Analisi: Indiana Jones 4 è davvero un brutto film?
A dieci anni dalla sua uscita nella sale, Indiana Jones 4 di Steven Spielberg è considerato un passo falso per lui e Harrison Ford. Ma è davvero un brutto film? Analizziamolo
Nel 2008 uscì nelle sale cinematografiche mondiali Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo che noi abbrevieremo in Indiana Jones 4. Un film preceduto da un’attesa spaventosa e giustificata. Segnava il ritorno di Steven Spielberg, George Lucas e Harrison Ford al personaggio nato nel 1981 e già protagonista di tre film. Il pubblico di tutto il mondo voleva godersi una nuova avventura del più famoso archeologo del Cinema ma il risultato non soddisfò le aspettative. A detta di molti, Indiana Jones 4 risultò un brutto film, il peggiore della saga e una tra le più cocenti delusioni cinematografiche degli ultimi anni. I fan contestarono in particolare le scelte di farlo duettare con Shia Labeouf nei panni di suo figlio e la trama a sfondo fantascientifico.
A distanza di dieci anni dall’uscita nelle sale, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo è ancora considerato una dolorosa ferita. C’è chi ne rifiuta l’esistenza, chi lo promuove solo per fare l’alternativo e chi è ancora indeciso. Per moltissimo tempo noi siamo rientrati nella prima categoria ma ora vogliamo provare a indagare. Siamo davvero di fronte a una oscenità cinematografica che infanga la memoria di Indy? E dobbiamo preoccuparci per il quinto episodio atteso per il 2020? Seguiteci nella nostra analisi.
Indiana Jones 4 è davvero un brutto film?
Tagliamo subito la testa al toro: sì, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo non è un film riuscito e il risultato finale è molto deludente. Una pellicola frutto di una gestazione lunghissima e di tanti tentativi mai decollati, spesso, non porta a un risultato positivo. La lunga distanza dal precedente Indiana Jones e l’Ultima Crociata (1989) unita all’invecchiamento di Harrison Ford costrinsero Spielberg a spostare la vicenda in avanti di vent’anni. Nel 1957 il sempre attivo Indy è coinvolto nell’atmosfera da Guerra Fredda, tra russi cattivi e test nucleari in pieno deserto. Venuto a conoscenza della scomparsa del suo mentore, il professor Oxley, segue le sue tracce per ritrovarlo e finirà coinvolto nella caccia ai famigerati Teschi di Cristallo di Akator. Al suo fianco avrà il giovane Mutt Williams (Shia Labeouf) che presto scoprirà essere il figlio avuto dalla indimenticata Marion Ravenwood.
Inevitabile che la lunghissima attesa di un nuovo capitolo, le tante ipotesi al riguardo e l’hype da parte dei fan giocassero a sfavore di questo film. Ciononostante è innegabile come la sceneggiatura di David Koepp abbia optato per un percorso poco ispirato e molto meccanico. Indiana Jones, in questa storia, si limita a ripercorrere un percorso già tracciato da Oxley, senza fare nulla che non sia “unire i puntini”. Il suo personaggio sembra costantemente fuori luogo e vittima degli eventi che accadono intorno a lui. Anche l’inserimento dell’amata Marion e del figlioletto ribelle, un espediente per dare nuova linfa al personaggio, si rivela controproducente e poco sfruttato. Se a ciò si aggiunge una CGI usata male e dagli esiti davvero fastidiosi (vedi la scena delle formiche giganti) il risultato è un film che sembra destinato solo ad attirare insulti e maledizioni.
Indiana Jones 4: analisi – Cosa volevano dire?
Eppure, osservando il film con maggiore attenzione, è possibile intravedere altro. Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo è come una torta con tutti gli ingredienti giusti ma cucinata senza guardare la ricetta e il risultato ha del potenziale nascosto. Il film tradisce alcuni aspetti chiave della saga come l’uso degli effetti visivi in CGI ma ne rispetta altri che sono stati mal considerati. L’ambientazione fantascientifica ad esempio, da molti osteggiata, ha un suo senso e una sua ragione d’essere nella filosofia del personaggio. Le pellicole precedenti, con i nazisti cattivi e gli stregoni voodoo, attingevano ai cliché di cinema e letteratura degli anni ’30. Il risultato era un patchwork brillante che raccontava storie del passato con il tocco e il ritmo del cinema anni ’80.
La stessa mossa viene compiuta in Indiana Jones 4. Essendo esso ambientato negli anni ’50 si è reso necessario scavare nell’immaginario di un decennio completamente diverso. In quel periodo il genere che andava più di voga era quello fantascientifico ed ecco spiegato perché Spielberg ha attinto da lì per creare il setting di questo film. D’altronde gli extraterrestri e le minacce da altri pianeti sono un mistero inspiegabile che urta il pragmatismo di Jones quanto facevano un’arca magica, delle pietre magiche o una coppa magica. Si tratta sempre di Lotta contro l’Ignoto e l’inspiegabile, una lotta che finisce sempre scavando dubbi nella mente analitica ma possibilista di Jones.
In questo film, Indy è un eroe in un mondo non più suo. Le scene che lo vedono svettare di fronte a una bomba atomica e a un disco volante rappresentano la stessa cosa: un uomo davanti a qualcosa che non comprende. Per lui le cose non sono più come vent’anni prima. Ha perso il padre e l’amico Marcus Brody, ha perso l’intoccabilità in università (viene licenziato), ha perso la capacità di muoversi in contesti che conosceva bene. Per questo vive l’intera storia seguendo tracce altrui: in questo Nuovo Mondo non è più in grado di orientarsi da solo come un tempo.
Indiana Jones 4: analisi – Il confronto inglorioso (?)
Tutto il film è giocato sul tema del confronto. Il giovane Mutt è un ragazzo di talento ma arrogante e spaccone. Vive a modo suo, ignorando ogni consiglio che arrivi da una voce adulta. Sembra solo un contraltare fastidioso per il buon Indiana Jones fino a quando non si scopre che i due sono padre e figlio. Lì tutto cambia perché il rapporto fra questi personaggi diventa occasione per rievocare quello tra Indy e il padre Henry. Così come la figura paterna incarnata da Sean Connery ne L’Ultima Crociata era serafica e imperturbabile di fronte a ogni catastrofe, ora lo è Henry Jr. Basta notare la sequenza dell’inseguimento in moto che culmina con una scena nella quale Mutt ridacchia soddisfatto e Indy lo guarda con aria di disapprovazione proprio come accadeva tra padre e figlio nell’inseguimento in sidecar del film del 1989.
Suggerire come Indiana Jones sia diventato molto simile a suo padre invecchiando è un altro elemento che fa capolino nel corso del film. Capita spesso che Indy inizi a sdottorare e concedersi lunghi monologhi da professore durante momenti pericolosi come la sequenza delle sabbie mobili. Il ricordo va ovviamente a Henry Sr. che citava Carlo Magno durante uno scontro con aerei nazisti o che ricaricava l’orologio a cipolla nel pieno di un inseguimento. Un gioco di rimandi che, però, la sceneggiatura di Koepp e la direzione di Spielberg sembrano non voler cavalcare. L’intero film, da quel punto di vista, è come se viaggiasse con il freno a mano tirato, timoroso di sfrecciare troppo velocemente sul sentiero dell’autocitazione. Peccato che anche questa fosse una caratteristica dei vecchi film; ricordate la gag dello spadaccino ucciso con un colpo di pistola nei Predatori che viene citato nuovamente ne Il Tempio Maledetto?
Indiana Jones 4 – Il ricordo sempre indorato
Non che questo film non si conceda qualche strizzata d’occhio, sia chiaro. L’ambientazione anni ’50 zeppa di ragazzetti rockabilly rievoca American Graffiti (1973) dello stesso George Lucas mentre lo scontro fra Indy e il soldato dalla stazza enorme è una sequenza riproposta in ognuno dei film della saga. Eppure il tutto sembra timoroso di non potersi reggere sulle sue gambe e di dover attingere al citazionismo per avere successo. Una paura condivisibile e intelligente che, però, risulterebbe superflua in un film solido e ben costruito mentre qui si rivela una ulteriore grave mancanza che rende anonimo il risultato.
Forse la vera paura era, semplicemente, il confronto con gli episodi precedenti, ormai veri cult del cinema mondiale. Si sapeva che Indiana Jones 4 avrebbe subito gli assalti della Vecchia Guardia e i timori di chi riteneva avrebbe rovinato un franchise. Arrivare a distanza di vent’anni lo esponeva ai dardi di chi considera la saga di Indy come una trilogia compiuta che non sentiva la necessità di un tardivo quarto episodio. Questo atteggiamento tende a cavalcare il temibile Effetto Nostalgia di cui abbiamo già parlato in passato. Si ama ciò che appartiene al passato perché si ama il passato e i ricordi felici che porta con sé e non perché i prodotti di allora fossero (sempre) migliori.
Lamentarsi di Indy che si salva da una bomba atomica chiudendosi in un frigorifero è ok; lamentarsi del nazista in aereo che sfreccia dentro una galleria in fiamme come nell’Ultima Crociata non lo è. La sospensione dell’incredulità vale solo per i film che ci hanno cresciuti. Il nostro occhio critico e smaliziato, da quel punto di vista, finge di non vedere.
Indiana Jones 4 – Dovrebbe stare in un museo?
Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo non è un buon film. La sensazione di un’occasione persa è forte così come la visibile pigrizia e svogliatezza dietro l’intera produzione. Non sappiamo se il quinto film imparerà dai suoi errori e saprà accontentare i fan dell’archeologo interpretato da Harrison Ford. Questa nostra analisi, però, aveva il fine di indagare in maniera più dettagliata fra le pieghe di una pellicola e il risultato ci ha sorpreso.
Chi vi scrive detestò il film all’uscita. Rivedendolo prima di scrivere questo pezzo, però, sono emersi dei dettagli che dieci anni fa sfuggirono alla prima visione. Chi come noi scrive di Cinema e film non appena approdano nelle sale ha la necessità di giudicare con rapidità per fare uscire una recensione nel più breve tempo possibile. Eppure è proprio la visione a distanza di tempo, a mente fredda, che permette un giudizio più articolato.
Non dirò mai che Indiana Jones 4 sia bello come fanno molti articoli revisionisti d’oltreoceano perché mentirei. Posso dire, però, che ora ne intravedo le ambizioni e le intenzioni incompiute per tanti fattori e tanti errori. Forse aveva ragione Belloq quando, nei Predatori dell’Arca Perduta, suggeriva di seppellire un orologio di scarso valore perché, così facendo, in futuro sarebbe diventato un tesoro. Non ci resta che attendere…
Pur con tutti i se e tutti i ma, le analisi a posteriori e i tentativi di trovare qualche spunto interessante in questo film, ritengo che da una attesa (quindi gestazione) così lunga e da una produzione di livello internazionale come quella messa in piedi (Spielberg?), il risultato finale DOVEVA ESSERE per forza uguale a quello della trilogia degli anni ’80 se l’ intenzione era realmente sincera. Il risultato è stato invece un obbrobrio senza l’ispirazione e il tocco d’autore dei film passati. Io continuo a comportarmi come se non fosse mai uscito.
La scena finale di Indy che anticipa il figlio nel prendersi il cappello vale tutto il film. Sarà il meno riuscito, ma è il quarto figlio di quattro ed ogni scarrafone è bello a mamma soia….
E ora attendiamo il quinto e ultimo.