Uonderbois: la recensione della nuova serie Disney +
La magia di Napoli in una serie per ragazzi che guarda ai Goonies senza dimenticare il folklore locale, tra avventure, affetti e qualche ingenuità
Dopo il successo di Qui non è Hollywood su Disney + arriva a stretto giro un’altra serie tutta italiana. Dal 6 dicembre è infatti disponibile sulla piattaforma Uonderbois, una storia fantastica ambientata in un’inedita Napoli sotterranea che guarda esplicitamente ai Goonies e a Stranger Things senza trascurare il folklore locale, dando vita a una caccia al tesoro che sfocia inevitabilmente in un coming of age dove realtà e fantasia si confondono, tra amicizia, amore e avventura.
Diretta da Andrea De Sica (I figli della notte, Baby) e Giorgio Romano e creata da Barbara Petronio e Gabriele Galli, con le musiche di Geolier, Uonderbois incarna così la tendenza tutta contemporanea di mischiare tradizioni e leggende locali a modelli non autoctoni. Il risultato è un’opera dalle premesse interessanti, che unisce senza fatica suggestioni d’oltreoceano e miti nostrani, ma la cui programmaticità rischia a più riprese di soffocare i sentimenti messi in campo, rischiando di trasformare i suoi giovani protagonisti in semplici pedine di un gioco già visto.
Indice:
Trama – Uonderbois recensione
A Napoli c’è un nuovo “Monaciello”. O, almeno, è quello che credono Aniello e i suoi amici, già pronti a battezzare quell’eroe senza volto Uonderboi. Ma Uonderboi (Massimiliano Caiazzo, già visto in Mare Fuori) è in pericolo: dopo aver sottratto alla Vecchia (una sorta di Crudelia De Mon dei Quartieri Spagnoli, interpretata da un’irriconoscibile Serena Rossi) una statuetta di Maradona contenente, forse, una mitica mappa del tesoro, per sfuggire ai suoi sgherri si è dileguato nelle infinite gallerie della Napoli sotterranea.
È proprio da quel luogo misterioso e pieno di insidie che inizia così l’avventura di Aniello e compagni, desiderosi di conoscere il loro eroe e – perché no? – di scoprire qualcosa in più sul mitico tesoro. Ma il bottino fa gola a molti, compresi l’arraffone Enzo (Ernesto Mahieux) e “il matto” Clemente (Giovanni Esposito), e non tutti sono chi dicono di essere. Tra stanze segrete, intrugli alchemici, trappole nascoste e coccodrilli centenari, la Napoli sotterranea si rivelerà una vera sfida per i giovani protagonisti, ben determinati a realizzare i loro sogni e, soprattutto, a non separarsi mai, qualsiasi cosa accada.
Goonies partenopei
Tradisce la sua natura ibrida già dal titolo, Uonderbois. Perché in quella storpiatura maccheronica c’è il senso stesso di un’operazione che mischia platealmente il genere a un immaginario tutto nostrano, I Goonies, Stranger Things e Spielberg al folklore di una Napoli mai così magica e misteriosa. Una tendenza, quella glocal di unire un senso del fantastico d’oltreoceano a tradizioni locali, sempre più presente nel nostro cinema e nella nostra serialità (da La befana vien di notte a Elf me) e che qui incontra le suggestioni di un immaginario tutt’altro che scarno come quello di Napoli e della sua mitologia unica.
Solo quest’anno, del resto, le narrazioni legate al capoluogo campano hanno monopolizzato grandi e piccoli schermi con storie più che eterogenee. Dal Sorrentino di Parthenope al Salvatores di Napoli – New York, dal Brando De Sica di Mimì – Il prinicipe delle tenebre a successi seriali come L’amica geniale, Mare Fuori e Mina Settembre.
Vocazione glocal
Una vera e propria invasione, dunque, quella di narrazioni di questo tipo, che risulta congeniale per un progetto come Uonderbois. È qui che l’immaginario e le leggende di una Napoli occulta e misteriosa si amalgamano infatti con un senso del fantastico di importazione che (almeno sulla carta) risulta naturale e per nulla forzato, il punto di incontro ideale tra sensibilità solo apparentemente lontane se non agli antipodi.
È così che ‘O Monaciell, le anime pezzentelle, l’isola della Gaiola e i sotterranei della città diventano il sostrato folklorico di un fantastico che, per quanto derivativo nelle sue forme, riesce a bastare a se stesso, conservando una sua precisa autonomia. Un’intuizione felice e dalle premesse interessanti che non sempre, però, riesce a essere all’altezza delle aspettative (e dei modelli citati), perdendo spesso per strada proprio quel senso di magia e di amicizia che aveva fatto la fortuna di storie come I Goonies, E.T. e Stranger Things.
Il peso degli affetti
Tra una citazione di Indiana Jones e un cammeo di Nino D’Angelo, Uonderbois pare in effetti più impegnata a mischiare toni e generi diversi che a occuparsi di quello che dovrebbe essere il cuore pulsante della serie: i suoi giovani protagonisti. Sono infatti proprio le loro caratterizzazioni sommarie e le dinamiche che intercorrono tra loro forse i punti più deboli di una serie che si limita a fare dei suoi personaggi poco più che semplici funzioni narrative, semplici comparse di una storia dove le atmosfere e il senso di meraviglia paiono voler fagocitare tutto il resto.
Un problema non da poco che, unito a uno sviluppo narrativo non sempre entusiasmante o originale (gli interminabili giri a vuoto nei sotterranei), finisce col fare della serie un prodotto per ragazzi dalle premesse interessanti ma incapace di svilupparle fino in fondo o, perlomeno, di scostarsi quanto basta dai modelli di riferimento per avere una propria identità precisa, un valore che vada al di là della pregevole confezione (ottime le regie di De Sica e Romano così come l’importanza data alle location reali) e dei misteri intrinsechi di una città che continua a nutrire e affascinare il nostro immaginario collettivo.
Uonderbois
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- L'idea di adottare un immaginario “spielberghiano” per raccontare la Napoli sotterranea è originale e interessante
- Regia e sceneggiatura sanno valorizzare il mix tra fantasy e realtà che caratterizza la serie
Lati negativi
- Al di là delle premesse, la narrazione della serie risulta più convenzionale del previsto, senza particolari guizzi inventivi
- Affidandosi interamente al fascino delle location e alla storia “occulta” della città la serie spesso perde di vista i suoi protagonisti e le loro emozioni