Enemy: recensione del film di Denis Villeneuve con Jake Gyllenhaal
Denis Villeneuve si pone alla regia di un film controverso e dal significato oscuro, con un grandioso Jake Gyllenhaal in un doppio ruolo
Apprezzato dalla critica e dal pubblico, grazie alla realizzazione di film complessi pianificati in maniera minuziosa; e anche grazie al coinvolgimento di attori di un certo calibro, Villeneuve ha dato vita a molte pellicole che ad oggi sono già dei cult. E tra queste impossibile non citare quella del 2013, che ora ci accingiamo a presentare: ecco a voi Enemy: recensione del film di Denis Villeneuve.
Denis Villeneuve è senza alcun dubbio uno dei migliori registi del panorama cinematografico contemporaneo. Con uno stile eclettico, che spesso sfocia in una manipolazione della trama fino all’ultimo dettaglio, l’artista canadese si è guadagnato di merito un posto nell’Olimpo moderno.
Enemy: recensione del film di Denis Villeneuve con Jake Gyllenhaal
Se con Prisoners la collaborazione tra Danis Villeneuve e Jake Gyllenhaal era solo alla sua alba, questa verrà portata avanti nel film successivo. Nel 2013 difatti regista e attore confermano il sodalizio, tornado a lavorare insieme per Enemy. La pellicola, che lo ricordiamo è tratta dal romanzo di José Saramago, “L’uomo duplicato”, è ad oggi uno dei film più controversi degli ultimi anni.
Questo grazie a una struttura narrativa che intreccia una seneggiatura perfettamente realizzata, curata fino all’ultimo, quasi insegnificate dettaglio, e una regia complessa e completa. Un lavoro decisamente maturo, quindi, quello che Villeneuve ci offre. Questo anche garantendo allo spettatore di perdersi nel suo film, dove una doppia interpretazione di Jake Gyllenhaal garantisce una doppia lettura ossessiva e frammentaria; intrecciata indissolubilmente.
Con un soggetto tratto dal già citato libro di José Saramago, “L’uomo duplicato”, Enemy si sviluppa progredendo per piani intricati, inglobando nella sua sceneggiatura la maggior parte degli elementi già presenti nel romanzo. Tuttavia, ovviamente, una traduzione cinematografica completa non è mai possibile, e spesso neppure auspicabile. Così, nell’adattamento da “L’uomo duplicato” a Enemy alcuni elementi tendono a divergere, in particolare per quanto concerne il finale del film.
Enemy: recensione – la trama
Il film si apre con Adam, professore universitario di storia. L’uomo conduce un’esistenza monotona e passiva, sotto il peso dell’assoggettamento alla compagna; e soprattutto sotto il peso del blocco auto-imposto a se stesso. Le atmosfere del film, cupe, con tonalità che esprimono questo senso di oppressione, ne sono una testimonianza lampante.
Nella sua passività, Adam viene convinto da un collega a noleggiare un film in DVD; si tratta di un espediente cinematografico peculiare, per far muovere la storia. Il collega di Adam, che innesca poi tutta la vicenda, non compare più sullo schermo. Ha svolto il suo ruolo ed è scomparso, lasciando spazio ai veri – o al vero? – protagonisti del film. Nel momento in cui Adam si approccia alla visione, seduto nella propria casa – un’abitazione anaffettiva, quasi uno stallo più che una dimora – qualcosa lo colpisce. Lì, tra gli attori, vi è una persona identica a lui. Ogni minimo dettaglio del suo volto e del suo fisico è speculare.
La rivelazione, se dapprima lo lascia basito, spinge il professore a trovare una risposta a tutte le domande che tale scoperta ha suscitato. Chi è quell’uomo? Perché è identico a lui? La sua famiglia ne sa qualcosa? Il tema del doppio diventa così portante, e viene rimarcato quando ad Adam Bell si affiancherà il suo sosia, Anthony St. Claire.
L’incontro scenico tra i due è reso in maniera magistrale; ci ritroviamo davanti a due personaggi le cui fattezze sono identiche (quelle di uno straordinario Jake Gyllenhaal), ma i cui stili di vita sono diametralmente opposti. E ciò si nota non solo nella presentazione del personaggio, bensì anche nella mimica facciale e nella presenza scenica del singolo. Nel momento in cui le vite dei due personaggi entrano in contatto, ciò che viene a crearsi è una spirale autodistruttiva.
Il tema del doppio e la figura del Doppelgänger
Perno centrale della pellicola di Villeneuve non può che essere quello del doppio. Jake Gyllenhaal, nelle doppie vesti del professore e dell’attore, ci restituisce una panoramica intensa di questa tematica. Da una parte abbiamo Adam, il mite professore di storia con il quale il regista cerca di farsi empatizzare, rendendolo di fatto il vero protagonista; dall’altra Anthony, l’attore fedifrago che rappresenta di fatto la sua contorparte negativa. O così almeno ci viene presentata.
Sin dai primi istanti difatti Anthony si presenta al pubblico come l’eroe negativo della storia. Un Doppelgänger fatto e finito. Questa sorta di duplicato spettrale, questa copia sbagliata della persona, domina lo schermo con la stessa potenza con cui lo domina il vero protagonista. E pur trattandosi di una proiezione, secondo le interpretazioni più condivise, sembra essere tanto reale quanto Adam. Potremmo, in un certo modo, ricollegare tutto al fenomeno psicoanalitico del perturbante (Das Unheimliche, in lingua tedesca). Adam avverte Anthony vicino a sé, familiare; ma contemporaneamente ne ha paura lo teme, proiettando questa angoscia in una dimensione di estraneità talmente tale da risultare terrificante.
La donna-ragno nell’opera di Villeneuve
E se Miguel Puig aveva già dedicato un romanzo alla figura della donna-ragno, Denis Villeneuve riporta sullo schermo questa tematica con una maestria estrema. Presente in più occasioni, ombra quasi demoniaca del ragno, dell’aracnide si staglia con prepotenza sulla scena. Ci troviamo davanti a un’evocazione più su livelli. Questa difatti appare sia in se stessa, con la presenza scenica diretta, o ancora la sostituzione della figura umana con quella del ragno; o ancora tramite rimandi più o meno velati.
Ragnatele, figure geometriche che ricordano le file tessute da questi aracnidi si dispiegano durante tutta la pellicola, rimandando sempre a un’unica entità. Quella femminile, che come un ragno tesse le sue fila sull’uomo, trattenendolo sotto il suo giogo e limitandolo in ogni scelta della vita. E se lo sdoppiamento ipotetico dell’Es e del Super-Io di Adam e Anthony risulta essere quello ipotizzato precedentemente, ossia una mera proiezione dello stesso Adam, vediamo come questo gioco di forza si sia concretizzato anche in Enemy.
Nella pellicola di Villeneuve difatti la donna-ragno preclude ogni possibilità all’uomo di vivere serenamente la sua esistenza; ed è da questa situazione che Adam cerca di scappare. Tuttavia senza successo, ritrovandosi incastrato in una doppia morsa coercitiva. E se il finale del film ci insegna qualcosa, è che da questa presa della donna-ragno è impossibile liberarsi se non con un atto estremo; se non con una forza di volontà tale da non ricadere nel circolo vizioso.
Enemy: recensione – conclusioni
Tecnicamente Enemy di Daniel Villeneuve è un film ineccepibile. Le atmosfere che il regista ha saputo sviluppare si intrecciano in maniera perfetta con la creazione di una storia complessa e matura. Una trama, quella che il regista canadese ha saputo trasportare sullo schermo, che grazie alla presenza scenica di Jake Gyllenhaal mantiene un ritmo costante e intenso per tutta la durata del film.
Il senso si spaesamento finale, che lascia lo spettatore interrogarsi su cosa sia realmente successo; su chi sia Adam/Anthony e perché stiamo assistendo alla sua realtà e non a quella di qualcun altro, è spiazzante. E tale sensazione è provocata anche dalla tecnica visiva utilizzata dal regista, che ha dato modo sia in film più recenti sia in opere precedenti a Enemy di una grande abilità tecnica. I colori diventano quindi una chiave di interpretazione; anch’essi scissi su due livelli, aiutano lo spettatore a distinguere un piano dall’altro.
Inoltre la regia di Villeneuve si pone come una prova di maestria decisamente riuscita. L’esperimento narrativo quasi pirandelliano, sicuramente psicoanalitico, viene portato avanti con uno stile maturo e lontano da ogni incertezza. Ogni dettaglio è curato quasi ossessivamente – ossessione che ritroviamo nella costruzione della narrazione – e ciò garantisce una coerenza filmica invidiabile.
Enemy: recensione
9 - 9
9
Lati positivi
- Costruzione perfetta della storia
- Interpretazione magistrale di Jake Gyllenhaal
- Regia matura e complessa