12 anni schiavo: recensione del film di Steve McQueen
La recensione del film di McQueen vincitore di 3 Oscar. Nel cast Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender e Lupita Nyong'o
12 anni schiavo, diretto nel 2013 dal regista inglese Steve McQueen, è tratto dall’omonimo libro autobiografico di Solomon Northup. Questi, interpretato da Chiwetel Ejiofor, racconta nero su bianco la sua personale esperienza come schiavo di colore nell’America dell’Ottocento nelle piantagioni di cotone. Il lungometraggio è quindi drammatico e non risparmia allo spettatore la visione delle brutali sevizie e delle frequenti punizioni corporali che subivano allora gli schiavi di colore, trattati alla pari delle bestie.
Vantando un cast eccezionale e variegato (Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender e Lupita Nyong’o), il film è stato vincitore di ben 3 Premi Oscar, tra cui quello di Miglior film e di Miglior attrice non protagonista a Lupita ed ha inoltre ricevuto svariate candidature ai Golden Globes e ai BAFTA (tanto per citarne alcuni).
Di seguito vi proponiamo la nostra recensione del lungometraggio 12 anni Schiavo, (Twelve Years a Slave) le cui tematiche oggi, in un mondo sempre più privo di empatia come quello odierno, per certi versi risultano ancora attuali.
12 anni schiavo: la trama
Solomon Northup è un violinista di colore che vive da uomo libero nello stato di New York con la moglie ed i figli. In seguito all’incontro con due uomini, fino ad allora sconosciuti, che gli propongono un ingaggio come musicista, Solomon decide di lasciare momentaneamente la famiglia e di recarsi a Washington.
Verrà invece drogato e picchiato arrivando a realizzare l’inganno: è lì per essere venduto al mercato degli schiavi di colore. Comunque, spaventato da ciò che potrebbe subire se rivelasse di essere nato libero, Solomon decide di non rivelare a nessuno la sua condizione. Sarebbe pericoloso persino ammettere di saper leggere o scrivere.
Viene così venduto a diversi schiavisti tra cui William Ford ( interpretato da Benedict Cumberbatch), che lo tratta relativamente con garbo seppur si avvalga comunque del suo lavoro, ed il crudele Edwin Epps (Michael Fassbender) per il quale lavorerà nelle piantagioni di cotone. Qui conosce Patsey, la bella Lupita Nyong’o, un’altra schiava di colore per la quale però Epps prova un’attrazione particolare e che per questo suscita le gelosie della moglie (Sarah Paulson).
Le condizioni di vita di Solomon sono, ovviamente, indegne. Lo schiavo è solo una merce, non è neanche considerato un essere umano e deve sottostare ai capricci e agli umori dei propri aguzzini. Solomon vivrà da schiavo per ben dodici anni fino all’incontro con Samuel Bass (Brad Pitt), un’abolizionista canadese. Bass farà finalmente recapitare la lettera di Solomon alla sua famiglia permettendogli di tornare un uomo libero. L’esperienza che ha vissuto, comunque, lo segna duramente. Attraverso il suo libro denuncia gli abusi subiti negli anni di schiavitù e prigionia e si impegna fieramente nella sua causa abolizionista.
A tempo debito, il buon Dio si occuperà di tutti loro. La maledizione dei faraoni è solo un misero esempio di ciò che attende i proprietari delle piantagioni.
12 anni schiavo: il momento storico
All’epoca dei fatti (1841) in America non è ancora scoppiata la guerra di secessione, che si sarebbe combattuta intorno 1860. C’era comunque un’evidente separazione sul piano ideologico e politico tra il Nord industriale e prospero ed il Sud schiavista e prettamente agricolo. Qui il nero è considerato come il parente più prossimo della scimmia e la sua vita non è altro che mercanzia, facilmente sostituibile, di proprietà di un padrone bianco.
L’aspetto originale della pellicola, infatti, consiste nel fatto che Solomon è un uomo libero e proviene da un ambiente benestante, per questo fatica molto di più a chinare il capo e ad obbedire agli ordini. Per lui la realtà dello schiavismo, oltre ad essere nuova, è anche disumana e figlia di un sistema retrogrado. Tutto il contrario degli altri schiavi che sono ormai quasi rassegnati al loro destino di miseria e sofferenza, probabilmente l’unica vita che conoscono.
12 anni schiavo: performance attoriale
Viene quasi spontaneo opporre la figura cinematografica di Solomon Northup a quella di Django Freeman di Quentin Tarantino. Django, interpretato da Jamie Foxx è un nero che incute più timore di uno schiavista, determinato e pronto a tutto pur salvare la donna che ama. Una figura quasi fumettistica che con un pizzico di umorismo risulta molto più godibile, pur mettendo comunque in luce il problema razziale. Chiwetel Ejiofor è bravo ma manca di espressività e carisma per questo Solomon non sembra essere il vero protagonista della sua storia, anche a causa di una debole introspezione psicologica.
Michael Fassbender è, invece, al terzo sodalizio artistico con il regista McQueen, che l’ha voluto protagonista anche di Hunger (2008) e di Shame (2011). Il suo lavoro su Edwin Epps è stato eccezionale, per certi versi anche migliore di quello fatto da Chiwetel Ejiofor. È infatti più complesso, e forse anche più divertente, interpretare un personaggio come Epps, per il quale non si prova alcuna empatia. Le sue fragilità, nascoste da un comportamento sadico e negriero, lo rendono forse più umano ma non può non andarci comunque di traverso.
Lupita Nyong’o e Sarah Paulson, poi, vestono i panni di donne molto dissimili tra loro, sia per estrazione sociale che per complessità caratteriale. Se Patsey lotta per propria vita cercando invano di rimanere nell’ombra, Mary Epps, umiliata nel venire seconda ad una donna di colore, agisce per mano della gelosia e manovra il marito. Entrambe quindi, per motivi diversi, sono figure forti e determinate; un accento insolito vista l’allora poca considerazione della donna.
12 anni schiavo: pareri finali
In generale 12 anni schiavo è piaciuto molto sia al pubblico che alla critica. A definire il consenso del pubblico sono stati certamente i temi trattati, le giuste scelte registiche e anche un cast di attori di livello. Eppure non mancano le opinioni contrastanti sul lavoro di McQueen, che calca il sadismo degli schiavisti come Edwin Epps. Questo perché punta tutto sull’emotività del pubblico e per la consueta spettacolarizzazione del tema ai fini della riuscita dell’impatto visivo. E comunque se le torture e le frustate ci appaiono brutali e truci quello che in realtà ci turba è la sofferenza psicologica degli schiavi, che non hanno né diritti né vie di fuga.
Il risultato è una pellicola poco rielaborata e senza un carattere proprio, proprio come il personaggio principale. Tuttavia questo non vanifica l’opera di denuncia sociale attuata da McQueen che riesce comunque a mandare il suo messaggio e ad arrivare al pubblico. In sintesi è un film piacevole e ben fatto che, pur mancando di quella marcia in più, sa emozionare e provocare lo spettatore.
12 anni schiavo
Voto - 7
7
Lati positivi
- commovente
- l'intento di denuncia sociale
Lati negativi
- poco rielaborato rispetto al libro di partenza
- esagerazione delle sevizie per impressionare il pubblico