Stan Lee: un piccolo omaggio al creatore della Marvel
La morte di Stan Lee ha colpito celebrità e persone comuni. Noi di FilmPost vogliamo dedicare un piccolo omaggio al creatore della Marvel che tanto amiamo
Stan Lee ci ha lasciati all’età di 95 anni. Era da tempo in precarie condizioni di salute al punto da dover rinunciare alle uscite pubbliche che tanto amava e la morte della moglie non lo aveva aiutato. La sua scomparsa, data l’età, non può risultare qualcosa di inaspettato ma, comunque, ha colpito tutti. Il web pullula di attestati di stima, omaggi, foto scattate insieme a lui e dichiarazioni di colleghi e rivali. Hollywood che, negli ultimi anni, ha visto trionfare i film basati sui suoi personaggi, non può esimersi dal tributargli la giusta considerazione.
FilmPost è un sito di cinema ed è di questo che parliamo principalmente. Eppure, la figura di Stan Lee ha saputo incarnare una tipologia di narratore capace di travolgere anche il Grande Schermo. Tanto abile nel realizzare prodotti destinati al successo quanto spericolato nello sperimentare strade nuove, il co-fondatore della Marvel Comics ha segnato un’epoca. Per questo motivo, a seguito della sua morte, desideriamo rendergli un piccolo omaggio che, confidiamo, possiate gradire anche voi.
Stan Lee: la morte del Sorridente
Così veniva apostrofato da molti estimatori: “Stan, il Sorridente”. D’altronde è impresa rara trovare una sua fotografia che non lo immortali nel mezzo di uno smisurato sorriso. Tutta la sua recente carriera di “Uomo Immagine” per la Marvel era causata dalla sua presenza scenica e dall’irrefrenabile allegria che ogni sua comparsata cinematografica generava. In sala scoppiava sempre la risata non appena il suo volto si materializzava su schermo, lo abbiamo testato tutti.
Probabilmente, nella vita Stan ha sempre sorriso. Solo con quello spirito, infatti, è possibile diventare editor di fumetti a 17 anni e sceneggiatore a 20! Lui che di nome faceva Stanley Lieber, scelse di scrivere sotto pseudonimo perché non voleva bruciarsi il nome con il quale, un giorno, avrebbe scritto il Grande Romanzo Americano. La svolta nella sua vita, però, arrivò non dalla letteratura più tradizionale ma da quella a fumetti. Quando l’allora editor della Timely Comics (la futura Marvel) gli chiese di creare un supergruppo che potesse rivaleggiare con la Justice League della DC Comics, Stan Lee creò i Fantastici Quattro. Fanno ridere coloro che oggi si scagliano contro i “Prodotti Commerciali Fatti per Soldi” e additando alle origini dell’universo Marvel come pura ispirazione creativa: anche allora si trattava semplicemente di cavalcare un trend e sperare di vendere!
Stan Lee: creatore di Mondi
Nacque tutto da lì, da quel quartetto di eroi involontari che rappresentavano la prima vera famiglia con superpoteri. Poi vennero Hulk, Thor, Iron Man, gli X-Men; tutti personaggi interconnessi tra loro e residenti nella medesima città. Stan Lee non creava città fittizie come Metropolis e Gotham City, lui ambientava le sue vicende nei luoghi che conosceva e che permettevano ai lettori un vero coinvolgimento emotivo. Nel 1962 arrivò anche Spider-Man, uno degli eroi più amati di sempre. Nato sotto una cattiva stella, con un editor che lo trovava un’idea “orrenda”. I ragni facevano schifo a tutti, d’altronde, e non esistevano supereroi adolescenti all’epoca bensì convenzionali “spalle” all’eroe adulto. Stan Lee, però, sapeva una cosa: il suo pubblico di adolescenti si sarebbe identificato in quel personaggio come non mai perché sarebbe stato uno di loro. La Storia, come spesso accade, ha premiato l’audacia.
Ma ogni personaggio era una sfida per questo prolifico autore. Gli X-Men sono ancora oggi considerati la metafora più efficace per narrare di discriminazioni e razzismo ma anche di pubertà. Iron Man fu quasi un affronto per i giovani lettori degli anni 60 perché incarnava il loro peggiore nemico: un capitalista miliardario guerrafondaio! E vogliamo parlare di Daredevil? Un supereroe che, per usare le parole del grande Frank Miller, è “l’unico che tutti conoscono per ciò che non può fare?” Quando nel 1971 Stan Lee inserì una sottotrama legata alla tossicodipendenza che coinvolgeva il personaggio di Harry Osborn, vide rimosso dall’albo il bollino di approvazione del Comics Code. All’epoca quel marchio era fondamentale per rassicurare sui contenuti delle storie pubblicate e non era possibile apporlo su una storia che trattava un simile tema. Il successo dell’albo dimostrò l’inutilità di quel regolamento, cambiandone drasticamente le dinamiche.
Stan Lee: il Marvel Cinematic Universe
I suoi personaggi attirarono da subito l’interesse del Cinema ma si scontrarono immediatamente con molte limitazioni. Negli anni 70 e 80, mentre la DC trionfava con i Superman di Christopher Reeve e i Batman di Tim Burton, la Marvel restava al palo. Il contributo di maggior successo era stata la serie tv dell’Incredibile Hulk con il culturista Lou Ferrigno dipinto di verde e dotato di improbabile parrucca. Ci volle l’intervento del produttore Avi Arad per tentare, a inizio anni 2000, di invertire la rotta. X-Men (2000) di Bryan Singer aprì le danze e Spider-Man (2002) di Sam Raimi innescò il fenomeno. Un giovane allievo di Arad, Kevin Feige, capì che era possibile osare ulteriormente e cercare di portare al Cinema le stesse dinamiche da Universo Condiviso dei fumetti.
Iron Man (2008) di Jon Favreu fu il primo film prodotto da Feige a capo dei futuri Marvel Studios. Un tentativo da parte della casa editrice di auto-produrre le pellicole basate sui suoi personaggi, senza cedere i diritti a studios che li avrebbero snaturati. Un progetto rischioso e visto con sospetto anche per la scelta di affidare il ruolo principale a Robert Downey Jr. che, all’epoca, era ancora noto per i precedenti legali e i problemi sul set. Al contrario, fu il film che cambiò la vita all’attore e a Feige. Nel giro di pochi anni fu possibile realizzare un pugno di blockbuster intimamente interconnessi tra di loro e ambientati in un unico universo narrativo. Un sogno a fumetti divenuto realtà di celluloide.
Di questa cavalcata trionfale, Stan Lee ha rappresentato il nume tutelare, l’uomo immagine. Le sue comparsate hitchcockiane rappresentano da sempre il “Sigillo di Qualità”, il “Marchio di Approvazione” delle pellicole. L’avanzare dell’età aveva spinto la Marvel a girare in un’unica sessione svariati cameo da riutilizzare negli anni a venire, quindi è probabile che vedremo il nostro Stan anche nel prossimo Avengers, in uscita nel 2019.
Stan Lee: l’indimenticabile narratore
Brian Michael Bendis, ex-autore Marvel e creatore di Jessica Jones, ricorda con affetto il primo incontro con Stan Lee. Nel 1988, quando era ancora un artista squattrinato, incontrò il Sorridente a una convention di Cleveland. Quando Stan lo vide, esordì con un enorme “Brian Bendis! Come stai, figliolo?” Bendis, colmo di gioia, gli chiese come facesse a conoscerlo e se avesse letto qualcosa di suo. La replica di Lee fu: “Hai il nome scritto sulla targhetta, fesso!” Questo era Stan Lee: per lui ogni occasione era buona per fare della pura narrazione. I suoi personaggi nascevano dall’osservazione di chi faceva la fila per farsi autografare gli albi o di chi scriveva decine di lettere alla redazione. Amava il suo pubblico e voleva dargli qualcosa che facesse scattare un forte senso di appartenenza.
Per Stan Lee era necessario inserire parole complesse nei fumetti per spingere i giovani lettori ad aprire il dizionario. Aveva fama di accentratore e questo generò, negli anni, contrasti spesso violenti con geni assoluti dell’illustrazione come Steve Ditko e Jack Kirby sulla reale paternità dei personaggi. La politica editoriale Marvel, che deteneva tutto il copyright delle creazioni, portò negli anni 80 a scontri violenti e poi, negli anni 90, alla nascita della casa editrice indipendente Image, attuale proprietaria di The Walking Dead. Al centro di tutto, però, c’era la ferma volontà di trattare il fumetto e i suoi lettori come una passione seria e ambiziosa, non uno svago senza cervello. I suoi supereroi con i super problemi innescavano un’immedesimazione tale da portare chiunque, almeno per una volta, a pensare: “Questo potrebbe accadere anche a me…e io reagirei proprio così!”
Stan Lee: la Fine
Questo articolo è inutile. Parla poco di Cinema e, probabilmente, non soddisferà le esigenze minime per risultare competitivo sui motori di ricerca. Eppure, agli occhi di chi lo ha scritto e di chi lo ha bramato, era necessario. Perché mettere in fila gli eventi cardine di una simile carriera, la poetica e le ambizioni di una voce caratteristica come quella di Stan Lee, è quasi terapeutico in occasione della sua morte. Facendo lo slalom fra i messaggi di cordoglio firmati da gente come Downey Jr, Chris Evans, Jeremy Renner, Kevin Smith e molti altri, siamo incappati nelle poche righe pubblicate da Seth Rogen:
Thank you Stan Lee for making people who feel different realize they are special.
— Seth Rogen (@Sethrogen) 12 novembre 2018
Il senso dell’opera di Stan Lee giace tutto qui, perché è facile fare il supereroe se sei un alieno invincibile o un guerriero inarrestabile… Al contrario, è davvero un’impresa farlo quando sei un adolescente con una zia malata, un uomo considerato da tutti un mostro o una ragazza additata dai coetanei come diversa. Tutti coloro che, una volta nella vita, si sono sentiti spaesati, sfortunati o fuori posto, diventavano i veri eroi ai suoi occhi. Cerchiamo di non scordarcelo.
Arrivederci Stan,
speriamo di beccarci per una birra almeno nella linea temporale in cui, senza se e senza ma, sei una divinità immortale.