Salvate il Soldato Ryan: recensione del film di Steven Spielberg
In vista dell'uscita su Netflix, vi proponiamo la recensione di un film che ha segnato la storia
Salvate il Soldato Ryan – La recensione. Tanto basta per dire che ci troviamo dinanzi ad un capolavoro che ha segnato il cinema internazionale, scrivendone la storia. Nel 1998 quel genio di Steven Spielberg decide di realizzare un film che è rimasto impresso nella memoria di intere generazioni. È forse per questo motivo che la piattaforma Netflix ha deciso di aggiungere al catalogo questo film. Per timore (forse) che un film del genere venisse dimenticato. Per timore (forse) che la Storia, quella Storia, venisse ignorata. Oppure, perché è giusto che le nuove generazioni entrino in contatto con una vicenda tanto delicata, quanto forte da un punto di vista tematico.
Premiato con 5 Premi Oscar (miglior regia, miglior montaggio, miglior fotografia, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro), Salvate il Soldato Ryan è un film complesso che riscrive le regole del war movie nascondendo, dietro una struttura classica, una forte ambivalenza morale.
Salvate il Soldato Ryan: la trama
1944. Francia, Normandia. Spiaggia di Omaha. Gli alleati sbarcano durante il famoso D-Day. Migliaia di soldati americani vengono trucidati sotto il fuoco tedesco. È una battaglia all’ultimo sangue. Vince chi corre per primo; chi riesce a raggiungere la spiaggia, luogo ideale per evitare di morire sotto i colpi pressanti delle mitragliatrici tedesche o morire affogati in mare. Fortunatamente la storia insegna che lo sbarco andò per il meglio e quel giorno gli Alleati ne uscirono vincitori.
Ci spostiamo, nel frattempo, negli Stati Uniti. Una donna, moglie, e madre riceve la triste notizia che tre dei suoi quattro figli sono caduti in battaglia. L’ultimo, il minore, è disperso chissà dove in Francia, a seguito del lancio aviotrasportato che si ebbe la notte del 6 giugno. Pertanto, il capitano John Miller (Tom Hanks) riceve l’ordine di recuperare James Francis Ryan (Matt Demon), in modo tale che possa rientrare a casa. Accettando senza troppe pretese l’incarico, il capitano del reparto Rangers mette in piedi una squadra composta da ben sette uomini. Straordinarie sono le interpretazioni di attori come: Vin Diesel, Edward Burns, Tom Sizemore, Barry Pepper, Adam Goldberg, Giovanni Ribisi. Ovviamente l’impresa si mostra sin da subito complessa. Il gruppo, inizialmente contrariato, deve fare i conti con un paese a loro ignoto, col timore che il nemico possa sbucare da dietro l’angolo, ma soprattutto avventurarsi sperando che il giovane soldato non sia morto.
Salvate il Soldato Ryan: war movie in salsa spielberghiana
Salvate il Soldato Ryan ha la pretesa di essere non tanto un film di guerra, quando un film contro la guerra. Non ci troviamo davanti a un ennesimo lungometraggio campanilistico. Il tutto è incentrato sul condannare le follie di un potere e i relativi orrori bellici. Nelle varie analisi condotte, infatti, Salvate il Soldato Ryan ha sempre perso l’importanza del dettaglio, dal momento che ci si è sempre soffermati sull’imponenza dell’operazione (il budget, infatti, è stato di 120 milioni di dollari), portando quasi all’oblio la deformazione favolistica, l’etica della famiglia e della fratellanza. Spielberg ci spara a tutto spiano ben venti minuti di sbarco, senza prendere fiato e con i decibel al massimo. L’effetto è un’esperienza sconvolgente per lo spettatore. Non c’è nulla di epico. Solo spari, urla, vomito, arti mozzati, mari rosso sangue, budella, schizzi di fango, riprese subacquee, assenza di sonoro (sordità da effetto scoppio), proiettili che disegnano sul fondo marino traiettorie letali, caos, confusione, fino al tremore della mano come da shock post traumatico. Ci troviamo dinanzi a un vero e proprio inferno sulla terra, come a dire: ecco cos’è davvero la guerra.
Il regista ha la pretesa di citare i grandi maestri del cinema, prendendosi la libertà di inserire del suo, in particolar modo elementi che destabilizzano ciò che è nascosto nell’apparente linearità degli eventi. Nella scena del cecchino tedesco, con la quale Spielberg richiama Full Metal Jacket di Kubrick, si inserisce un elemento fuori contesto: la figlia che schiaffeggia il padre, colpevole di averla affidata al soldato americano, poiché convinto di poterla, così, salvare. E ancora: il contemplare le gocce di pioggia sulle foglie che ricordano Narciso Nero, le confessioni a lume di candela, le lettere insanguinate che passano di mano in mano come una maledizione. Spielberg inserisce del suo anche nelle riprese, dove la macchina da presa arriva ad accarezzare i personaggi. Basti pensare alla scena della mamma di Ryan, la quale realizza il dramma non appena vede da lontano la macchina militare dirigersi verso casa.
Salvate il Soldato Ryan: aspetti tecnici
Come accennato prima, il genio di Spielberg si esprime nell’uso sapiente della macchina da presa. La maggior parte delle scene sono girate a mano, senza l’ausilio della tecnologia digitale. Il tutto per dare l’impressione di trovarci di fronte ad un cinegiornale dell’epoca. Le inquadrature tagliano trasversalmente lo scenario, accompagnate da sinistri effetti sonori. Quando tutto sembra essere terminato, la guerra mostra la sua facciata più brutale. Un ordine dall’alto costringe un gruppo di sette uomini a recarsi oltre le linee nemiche per recuperare un solo uomo. Come in celebri film del calibro di Hamburger Hill si denota la fin troppo ricorrente spregevolezza di coloro che impongono ordini ai subalterni gettati nel tritacarne. Tra una battuta ilare, una scommessa sul possibile impiego del capopattuglia, uno scontro a fuoco con relative perdite e il racconto di un’altra ingiustizia subita a causa dell’ottusità dei superiori de quibus, ecco Ryan, che probabilmente mostra l’unico vero sincero sentimento di patriottismo che bilancia positivamente, anche se per poco, i principi ipocriti della guerra.
Preferire il campo di battaglia al calore del familiare camino e “combattere fino alla fine con i miei compagni perché hanno sofferto, rischiato e combattuto quanto me” è forse l’unico sibilo di speranza che alberga ancora nel cuore di qualche uomo. Così volge al termine, dopo una drammatica sfida contro i nazisti, uno dei più bei film di Spielberg, girato con poco patriottismo e senza retorica.
Salvate il Soldato Ryan: conclusione
Come accennato prima, dietro ad un war movie classico, vi è una forte ambivalenza morale. Da una parte i dubbi di chi in guerra varca i confini del lecito per portare a termine la propria missione, dall’altra il senso di colpa dei sopravvissuti che devono ‘meritarsi’ questo sacrificio. Le ultime immagini, richiamando il finale di Schindler’s List, sembrano in realtà metterlo in discussione: per evitare la morte di un uomo quante vite bisogna sacrificare? Chi salva una vita salva davvero il mondo intero?
Salvate il Soldato Ryan
Voto - 9.5
9.5
Lati positivi
- Regia
- Montaggio
- Fotografia
- Sonoro
- Interpretazioni