Tutto Quello Che Vuoi: una caccia al tesoro alla ricerca del senso della vita.
Panegirico alla Poesia firmato da Francesco Bruni, ovvero un invito a riscoprire la straordinaria e salvifica bellezza delle cose inutili.
Alessandro, ventenne perdigiorno intento a bighellonare quotidianamente al bar con gli amici, viene costretto dal padre ad accettare un impiego come badante di Giorgio, un vecchio poeta affetto da Alzheimer. Un giorno il giovane troverà le pareti dello studio dello scrittore incise di frasi apparentemente casuali, che forse costituiscono una mappa per ritrovare un antico tesoro. E, mentre affiorano i ricordi, tra i due nascerà un’inattesa amicizia che cambierà le loro esistenze.
Francesco Bruni è una delle penne più felicemente prolifiche del buon cinema italiano. Sceneggiatore storico di Paolo Virzì (da Ferie d’agosto a Il capitale Umano), dall’ottimo esordio registico del 2011 col fortunato Scialla! egli è entrato a buon diritto nell’olimpo dei migliori cineasti nostrani. Stranamente meno fortunato al botteghino col suo secondo lungometraggio, Noi 4, che ottenne comunque un ampio consenso da parte della critica, il nostro regista ha adesso confezionato la sua terza opera. In realtà, della sua filmografia si potrebbe parlare come di un trittico inscindibile, il cui collante tematico è da una parte l’idea di un pacato confronto generazionale (tra un liceale e il suo professore privato nel primo capitolo; tra genitori e figli nel secondo; tra un badante e il suo anziano di riferimento nel terzo), dall’altra l’elogio della Letteratura e delle Arti Sceniche, con un evidente accoramento per la drammatica chiusura di centri culturali capitolini unici, come il Teatro Valle (in Noi 4) o il Cinema America (nel film ad oggi in sala).
Il soggetto di Tutto quello che vuoi trae libera ispirazione dal romanzo ‘Poco più di niente’ di Cosimo Calamini, per poi arricchirsi dell’esperienza personale del regista, che ha palesemente dichiarato come la figura dell’ottantacinquenne cerebralmente compromesso gli sia stata ispirata dal padre defunto da poco meno di un anno. Le premesse del film, dunque, sono lodevoli come nei casi succitati. Tuttavia, proprio perché sono note le capacità di Bruni, sia alla macchina da scrivere che dietro alla cinepresa, nonché la sua abilità nel rappresentare stralci di vita quotidiana in maniera non banale e a-retorica, dispiace ammettere che quest’ultimo film non sia all’altezza delle aspettative, giustificabilmente alte. Il problema risiede in maniera evidente in una sceneggiatura debole e troppo approssimativa, specialmente sul piano della caratterizzazione dei personaggi che la abitano: pochi inquilini effettivi, troppi ospiti di passaggio indesiderati.
La coralità al cinema è una componente difficilissima da gestire; nel panorama contemporaneo l’unica in grado di ricorrervi magnificamente, con un’invidiabile e forse inarrivabile maestria, è Cristina Comencini autrice di commedie (bisognerebbe citare almeno l’intramontabile Liberate i Pesci, ma anche Matrimoni e il più recente Latin Lover). Al contrario, qui la quantità eccessiva di personaggi in campo non è un valore aggiunto, ma anzi sottrae forza alle potenzialità narrative che la storia di per sé possiede e avrebbe potuto esprimere se solo ci si fosse concentrati maggiormente sui due protagonisti. Infatti, se pure volessimo perdonare il macchiettistico stereotipo degli amici di Alessandro, classico clan di debosciati coattoni romani senza arte né parte, d’altra parte risulta davvero incomprensibile nell’economia della trama la presenza, pur reale e insistente, degli unici personaggi femminili. Da una parte Donatella Finocchiaro, milf focosa e al tempo stessa materna, dall’altra Raffaella Lebboroni (che sta a Bruni come la Braschi a Benigni!) nel ruolo della proprietaria di casa di Giorgio, presenze dannatamente sprecate nonostante le loro ben note capacità attoriali.
A fronte di una pars destruens, che non vuole essere accusatoria o recriminatoria bensì è frutto di una cocente delusione che nasce da ammirazione e stima nei confronti del nostro regista, bisogna comunque considerare anche i punti a favore della pellicola. Innanzitutto, va reso merito alle ottime interpretazioni del giovane Andrea Carpenzano, visto un paio di mesi fa nel pessimo Il permesso di Claudio Amendola, e del veterano Giuliano Montaldo, tornato alla recitazione degli esordi dopo quarant’anni da regista. È proprio il connubio tra la fresconeria borgatara dell’uno e la saggezza smemorata dell’altro a dare fluidità al racconto, suscitando una curiosità sincera nei confronti di un’avventura teneramente strampalata. E, nonostante Tutto quello che vuoi non sia (ahimè!) propriamente indimenticabile, rimane ad ogni modo un film capace di accarezzare il cuore con una gentilezza rara, ricordandoci che Bruni ha un dono purtroppo ignoto alla maggior parte degli altri registi: l’irresistibile grazia della malinconia.
‘Poi ci lasciammo sulla neve sporca: voi verso la battaglia ed io alla pace. Tutto quello che vuoi e fu quello il saluto, tutto quello che voglio alla fine l’ho avuto’
Tutto Quello Che Vuoi: una caccia al tesoro alla ricerca del senso della vita.
Panegirico alla Poesia firmato da Francesco Bruni, ovvero un invito a riscoprire la straordinaria e salvifica bellezza delle cose inutili. - 6
6
The Good
- Le interpretazioni di Montaldo e Carpenzano e il tocco leggero di Francesco Bruni.
The Bad
- Una sceneggiatura debole e una caratterizzazione superferciale di certi personaggi, in particolar modo quelli femminili.