiare sugli orrori, nella varietà di paesaggi e contesti, dai teatri di scontro più violenti a una surreale comunità, non per questo meno agghiacciante nei suoi echi e simbolismi, che ha scelto di ignorare la guerra civile continuando a vivere normalmente. E sono tutte immagini di grande impatto, fotografate e girate con la massima adesione al momento, eppure con un certo distacco che, ancora una volta, è in sintonia col punto di vista della narrazione. Sono molti i momenti in cui, è il caso di scomodare una frase fatta, la tensione si taglia col coltello, ci si agita sulla poltrona, si partecipa emotivamente, completamente investiti. Una sequenza in particolare è forse la più spaventosa, quella in cui la gigantesca presenza di Jesse Plemons toglie il fiato in una scena dove la tensione è altissima. Ed è una scena che fa così paura perché racconta una delle derive peggiori, nonché più spaventosamente realistiche nel racconto distopico di Civil War.
Ma quella di Alex Garland più che una distopia è a tutti gli effetti un’agghiacciante ipotesi di quel che potrebbe succedere se l’America (ma non solo) non troverà il modo di mettere un freno alle polarizzazioni, alla violenza, ai conflitti nel senso più ampio del termine. Civil War in questo senso è più una teorizzazione di quel che potrebbe succedere, che non richiede nemmeno chissà quale grande sforzo di sospensione dell’incredulità. Non sappiamo granché, si potrebbe obiettare che sappiamo fin troppo poco, di quel che ha portato a questa guerra civile, Garland traccia poco contesto in questo grande quadro di sgretolamento di quella che è la più grande potenza occidentale. Ma la mancanza di contesto e spiegazioni rende il tutto ancor più visceralmente inquietante e l’interpretazione ultima è lasciata a noi che guardiamo. Arriviamo che la devastazione, in quella dimensione temporale futura, è già in atto, con i semi della distruzione piantati da chissà quanto tempo e a lungo ignorati. Arriviamo come intorpiditi e quella di Civil War è una visione che funge da brusco risveglio sul nostro presente. Sperando che quella visione non si concretizzi nell’immediato futuro. Al cinema dal 18 aprile con 01 Distribution (qui il trailer).
Civil War
Voto - 8
8
Lati positivi
- Il cast, la messa in scena e lo straordinario lavoro sul sonoro
- La riflessione sul mestiere del cronista di guerra e l'agghiacciante occhio sul presente
Lati negativi
- Pur essendo una scelta coerente, si potrebbe lamentare la mancanza di un contesto adeguato sulle origini del conflitto