Il bambino che collezionava parole: la recensione del film Netflix
Il bambino che collezionava parole, disponibile nel catalogo Netflix di maggio 2024 a partire dal 1º del mese, è diretto dal regista spagnolo Manolo Caro, autore delle serie tv La casa de las flores e Qualcuno deve morire, e l’adattamento di Perfetti sconosciuti. Il bambino che collezionava parole (qui il trailer) racconta una storia sicuramente già vista, ma lo fa da un punto di vista innovativo, contraddistinguendo e trasformando alcune delle singolarità del romanzo, dal titolo omonimo, dal quale prende ispirazione, scritto da Juan Pablo Villalobos.
Indice
Trama – Il bambino che collezionava parole, la recensione
La fantasia del piccolo Tochtli è quella che lo porta, nei suoi 12 anni, a scegliere chi poter e voler essere. Coltivando il suo amore per gli animali, per le nuove parole, per quelle nozioni storiche che lo affascinano e sulle quali si interroga, Tochtli, con la sua innumerevole collezione di cappelli, si improvvisa detective, esploratore, samurai e re. È questo il suo gioco, il suo modo di vivere la propria infanzia, crescendo e affacciandosi al mondo dell’adolescenza. Tochtli è però inconsapevolmente dominato da una contraddizione, quella che si legge negli occhi del padre, negli occhi della cuoca e governante della casa e in quelli del professore che Tochtli vede e che viene pagato dal padre per insegnare in privato al bambino tutte le materie scolastiche.
I tentativi del padre di accontentare i desideri di Tochtli, di essere presente nella sua vita e di non fargli mancare nulla, si scontrano con una segregazione del bambino in casa: non può uscire, giocare o conoscere altre persone e, a quanto pare, non ha mai avuto modo o voglia di opporsi a questa scelta. Ecco che tutta la sua esistenza si riduce a una villa immensa, un giardino straordinario pieno di animali selvatici e specie in via di estinzione, a una miriade di cappelli che gli permettono di essere ogni giorno una persona diversa, a un dizionario che, leggendo da cima a fondo, gli permette di imparare, nella sua accettata solitudine, sempre qualcosa di nuovo.
Duplice lettura – Il bambino che collezionava parole, la recensione
Il bambino che collezionava parole, con una struttura a capitoli e un’ambientazione ricca di dettagli, ma minimale nella rappresentazione di altri aspetti del racconto e dei personaggi, presenta la vita del giovane protagonista. Tochtli è un piccolo genio, con una grande maturità e curiosità, e con l’incredibile capacità di interagire non solo con il mondo degli adulti, ma anche con quello della malavita. Crescendo Tochtli diventa sempre più abile nell’adattarsi a un microcosmo dove criminalità e crudeltà si fanno sempre più insidiosi e presenti, filtrati dagli occhi di un bambino molto più grande dei suoi 12 anni. Tra un capitolo e l’altro, nel corso delle lezioni e di quei momenti tra padre e figlio, in film ha quei piccoli guizzi, quasi lampi di dramma che caratterizzato la vita di Tochtli. Costretto a non poter uscire, a studiare da solo, senza amici, senza vivere la vita di un bambino normale, e costretto a capire che la propria vita, quella di suo padre e dei suoi collaboratori, che per lui sono una famiglia, sarà sempre dominata dall’incertezza.
Tochtli ha delle peculiarità che si coniugano perfettamente con quell’atmosfera, tra stravagante e surreale, che rende il film messicano una piacevole sorpresa, un film diverso da qualsiasi altro prodotto Netflix. Una passione per i tipi più diversi di cappelli e per le specie di animali più particolari, che denotalo quel suo bisogno di esplorare un macrocosmo che ha cercato di ricreare nelle mura della sua abitazione, dove ogni animale e ogni cappello è una regione e una nazione di un mondo dove non può andare. È la fantasia e l’immaginazione di Tochtli, pervasa dalla realtà che lo circonda, a trasportare lo spettatore nell’animo del protagonista e di tutti i personaggi secondari, che esprimono a loro volta tormenti e dubbi interiori, difficoltà di tutti i giorni e necessità di un male che nell’ambiente della criminalità sembra essere un dovere. Come ogni figura è così divisa tra l’uomo e il narcotrafficante, l’amico e il killer, il professore e l’informatore, anche lo stesso Il bambino che collezionava parole è continuamente diviso tra ironia e dramma, eccentrico ed elementare, unico, colorato e vivace, ma anche asettico, anonimo e freddo.
Significati profondi non del tutto espressi – Il bambino che collezionava parole, la recensione
Dalla struttura piuttosto statica e dilatata nel tempo, ci si abitua sempre di più alla quotidianità di Tochtli e del padre, figura complessa e stratificata, consapevole delle capacità di Tochtli e della sua estraneità a quel mondo di cui fa parte. Una distanza che non ha nulla a che vedere con la giovane età del figlio, ma è data da una mente brillante, da una proprietà di linguaggio elevata e da una velocità nell’apprendere che potrebbe portarlo lontano. Abilità che nessuno nella sua famiglia ha mai avuto, ma non potrà mai sviluppare al massimo; ed è qui la sofferenza del padre che sa quanto questo dipenda solo e unicamente da lui.
È la cornice tecnica e le figure di contorno a rappresentare, ognuna in relazione con Tochtli, il carattere dolceamaro e il focus del racconto, affidando al bambino protagonista un linguaggio forbito, sui generis, una forte personalità e un’inconsapevolezza del mondo fuori dalle mura della sua villa. Elementi che concernono tematiche come l’infanzia, il contatto umano, una mente brillante incompresa, un equilibrio precario sempre sul punto di spezzarsi: la lenta, tesa presa di coscienza, da parte di un bambino, che il proprio universo di vita, potrebbe, da un giorno all’altro, non esistere più.
Il bambino che collezionava parole
Voto - 7
7
Lati positivi
- Ricco di tematiche velate
- Un punto di vista originale
Lati negativi
- Una doppia chiave di lettura che confonde
- Elementi che rimangono a margine