Ex Machina – Vita e Intelligenza Artificiale
Fra i film di fantascienza migliori degli ultimi anni, Ex Machina rappresenta uno splendido esperimento sulla vita artificiale premiato con l’Oscar 2016 ai migliori effetti speciali. Pochi interpreti, una location accattivante e tanta inventiva fanno di questa pellicola un futuro cult del genere.
Dopo anni di eccessi action e filoni “esplosivi” di bayana memoria, il genere sci-fi sembra aver trovato la sua nuova dimensione: pellicole come Humandroid o serie tv come Westworld hanno risollevato la fantascienza da un lungo periodo d’alti e bassi. Guarda caso, anche “Ex Machina” rientra in questa categoria. Alex Garland (autore di 28 giorni dopo) segna il suo esordio alla regia scrivendo e dirigendo questo complesso thriller a sfondo fantascientifico con protagonisti Domhnall Gleeson, Oscar Isaac e Alicia Vikander.
Caleb (Domhnall Gleeson) è un talentuoso programmatore che lavora per Bluebook, il motore di ricerca più potente al mondo. Verrà scelto dal proprio capo (Oscar Isaac) per raggiungerlo nella sua tenuta e lavorare sette giorni sulla nuova intelligenza artificiale da lui creata. Effettuando il Test di Turing – atto a verificare la qualità dell’intelligenza artificiale basandosi sulle risposte ricevute a determinate domande – rimarrà presto sconvolto dai risultati ottenuti.
Il regista ha vinto la scommessa sulle scelte di direzione: appena 3-4 personaggi caratterizzati alla perfezione che spostano l’intero focus dello spettatore alla meravigliosa sceneggiatura ricca di sfumature. I dialoghi fra i personaggi sono perfettamente congeniali all’atmosfera, fra sottili riferimenti alla vita reale e grandi discussioni sull’evoluzione della mente umana rispetto al velocissimo sviluppo tecnologico. Uno dei temi più interessanti è il rapporto creatore/creatura: dall’inizio alla fine, ogni canone d’ordine viene stravolto confondendo lo spettatore da entrambe le “parti”.
E’ qui che entra in gioco la forte componente thriller: a chi credere? Chi è veramente chi dice di essere? Ma, soprattutto, chi è l’uomo e chi la macchina? Ogni dettaglio mostra uno stile raffinato e minimale, degli accorgimenti eleganti per un’atmosfera claustrofobica e disturbante. A partire dalla location quasi kubrickiana, ritratta splendidamente grazie a un’ottima fotografia, si ha la sensazione che ogni più piccolo dettaglio possa portare diversi spunti di riflessione. Esempi chiari sono le citazioni a Goya, o i quadri presenti nella stanza di Isaac.
Il tutto converge verso uno dei temi principali dell’opera: la paura dell’uomo verso ciò che non conosce – verso le macchine, in questo caso. “Ex Machina” porta su schermo una delle più grandi paure dell’uomo: quella dell’ignoto. Lo spettatore vine spinto con forza alla radice di questo particolare timore, scavando a fondo negli aspetti psicologici della mente artificiale. Le carte si mescolano e i fattori cambiano: l’uomo cerca di creare qualcosa a lui familiare e varca un confine all’apparenza invalicabile. L’intelligenza artificiale comincia così a provare la stessa paura, spinta dal bisogni primordiali di libertà e conoscenza.
Da un lato si troverà dunque l’uomo, superbamente elevatosi a Dio; dall’altro l’IA, ormai prossima all’essere umana, che cercherà aiuto per liberarsi dalle proprie catene. In questo caso, Caleb rappresenta proprio lo spettatore, inerme e pieno di domande sull’androide Ava e sul suo creatore. Quando i personaggi muteranno ulteriormente cadrà qualsiasi sovrastruttura, e uomini e macchine non saranno più tali.
Già nel suo precedente lavoro i personaggi di Garland erano caratterizzati da una precisa suddivisione dei ruoli, ma qui la loro gestione sorprende anche i più attenti con continui colpi di scena. Lo stesso protagonista, in preda a dubbi esistenziali, arriva a chiedersi chi sia veramente la macchina, stravolgendo completamente il proprio punto di vista, così come quello del pubblico. Stesso discorso vale per il suo capo, capace di alternare vere e proprie identità differenti tra una scena e l’altra. Si passa dal classico amico al violento padre, dall’ansioso scienziato al serio studioso.
Persino l’IA si trova combattuta fra aspetti contrastanti: del resto, come dice la tagline del film, “non c’è niente di più umano della voglia di sopravvivere”, ed è proprio questa la chiave di lettura dell’opera. L’ambiguità sta alla base dell’intera struttura narrativa e ogni personaggio incarna perfettamente questa caratteristica. In appena due ore si passa con disinvoltura dalla fantascienza al thriller, fino a sfiorare l’horror in un processo evolutivo da pelle d’oca. “Ex Machina”, con le sue contraddizioni e le sue profonde rivelazioni, è uno di quei film che cambiano il modo di vedere le cose.