Parthenope: recensione del film di Paolo Sorrentino
Parthenope è una dichiarazione d'amore al cinema e a Napoli, una riflessione sul mondo e sugli anni che passano: la nostra recensione
Parthenope, 10º film di Paolo Sorrentino, che torna al cinema a tre anni di distanza da È stata la mano di Dio, è un altro capolavoro del regista, che si distanzia dal suo ultimo lavoro, tornando a quella narrazione e quell’impatto visivo che da sempre hanno caratterizzato la sua poetica. Parthenope, protagonista di dieci minuti di applausi dopo l’anteprima al Festival di Cannes 2024, si avvale di un cast di grandi nomi del cinema italiano, e non solo, insieme all’esordiente Celeste della Porta, straordinaria nel ruolo della protagonista. Parthenope (qui il trailer), dalla regia alla fotografia, dalla sceneggiatura al montaggio, è un film ineccepibile, un’esplosione di emozioni.
Indice
- Trama
- Da È stata la mano di Dio a Parthenope Paolo Sorrentino continua ad emozionare
- Folgorante, erotico, esistenziale e mitico
- Un cast di altissimo livello e una tecnica senza eguali
Trama – Parthenope, la recensione
Dal 1950 al 2023, Parthenope nasce, cresce, matura e compie scelte di vita: sentimentali, professionali e relazionali. Dal cinema alla carriera universitaria, dal senso di maternità all’importanza dell’istruzione e alla concezione di indipendenza ed emancipazione. Parthenope nasce nel golfo di Napoli, in quel mare che bagnerà gli scogli su cui si affaccia la sua villa, dove vive fino ai suoi 18 anni insieme ai fratelli, finché tutti e 3 decidono di partire per Capri, nella speranza di vivere liberi, padroni del proprio destino. Ma le loro vite vengono sconvolte da un tragico evento e il passaggio dall’adolescenza all’età adulta li divide e allontana.
Attratta dalla possibilità di diventare attrice Parthenope entra in contatto con interpreti dimenticate o osannate, ma che hanno imparato ad odiare quel pubblico mosso dalla novità del momento. Da professori universitari legati a un amore per il sapere ormai sconosciuto e autori che hanno compreso appieno il senso della vita, Parthenope capisce non solo chi è e chi vuole essere, ma anche chi era, accettando un’adolescenza che rischiava di travolgerla. Parthenope, legata alla sua Napoli e a tutto ciò che rappresenta, ne scoprirà gli angoli più nascosti, quelli noti a tutti e quelli nei quali non vorrà più tornare, trovando nel tempo che passa e nelle difficoltà della vita, quel suo posto nel mondo che aveva quasi smesso di cercare.
Da È stata la mano di Dio a Parthenope Paolo Sorrentino continua ad emozionare – Parthenope, la recensione
Parthenope è il ritorno di Paolo Sorrentino alle origini, sotto l’influenza di quei temi che hanno decretato il grande successo con È stata la mano di Dio. Pur essendo il precedente un film autobiografico, adolescenza, elaborazione del lutto e processo di crescita erano tematiche presenti, preponderanti e anche in Parthenope lo sono. C’è però anche quel gusto inconfondibile per sequenze che appaiono sconnesse tra loro, ma che irrimediabilmente raccontano e razionalizzano la psiche e la mente di una protagonista che dietro di sé cela un mondo intero. È il caso di Celeste della Porta, una Parthenope sensuale, volitiva e ipnotica, capace di ammaliare chiunque. Forse inconsapevole, forse del tutto conscia del proprio potere. Tra profondità e superficialità, si segue la costruzione della sua identità, la connessione con se stessa: scelte e casualità che la portano ad uscire dalla prigione della sua schiacciante bellezza.
Perché se Parthenope è bellissima, irresistibile, affascinante e unica, e questo le dà una serie di possibilità che altri non hanno, la sua bellezza, definita “dirompente” dal personaggio dell’autore interpretato da Gary Oldman, è anche, in qualche modo, pericolosa. Dalla sua nascita nel mare di una Napoli che non la lascerà mai andare, in un rapporto intrinseco e profondo con l’acqua, dove tutto può iniziare e finire, dove si nasce, come Parthenope e dove si muore. Napoli è così incantevole e decadente, unica e indescrivibile, dirompente e sfuggente come Parthenope. Una città magica che non puoi lasciare, una costiera che ti culla, un mare chiaro che ti insegue, un calore che non ti scalda e un sentirsi a casa in ogni momento. Parthenope è un film esistenziale, pieno di sottotesti e di significati, di scene da guardare, vedere e sentire, di riflessioni sull’amore, sulla vita e su un errore del passato che si fa strada piano, come un frammento lontano che, per anni, ingabbia e rovina.
Folgorante, erotico, esistenziale e mitico – Parthenope, la recensione
Parthenope balla con i suoi fratelli, ugualmente, come tutti, innamorati di lei, tra baci sospesi e mai dati, con visi che si sfiorano, mani che si accarezzano e movimenti sinuosi, morbidi e soavi. Scene cariche di erotismo e passione, come complesso, quasi ossessivo, è il rapporto che lega i 3 giovani personaggi. Ancora irrimediabilmente giovani, ancora alla ricerca dell’amore giovanile, suggerendo come sia frivolo, effimero e volubile, ma necessario. Parthenope si compone di scene che fanno letteralmente venire i brividi, con una costruzione dell’immagine e una gestione della luce che solo Paolo Sorrentino può realizzare. Tornare alle origini, allontanarsi nuovamente da una trama lineare e cronologica e da una coerenza di fondo che aveva contraddistinto l’ultimo film, non è un tornare indietro o un ritrovare il proprio cinema. Perché come È stata la mano di Dio è stato un capolavoro, anche Parthenope è un passo avanti, un andare oltre, una dichiarazione d’amore al cinema e a Napoli, una riflessione sul mondo e sugli anni che passano.
Parthenope era la sirena che nel mare di Napoli trovò la morte a seguito di un dolore insopportabile, è, metaforicamente, quel canto soave capace di attrarre chiunque, è un corpo, metà donna, metà pesce che diede forma a quella città: con la collina di Capodimonte che è la sua testa e la sua coda, che senza vita, si adagia lungo la collina di Posillipo. Parthenope, protagonista di più di un mito e di una leggenda, è, nel film di Paolo Sorrentino, il processo di crescita di una ragazza, che diventa donna, schiava di un aspetto esteriore che la rende trascendentale, ultraterrena, irraggiungibile e quasi “una dea”, come i ragazzi le dicono dietro. Ma Parthenope non è il solo il personaggio al quale presta il volto Celeste della Porta, perché nel rallenty iniziale del film, Parthenope è tutte le ragazze, tutte le giovani donne che stanno per crescere, per diventare adulte, ancora immobilizzate nei loro 18 anni, all’inevitabile fine dell’adolescenza, dove tutto ciò che accadeva senza che ne accorgessero, ha adesso bisogno di risposte. Dove i baci non possono più essere sospesi, dove avere la risposta pronta potrebbe non bastare, dove gli occhi che ti seguono con lo sguardo non ti lusingano più, e dove un gesto eclatante ora si può davvero apprezzare.
Un cast di altissimo livello e una tecnica senza eguali – Parthenope, la recensione
Se tutto questo non bastasse a rendere Parthenope un altro grande film di Paolo Sorrentino, il cast messo insieme non potrebbe essere più perfetto e i noti nomi del panorama italiano e internazionale, con pochi minuti sullo schermo, regalano interpretazioni indimenticabili. Lasciando da parte l’astro nascente Celeste della Porta, Dario Aita e Daniele Rienzo nel ruolo dei 2 fratelli, c’è un magistrale Silvio Orlando, che con ironia vive sfiduciato nei confronti dei suoi studenti che crede non abbiano nulla di nuovo da dire, una folle Isabella Ferrari che, al contrario di Parthenope, è costretta a nascondere il proprio volto, attrice dai metodi poco ortodossi e che ha perso il contatto con il mondo reale, un’arrabbiata Luisa Ranieri, che odia il suo pubblico e lo attacca insultandolo: il confine che allontana Parthenope dal mondo del cinema. Per non parlare di Gary Oldman, che non vede in Parthenope l’oggetto del desiderio proibito e che per questo, è a lui che Parthenope concederebbe il proprio tempo. Un tempo che lui non vuole rubarle, un tempo che Parthenope trascorrerebbe senza doversi allontanare, difendere o lasciar andare.
Un film sorrentiniano, stratificato, con, come solo il regista sa fare, più di un senso che traspare dalla scena, con una doppia lettura, un doppio risvolto e una doppia interpretazione. Narrativa e visiva, di racconto e di sensazione, capace, sempre e comunque, di emozionare. Una regia impeccabile, che insiste, con eccessiva volontà, su sequenze dilatate, lente, delicate nella rappresentazione, ma intense, vive e accecanti in ciò che realmente vogliono mostrare. Scene che si prendono tutto il tempo per rimanere impresse. Parthenope lascia esterrefatti, a volte senza parole, altre volte con un interrogativo, ma sempre con una percezione maggiore di ciò che si vede sullo schermo. Con uno stato d’animo sempre diverso, man mano che Parthenope cambia, si trasforma, si conosce, si comprende e compie le sue scelte. Parthenope decide poi di lasciare qualcosa a margine, allo spettatore, manifestazione di una realtà e di una vita dove non tutto può davvero essere esplicito. Scegliendo di non palesare tutto, qualcosa rimane taciuto e avvolto dal mistero, forse proprio perché la verità è indicibile.
Parthenope
Voto - 8.5
8.5
Lati positivi
- Scene che fanno venire i brividi
- Recitazione, regia e fotografia straordinarie