I Dead Girl Show e la nostra ossessione per le donne morte
Analisi della dead girl e della sua evoluzione, di come sia passata dall'essere uno stereotipo stantio ad un personaggio interessante nel panorama crime.
“La morte di una bella donna è, senza ombra di dubbio, l’argomento più poetico del mondo” diceva Edgar Allan Poe descrivendo in poche parole l’ossessione per le donne morte.
Un’ossessione che non è una prerogativa esclusivamente cinematografica (o letteraria, se appunto ripensiamo alle parole di Poe o ai numerosi libri che utilizzano questo stereotipo narrativo), ma è nata nel mondo giornalistico e nella cronaca nera. Da secoli, le notizie di omicidi efferati che coinvolgono vittime femminili si soffermano sui dettagli più macabri e truculenti piuttosto che la vita della vittima, che passa in secondo piano.
Il cinema, dal canto suo, ci ha quasi convinti che la pornografia del dolore, il mostrare i corpi nudi e mutilati di donne la cui storia viene raccontata tramite flashback e filtrata attraverso lo sguardo del detective tormentato sia la via più interessante. Come dice Greil Marcus nel suo saggio sul tema intitolato “The Oldest Story: Toward a Theory of a Dead Girl Show” la figura della dead girl non è un personaggio, solamente il suo ricordo lo è. L’argomento è inquietante quanto attraente, un trope americano rassicurante come una fetta di pie alle ciliegie.
Indice
- Twin Peaks
- Twin Peaks: Fire Walk
- True Detective
- Mare of Easttown
- Under the Banner of Heaven
- Sharp Objects
Twin Peaks – Dead Girl Show, l’analisi
È con Twin Peaks che la narrazione della dead girl si sposta ufficialmente dalla letteratura alla serialità e al cinema, entrambi campi in cui prospera fino ad arrivare al punto in cui la famosa domanda “Chi ha ucciso Laura Palmer?” dà origine ad un intero sottogenere.
L’incipit della serie di David Lynch è celebre quanto semplice: in una piccola e all’apparenza tranquilla cittadina viene uccisa una giovane ragazza e la sua indagine, condotta da un detective chiamato da un’altra città, porta a galla i segreti dell’intera comunità. Laura Palmer, riprendendo la teoria di Marcus, è il personaggio attorno a cui tutta la serie si sviluppa, ma la sua storia viene raccontata da altri.
Il ritrovamento di Laura Palmer sulla riva del fiume è iconico. Il suo corpo viene mostrato dapprima avvolto completamente da un telo di plastica che, quando viene sollevato, rivela un bellissimo volto dall’espressione pacifica, delle gocce d’acqua che le adornano il viso come delle piccole perle e un piacevole pallore contornato da delle labbra violacee. All’uscita della serie, quel particolare colore di labbra ha lanciato una vera e propria moda nel mondo cosmetico che ha dominato gli anni Novanta tanto che dura ancora oggi.
Nulla nel viso di Laura, né nelle dead girl successive, richiama la morte. Sono troppo belle per essere davvero scioccanti.
Il focus della serie non è mai davvero su Laura Palmer se non in quel momento, solamente in quell’unico primo piano sul suo volto Laura è la protagonista della sua stessa serie tv.
La sua morte getta nello sconforto tutti gli abitanti. I suoi compagni di classe e gli insegnanti sono profondamente addolorati, la segheria chiude per un giorno, tutti si mobilitano per scoprire cosa le sia accaduto e viene inviato l’agente speciale Dale Cooper che ha il compito di scoprire la verità sul suo omicidio. Subito dopo il suo ritrovamento, Laura viene descritta come una ragazza d’oro e ricordata come una figlia amorevole, una fidanzata modello e un’amica insostituibile.
In Twin Peaks – così come negli altri titoli successivi scritti sul medesimo modello – Laura Palmer incarna il marciume nascosto della cittadina, perfetta all’esterno e corrotta all’interno. La sua storia passa in fretta in secondo piano relegando Laura ad essere un catalizzatore, un mero strumento per parlare di altro. Ben presto, l’agente Cooper scopre che Laura Palmer aveva innumerevoli segreti che non coinvolgono solo lei, ma tutti gli abitanti della cittadina. Si scopre che Laura era dipendente dalla cocaina e lavorava in un bordello oltre il confine canadese, lavoro che le ha permesso di intrattenere relazioni con molti degli uomini più potenti della città.
Twin Peaks: Fire Walk – Dead Girl Show, l’analisi
Ma Twin Peaks è l’esempio perfetto anche di un’altra caratteristica cara ai Dead girl show: l’incesto.
Solitamente i Dead girl show portano con sé dei messaggi ben precisi che escludono totalmente la vittima, se non per due insegnamenti contraddittori per le donne. Le vittime sono considerate delle creature selvagge e vulnerabili che hanno bisogno di essere protette, ma al tempo stesso queste narrazioni mettono in guardia le donne dal non fidarsi degli uomini, in particolare suggeriscono alle spettatrici di diffidare delle autorità maschili e delle figure paterne. Questi ultimi dimostrano un sinistro interesse nel voler controllare i corpi delle proprie figlie, soprattutto quando diventano troppo potenti.
Anche in questo Twin Peaks ricalca il trope alla perfezione. Ad aver ucciso Laura, infatti, è suo padre. Con una sfumatura soprannaturale, l’agente Cooper scopre che il padre di Laura è posseduto da un demone che lo ha spinto per anni ad abusare e violentare sua figlia per poi ucciderla.
Twin Peaks ci insegna anche altro, una verità enunciata con la conclusione della prima stagione, quando il caso è ufficialmente chiuso e lo spirito di Laura non accompagna più lo spettatore alla ricerca dell’assassino e dei segreti della cittadina, ma soprattutto con il suo ritorno. Il film sequel Twin Peaks: Fire Walk with Me conferma che i personaggi femminili complicati piacciono soltanto da morte.
Si riesce ad entrare in sintonia facilmente con Laura anche quando si scopre la verità sulla sua vita semplicemente perché, quando ne veniamo a conoscenza, la ragazza è già morta; ma per gli spettatori è complesso empatizzare con i personaggi femminili quando sono vive. L’amore per Laura Palmer, uno tra i personaggi femminili più iconici, si esaurisce nel momento in cui ci viene presentata come un personaggio senziente.
True Detective – Dead Girl Show, l’analisi
Come ha fatto notare Marcus nel suo studio sui Dead girl show, non può esserci redenzione per la vittima, ma soltanto per la persona che indaga sul suo omicidio.
Le narrazioni televisive – per non parlare di altre forme di media – utilizzano costantemente la vittima come incipit della sua stessa storia, un racconto che poi viene affidato ad altri. Per i detective il corpo della vittima è un’area neutrale e l’omicidio è solamente un pretesto per risolvere i loro problemi. Non a caso la risoluzione dell’indagine coincide con la conclusione dell’arco di narrazione del detective, su cui è concentrata la storia.
In modo simile a Twin Peaks, True Detective è un’altra serie cardine della serialità crime che riprende in maniera scrupolosa e fedele il trope del Dead girl show. Le indagini dell’omicidio di una giovane donna, ritrovata nuda in posa nel bel mezzo dell’America rurale, vengono raccontate attraverso dei flashback e i racconti dei due detective chiamati a risolvere l’omicidio.
Quando li conosciamo, Hart e Cohle sono l’ombra di loro stessi. Nel corso delle puntate impariamo a conoscere e ad apprezzare i due detective che, anche se hanno molteplici difetti e la loro vita ha subito un brusco cambiamento, il finale lascia intendere che siano arrivati a una nuova comprensione: “c’è solo una storia, la più antica. Luce contro l’oscurità”.
Anni dopo, True Detective è ricordato come una piccola perla seriale che miscela il linguaggio cinematografico con la filosofia e una scrittura magistrale nella costruzione dei due protagonisti. Senza dubbio i due detective sono un esempio mirabile di scrittura e interpretazione, ma la prima stagione di True Detective conferma la regola alla base del trope della dead girl ossia che la vittima è soltanto un pretesto, che la sua morte è un punto di partenza per raccontare tutt’altro. Nessuno ricorda la vittima, un personaggio che in questo caso non è solo non senziente, ma facilmente dimenticabile.
L’unica immagine che si ha di lei è quando viene ritrovata, una statua nuda e bellissima che non richiama nella mente dello spettatore un omicidio efferato. Come nel caso di Laura Palmer, la morte viene associata ad un’estetica ben precisa che si allontana dall’abietto.
Mare of Easttown – Dead Girl Show, l’analisi
Cosa succede quando questi stilemi vengono ribaltati? Se è vero che la serialità sta vivendo un momento florido ed escono sempre più serie tv, è anche vero che la scrittura oscilla tra il non essere cambiata più di tanto e la volontà di ribaltare stereotipi stantii.
Spesso il detective viene semplicemente sostituito da una figura femminile che, il più delle volte, continua ad essere scritta come se fosse un personaggio maschile. E, spesso, anche la sceneggiatura ricalca la medesima struttura dei Dead girl show dove il cadavere è soltanto un corpo sessualizzato e la vita della vittima diventa un escamotage narrativo che non tiene in considerazione il suo vissuto.
È il caso di Mare of Easttown che nasconde le stesse identiche caratteristiche delle serie che abbiamo analizzato dissimulate da una scrittura intrigante. L’incipit di Mare of Easttown è molto simile a quelle di molte altre serie crime: il corpo di Erin McMenamin viene ritrovato sulla riva di un fiume e con il passare delle puntate si scopre che era vittima di abusi da parte del padre. Ad essere incaricata di seguire il suo caso è Mare, il tipico esempio di scrittura di un personaggio maschile in un corpo femminile. Non ha un buon rapporto con la sua famiglia, il suo carattere si è brutalmente indurito a seguito del suicidio di suo figlio e sfrutta l’indagine per cercare redenzione.
Under the Banner of Heaven – Dead Girl Show, l’analisi
Le serie tv che realmente ribaltano lo stilema consolidato della dead girl sono quelle che si focalizzano su cosa è successo alla vittima attraverso il suo punto di vista, in una narrazione che si prende i suoi tempi per analizzare, ma soprattutto mostrare, cosa sia accaduto. È il caso di Sharp Objects, creata da Marti Noxon, e Under the Banner of Heaven di Dustin Lance Black.
Ad una prima occhiata, Under the Banner of Heaven rientra perfettamente nella categoria dei Dead girl show: una giovane donna, Brenda Lafferty, è stata brutalmente assassinata e ad indagare sulla sua morte sono una coppia di detective, Jep Pyre e Bill Taba che, durante l’indagine, porteranno a galla i segreti di una piccola comunità religiosa nello Utah degli anni Ottanta.
Jeb è un mormone conservatore che, man mano che le indagini procedono e smascherano le dinamiche patriarcali e la gerarchia di potere all’interno della comunità mormone, inizia a mettere in dubbio la sua fede e il suo stile di vita, tra cui gli insegnamenti religiosi che impartisce severamente ai suoi figli.
La vita di Jeb, prima dell’indagine, è descritta in modo molto diverso rispetto ai detective dannati con molteplici problemi alle spalle, problemi che trovano una risoluzione quando il caso è chiuso, qui accade l’inverso. Jeb è un bravo poliziotto, ha una famiglia unita e un ottimo rapporto con le figure femminili della sua vita; è quel che scopre indagando, le dinamiche che appartengono alla sua stessa religione, che lo costringe a mettere in dubbio quello in cui crede facendolo diventare un padre e una persona migliore.
Anche la narrazione di Brenda si allontana dagli stereotipi. Le scoperte di Jeb si fondono ai flashback in cui è Brenda stessa la voce narrante e la sua vita la vediamo attraverso il suo sguardo e il suo vissuto. A differenza di Laura Palmer, Brenda è un personaggio attivo. È tramite lei che scopriamo come la sua vita sia cambiata radicalmente dopo che ha conosciuto suo marito e la sua famiglia, come la comunità in cui è entrata ha cercato costantemente di zittirla per il suo essere indipendente e non sottomessa.
Sharp Objects – Dead Girl Show, l’analisi
Nel panorama seriale Sharp Objects ha ribaltato totalmente il trope della dead girl, cancellando la figura della vittima invisibile e sessualizzata e quella del detective tormentato.
Nella serie creata da Marti Noxon, la giornalista di cronaca nera Camille Preaker torna nella sua città natale per indagare sugli omicidi di due giovani adolescenti, Ann Nash e Natalie Keene. Le dinamiche che hanno portato alla morte delle ragazze sono le medesime in cui Camille è cresciuta.
Il marciume di Wind Gap non è nascosto e non deve essere svelato, ma soltanto mostrato agli spettatori.
Le tre ragazze non sono legate soltanto dall’essere cresciute nella stessa città bigotta, ma soprattutto condividono un destino simile: la loro vita è stata irrimediabilmente stravolta da Adora, la madre di Camille.
Come abbiamo visto, l’incesto è una delle colonne portanti del trope dei Dead girl show che qui viene abilmente sostituito con l’abietto femminile e il mostruoso materno. Adorna è il ritratto della madre anaffettiva, rigida e bigotta che giudica chiunque (a parte sua figlia minore Amma, la sorellastra di Camille) dall’alto del suo status di media borghesia. Adorna è un personaggio inquietante che rispecchia le ansie di Camille, angosce che la donna ha sviluppato a causa di una relazione tossica con la sua famiglia.
Adorna è la perfetta rappresentazione del marciume che domina Wind Gap: dietro il suo velo di perfezione apparente, la donna nasconde il volto di un’assassina. Adorna infatti soffre Sindrome di Münchausen per procura, un disturbo che porta chi ne soffre a far male a chi le sta attorno per poterli curare e ricevere attenzioni ed elogi. È Adorna ad aver ucciso la sorella biologica di Camille tramite un mix di antigelo, farmaci e veleno per topi somministrato con lo scopo di far ammalare sua figlia per poi curarla, un disturbo sviluppato per tenere le sue figlie legate a lei in un rapporto di co dipendenza.
Come da tradizione nei Dead girl show anche in Sharp Objects la storia delle vittime si intreccia con quella della città, ma gli omicidi in questo caso sono convenzionali, quasi banali. Ad essere il vero fulcro della serie è la crudeltà: quella di Adora nei confronti delle sue figlie, ma anche nel modo in cui gli abitanti di Wind Gap si trattano l’un l’altro per difendere un’illusione di perfezione che è soltanto apparente.
Le ragazze hanno un solo compito, quello di essere carine. Mentre le ragazze devono rigorosamente rispondere a dei rigidi canoni estetici, i ragazzi devono rispettare il loro ruolo di genere. John Keene viene giudicato quando piange in pubblico per aver scoperto la morte di sua sorella, una reazione che suscita sospetto da parte degli abitanti che iniziano a pensare che sia colpevole dell’omicidio o di avere una relazione incestuosa con la sua defunta sorella.
La paura di venir meno ai ruoli di genere è un comportamento che viene impartito a Wind Gap fin da quando si è piccoli: quando Camille chiede ad un bambino se non ha paura di giocare fuori casa quando c’è un assassino a piede libero, lui le ribatte stizzito che “non è una femminuccia”.
In uno dei flashback più agghiaccianti del pilot, vediamo una giovane Camille nuotare in un lago quando un suo coetaneo la vede, si ferma e le punta il fucile da caccia che aveva con sé. La tiene nel mirino per qualche secondo prima di abbassare il fucile ed iniziare a ridere.
Sharp Objects riesce brillantemente in quello che molte altre narrazioni tentano di fare: ricostruire le dinamiche della società in un ambiente piccolo e chiuso, come quello di una cittadina, per mostrarne al meglio gli orrori e le contraddizioni senza sessualizzare i corpi delle vittime o mettere a tacere il loro vissuto, dando spazio solamente alle voci maschili impegnate nel risolvere il caso e le loro vite.